mercoledì 7 febbraio 2024

SEMPLICI RIFLESSIONI SUL LIBERO ARBITRIO (2a parte)

 

Post n. 52

Dunque, il libero arbitrio emerge dalla coscienza che emerge dalla mente che deve essere in possesso di tutti gli organismi viventi.

Ma cosa sappiamo noi sulla mente?

Nel Post n. 14 compreso nell’etichetta An1: Organismi viventi: corpo cervello mente,

avevamo messo in evidenza come in “Polvere vitale”1995, Christian De Duve dopo aver citato alcuni scienziati e filosofi che si occupano del problema della mente, scrive: «Queste poche citazioni dovrebbero chiarire che le ricerche sulla mente sono ancora in uno stato embrionale. Questa situazione non dipende dalla mancanza di studi. In anni recenti sono apparsi decine di libri sull’argomento, scritti di neuro scienziati, linguisti, specialisti dei computer e filosofi, per non contare i teologi. Purtroppo, le tesi sostenute sono quasi altrettante numerose degli autori, anche perché l’ideologia svolge un ruolo più importante nella psicologia umana che in altri ambiti scientifici».

Tradotto, nessuno sa come il cervello dia origine alla mente. Nessuno sa se esiste solo la mente cosciente degli umani e se esistono anche menti coscienti in relazione al grado di evoluzione di un organismo in un determinato ambiente. Nessuno ha mai dimostrato che è necessario un cervello per dare origine ad una mente.

Abbiamo anche sottolineato come gli studi di Giorgio Vallorticara e le riflessioni sugli animali di Enrico Bellone, (per citare solo studiosi italiani), portano a concludere che gli animali sembrano dotati di un equipaggiamento cognitivo di base per sopravvivere e riprodursi, che è poi lo stesso posseduto dalla nostra specie.

Inoltre, è noto ormai da decenni che gli organismi viventi siano in grado di comunicare tra loro, e che l’abilità comunicativa richieda forme di intelligenza

Bellone, rivolge la sua attenzione anche alle piante: «Le vediamo, ad esempio, perdere il fogliame. Le nostre piante pur non avendo reti di neuroni, sentono il sopraggiungere di un clima rigido e si comportano come se valutassero i cambiamenti percepiti entro schemi del tipo “se…allora”: raffinatissimi processi interni ai loro corpi ricevono stimoli esterni, li traducono in linguaggi incorporati e predispongono le opportune reazioni».

In una dimensione decisamente più ampia ci portano Stefano Mancuso e Alessandra Viola in “Verde brillante”, 2013. Gli autori, illustrando anche risultati di ricerche, dopo aver evidenziato come le piante non solo sono in possesso dei nostri stessi sensi (vista, udito, olfatto, gusto e tatto), certamente sviluppati secondo la natura vegetale e non umana, ma ne posseggono almeno altri quindici, argomentano: «Come sappiamo bene, infatti, ogni pianta registra ininterrottamente un gran numero di parametri ambientali (luce, umidità, gradienti chimici, presenza di altre piante o animali, campi elettromagnetici, gravità ecc.) e in base a questi dati è chiamata a prendere decisioni che riguardano la ricerca di alimenti, la competizione, la difesa, i rapporti con le altre piante e gli animali: un’attività difficile da immaginare senza far ricorso al concetto di intelligenza!»

Dalle osservazioni di questi scienziati sembra quindi che tutti gli organismi pluricellulari sono in possesso di un equipaggiamento cognitivo di base e tutti utilizzano gli stessi schemi logici, se…allora, tipici della nostra mente.

In riferimento agli organismi unicellulari, nello stesso articolo, abbiamo messo in evidenza come Antonio Damasio, alla singola cellula eucariote (cellula dotata di nucleo al cui interno si torva il genoma) attribuisce concetti di desideri, volontà, intenzioni e scopi che noi associamo alla mente umana e argomenta: «Si è infatti constatato che creature viventi del tutto prive di cervello, persino singole cellule, presentano comportamenti apparentemente intelligenti e diretti a uno scopo: anche questo è un fatto scarsamente apprezzato».

Opinioni, in verità già espresse Konrad Lorenz intorno alla metà del secolo scorso in “L’etologia” Ed. 2011. Nel capitolo “Meccanismi che elaborano un’informazione momentanea”, in riferimento al comportamento ameboide (l’ameba è un organismo unicellulare) egli scrive: «Nel suo ambiente naturale cioè in un liquido di coltura in cui essa può vivere permanentemente l’ameba appare straordinariamente adattabile nel suo comportamento, anzi addirittura intelligente. Essa si sottrae agli effetti dannosi per mezzo di una fuga “di paura”, si avvicina a stimoli favorevoli, ingloba e mangia “avidamente” un oggetto adatto. Se fosse grande come un cane, dice Jennings, uno dei migliori conoscitori di protozoi, non si esiterebbe ad attribuirle un’esperienza soggettiva».

Dunque, le amebe sono capaci di ragionamenti, di inferenze logiche. Se percepiscono la presenza di cibo, allora si dirigono nella direzione del nutrimento; se l’ambiente è ostile, allora si allontanano.

Rupert Sheldrake in “Le illusioni della scienza”2013: riporta un esperimento di Jennings su un eucariote chiamato Stentor. Tale esperimento dimostra come anche singole cellule presentano abituazione, cioè assuefazione agli stimoli. Tale comportamento è presente negli animali e anche nell’uomo ed è associata alla mente. Se una persona va ad abitare in prossimità di una ferrovia o di una strada con molto traffico, all’inizio viene disturbato ma in seguito si abitua e non ci fa più caso. È una forma fondamentale di memoria perché ci permette di adattarci all’ambiente. Ma Stentor è formato da un’unica cellula, la sua memoria non può essere spiegata in funzioni di cambiamenti nelle terminazioni nervose, o sinapsi, poiché non ne ha alcuna. Però Stentor ricorda. Stentor ha una memoria.

Ma un gran numero di esperimenti ha ormai da tempo dimostrato che organismi unicellulari eucarioti sanno orientarsi nello spazio, presentano ragionamenti, scopi, intenzioni, volontà, desideri, ricordi, comportamenti “apparentemente” intelligenti, cioè un equipaggiamento cognitivo di base, concetti tipici della nostra mente; organismi unicellulari che sanno badare a sé stessi. Un equipaggiamento cognitivo molto più semplificato di quello delle piante e degli animali, ma è quanto basta per sopravvivere.

Esistono organismi più piccoli degli eucarioti: i batteri, cellule molto più semplici degli eucarioti perché non posseggono un nucleo, e sono i più piccoli organismi viventi. I batteri possono vivere sia allo stato planctonico cioè come cellule indipendenti in un mezzo acquoso, o nello stato sessile, dove le cellule sono attaccate, le une accanto alle altre, su una superfice solida dando origine a colonie. In apparenza sembrano esseri insignificanti, ma la vita sulla terra è nata con i batteri e dipende dai batteri. Si calcola che oggi la loro massa superi di gran lunga la massa di tutti gli altri organismi viventi. A lungo trascurati, anche perché invisibili, dalla metà del secolo scorso gli studi sui batteri si sono via via intensificati.

Come riportato nel post n. 15 (etichetta An2: Organismi viventi: Corpo, Cervello, Mente. Parte seconda: I Batteri) le ricerche condotte nell’ultimo decennio sulle capacità dei batteri, sia allo stato planctonico che sessile, fanno ormai largo uso di termini come: comunicazione, cooperazione, linguaggi, comportamenti sociali, intelligenza, informazione, altruismo. A tutto ciò bisogna aggiungere che i batteri si muovono entro schemi se…allora, hanno a modo loro cognizione dello spazio e del tempo, risolvono situazioni di conflitto ed elaborano informazioni sensoriali diverse.

In definitiva, allo stato planctonico i batteri presentano un equipaggiamento cognitivo di base tipico della nostra mente. Nello stato sessile, oltre a presentare un equipaggiamento cognitivo di base, i batteri hanno un comportamento simile al comportamento dei gruppi sociali che si riscontrano tra gli animali.

Ma cellule eucariote e batteri non hanno un cervello!

Senza voler entrare nel campo filosofico di cui non abbiamo né le competenze né la voglia, partiamo solo dai fatti, dalla constatazione che concetti tipici della nostra mente sono posseduti anche da organismi che non hanno cervello.

Tutto ciò ci porta a concludere che, partendo dai batteri e proseguendo dagli organismi unicellulari eucarioti ai pluricellulari fino agli organismi superiori come piante e animali, non c’è vita senza un equipaggiamento cognitivo di base, non c’è sopravvivenza senza una mente. A ciascuno la sua mente, nello scenario della vita, la mente appare senza che ci sia bisogno di un cervello.

Ma negli organismi unicellulari da dove emerge la mente e che cos’è?

E se sono in possesso della mente presentano anche il libero arbitrio?

 

                                                                                          Giovanni Occhipinti

(made by human)

(Scusate il ritardo, colpa del Covid)

Prossimo articolo: Semplici riflessioni sul libero arbitrio 3a parte (scusate rinviato a fine aprile)

martedì 31 ottobre 2023

LA VITA E IL COSMO. ROMANZO ERETICO E SEMPLICI RIFLESSIONI SUL LIBERO ARBITRIO (1a parte)

 



 È un libro rivoluzionario, anzi eretico. Un libro che parla di scienza ma romanzato e con qualche battuta umoristica, di facile lettura e comprensione e non necessita di conoscenze scientifiche acquisite. Esso è indirizzato a tutti coloro che sono interessati a conoscere le nostre lontane origini, come siamo arrivati fi n qui, e il nostro probabile futuro prossimo.

Il saggio è diviso in tre parti.

Nella prima parte l’autore, fuori dal tempo e dello spazio, attraverso un dialogo immaginario con organismi e personaggi del passato, si ritrova a dialogare dapprima con un batterio di 2 miliardi di anni fa sull’origine della vita avvenuta 3,6 miliardi di anni fa. Un successivo dialogo con Eucariote di 600 milioni di anni fa sulla loro origine e un dialogo scioccante con un animale, Pikaia, che ci svela una nuova visione dell’essere animali. Si prosegue con un mammifero, Purgatorius, sulla conquista della terra da parte di piante e animali. Infine, un dialogo con Darwin e la selezione naturale all’alba del nuovo millennio.

La seconda parte è una sintesi di alcuni saggi dedicati ai batteri che mettono in evidenza le loro capacità e come la vita sia dipendente dai batteri.

Nella terza parte, partendo dal principio antropico di Brandon Carter e il suggerimento di Hoimar von Dirtfurth: “noi come anello di collegamento con una discendenza non biologica di tutt’altra specie”, Darwin e l’autore sviluppano un dialogo intorno un ideale scopo della vita in relazione al cosmo, sulla vita nello spazio e sulle problematiche esistenziali associate alle nuove tecnologie.


disponibile in forma cartacea, e come ebook.

Ottenibile direttamente su: Youcanprint store

oppure su tutti gli bookstores on line



SEMPLICI RIFLESSIONI SUL LIBERO ARBITRIO

Post n. 51

Edward O. Wilson, uno dei maggiori biologi viventi, nel suo saggio: “Il significato dell’esistenza umana” 2015 affronta il problema del libero arbitrio. Egli dopo aver constatato che il libero arbitrio è parte della coscienza scrive: «Nel corso di oltre duemila anni i filosofi hanno tentato a più riprese di spiegare la coscienza. È naturale che lo abbiano fatto: è il loro mestiere. Comprensibilmente, tuttavia, essendo digiuni di biologia, nella maggior parte dei casi non sono arrivati da nessuna parte. Non credo sia esagerato affermare che – ridotta all’essenziale - la storia della filosofia consiste per lo più di modelli del cervello inadeguati».

E così poiché per duemila anni si è discusso del nulla, con l’inizio del nuovo millennio la ricerca sulla coscienza è passata ai neuro scienziati, per la maggior parte riunito nel progetto BAM (Brain Activity Map Project). Obiettivo fondamentale del progetto BAM è la mappatura dell’attività cerebrale e ricondurre tutti i processi di pensiero -razionali ed emozionali, consci, preconsci e inconsci, fissi o in movimento – a un base fisica. I primi risultati scientifici per condurre i processi del pensiero su basi razionali, condivisi da molti scienziati, sembrano, secondo loro, confermare tale ipotesi.

Wilson dimostra un certo ottimismo nei confronti di queste ricerche, ma nello stesso ammette che il potere di spiegare la coscienza sarà sempre limitato. Anche se si riuscirà a comprendere nei dettagli i processi che hanno luogo nel cervello, per comprendere la coscienza bisognerebbe aprire l’immenso magazzino dei ricordi sia quelli disponibili che quelli sepolti nel profondo dell’inconscio. Poiché la mente individuale non può essere completamente descritta, continua Wilson, si può continuare a credere appassionatamente alla propria indipendenza e al proprio libero arbitrio.

Ma quali sono questi primi risultati scientifici?

Partiamo allora dall’esperimento simbolo che ha condotto gli scienziati verso il determinismo fisico e ve lo propongo per intero, tratto dal saggio di Christian Koch “Una coscienza”, 2014: «Vorrei ritornare con i piedi per terra e raccontarvi un esperimento classico che ha convinto molti di noi della illusorietà del libero arbitrio. Lo concepì e lo realizzò nei primi anni Ottanta Benjamin Libet, un neurofisiologo della University of California a San Francisco. […]. Il neurofisiologo californiano predispose l’esperimento per determinare la tempistica di un evento mentale – la decisione di una persona – per confrontarla con la tempistica di un evento fisico, l’avvio del potenziale di prontezza. Quale sollievo! Dopo millenni di noiose discussioni filosofiche, una questione poteva essere in qualche modo finalmente risolta. La parte complicata dell’esperimento era determinare il momento dell’atto mentale: vi sfido a individuare il preciso istante in cui provate l’impulso ad alzare la mano. Non è facile. Per aiutare i soggetti volontari, Libet proiettava un punto di luce brillante sullo schermo verde di un oscilloscopio, di quelli una volta. La luce completava sistematicamente un giro, come la lancetta dei minuti. Seduti su una sedia con gli elettrodi dell’EEG applicati al cranio, i volontari dovevano flettere il polso spontaneamente, ma intenzionalmente. Eseguivano il compito mentre rilevavano la posizione della luce corrispondente al momento cui erano coscienti del desiderio o della pulsione ad agire. Per garantire che la tempistica soggettiva degli eventi nervosi nei volontari fosse accurata, in un esperimento separato Libet aveva chiesto loro di segnare il momento in cui il polso iniziava a flettersi, un punto temporale che si poteva confermare oggettivamente registrando l’attività dei muscoli. I soggetti eseguivano il compito piuttosto bene, retrodatando l’avvio effettivo di otto millisecondi appena. I risultati raccontavano una storia inequivocabile; dicevano che l’inizio del potenziale di prontezza precede la decisione cosciente di eseguire il movimento di almeno mezzo secondo, e spesso molto più lungo. Il cervello agisce prima che la mente decida! Era il completo rovesciamento dell’impressione profonda circa la relazione causale, che cioè il cervello e il corpo agiscano solo dopo che lo ha deciso la mente. Per questa ragione l’esperimento era, e rimane, controverso. Tuttavia, negli anni successivi è stato ripetuto e perfezionato - una versione dell’esperimento basato sulle neuro immagini ha recentemente fatto notizia - e le sue conclusioni di fondo reggono».

Ma Christian Koch più avanti scrive: «Questa conclusione vale solo negli angusti confini del laboratorio di Libet? Del resto, l’unica libertà per i volontari era decidere quando muovere il polso o - in una variante dell’esperimento - se muovere il polso sinistro oppure quello destro. È qualcosa di affine a prendere una lattina di Coca-Cola tra due uguali: a chi interessa quale avete scelto? Che dire allora di atti molto più importanti, che implicano un lungo e deliberato ragionamento? Dovremmo prendere un cane, oppure no? Dovreste sposarla, oppure no? Anche queste decisioni cruciali sono accompagnate da un potenziale di prontezza che precede la scelta? Allo stato delle cose, non lo sappiamo». E Koch continua: «Vorrei cominciare proponendo una definizione di libero arbitrio, o libertà del volere. Ebbene noi siamo liberi se, in circostanze identiche, avremmo potuto agire diversamente. Circostanze identiche vuol dire non solo le stesse condizioni esterne ma anche gli stessi stati cerebrali […] La definizione forte di libertà serve solamente a sterili e animate discussioni, perché nel mondo reale non possiamo riavvolgere il nastro e fare le cose diversamente: "Non possiamo bagnarci due volte nello stesso fiume" diceva Eraclito».

Quindi ci troviamo di fronte a chi ritiene che il libero arbitrio è solo un’illusione perché già scritto nelle leggi della fisica, e chi sostiene che non possiamo mai sapere se il libero arbitrio esiste o, come sostiene Wilson, perché la mente non può essere descritta completamente o, come sostiene Koch, perché le stesse circostanze ambientali e cerebrali non possono più ripetersi esattamente.

Per dare un contributo all’esistenza o meno del libero arbitrio dobbiamo verificare innanzitutto l’affermazione di Koch: non possiamo bagnarci due volte nello stesso fiume

Le metafore sono un potente mezzo di comunicazione, ma nel nostro caso, la metafora di Eraclito è applicabile? Cioè è vero che gli organismi viventi non possono ritrovarsi nelle stesse condizioni esterne e negli stessi stati cerebrali?

Il primo istinto di tutti gli organismi viventi, in caso di pericolo, e su cui tutti, gente comune e scienziati concordano, è sopravvivere. Se la vita è in pericolo gli stati cerebrali di tutti gli organismi viventi sono tutti identici, salvare la pelle. Abbiamo tutti osservato umani e animali fuggire da un vulcano in eruzione. Anche durante un terremoto, tutti corrono alla ricerca di spazi aperti. Però pur essendo lo stato cerebrale della sopravvivenza comune a tutti i fuggitivi, qualcuno stima che ha più probabilità di sopravvivere riparandosi sotto un architrave anziché cercare spazi aperti. Lo stato cerebrale della sopravvivenza, comune a tutti i fuggitivi, permette quindi un certo grado di libertà.

Ora, immaginiamo che gli stessi individui, dopo un certo tempo, si trovino a rivivere la stessa esperienza, cioè nelle stesse condizioni esterne come li chiama Koch. Come saranno i loro stati cerebrali? Uguali ai precedenti, salvare la pelle. Quindi ci si può bagnare due volte nello stesso fiume. Il nastro si può riavvolgere quando si tratta di vita o morte.

Però, pur essendo tutti gli individui, per la seconda volta, nelle stesse condizioni esterne e negli stessi stati cerebrali, mentre tutti fuggono lasciando anche i propri danari, qualcuno ha pensato che potrebbe sopravvivere meglio se avesse avuto il suo gruzzoletto, così prima di fuggire mette la mano sotto il materasso prendendo i suoi risparmi ma perdendo qualche attimo prezioso. Che si sia poi salvato o sia morto per quell’attimo perso non lo sapremo mai ma, nello stesso stato cerebrale di tutti, un fuggitivo ha esercitato una libera scelta.

Usciamo dal campo degli umani. Immaginiamo un gruppo di antilopi affamate che finalmente, nella savana, hanno trovato dell’erba fresca. Sentono, però, un fruscio nell’erba e l’odore di un leone che si sta avvicinando. Lo stato cerebrale delle antilopi è identico, perché la vita è in pericolo. Ora, se la scelta fosse unicamente deterministica, essendo tutte nello stesso stato cerebrale, le antilopi dovrebbero fuggire tutte, nel qual caso i leoni non esisterebbero più; oppure nessun’antilope dovrebbe fuggire, e allora sarebbero state le antilopi ad essere già scomparse da tempo e di conseguenza anche i leoni. In realtà, nelle stesse condizioni esterne e negli stessi stati cerebrali alcuni antilopi preferiscono fuggire e tenersi la fame altri preferiscono aggiungere ancora qualche cosa nello stomaco per avere più energia per la fuga, e così noi abbiamo ancora antilopi e leoni.

Questa libertà di scelta, che emerge quando è a rischio la sopravvivenza, ha salvato la vita sul nostro pianeta, ma è libero arbitrio?

Per ritornare agli umani Christian Koch scrive (opera menzionata): «La nostra libertà è limitata dalle abitudini e dalle scelte consistenti fatte in passato. Il vero alveo che contiene e canalizza il nostro flusso di coscienza è modellato dalla famiglia e dalla cultura dove siamo cresciuti: i desideri e le preferenze che mettiamo “liberamente" in atto sembrano essere completamente determinati! […] Se teniamo di conto ogni influenza della natura, dell’ambiente educativo e di tutti i fattori casuali del nostro ambiente, resta uno spazio di manovra? E se fossimo gli schiavi di questi vincoli?»

Ora, non si capisce perché gli umani tendono a dimenticare, a ricominciare daccapo riproponendo passate argomentazioni e presentandole come novità.

Ma duemila anni di storia sono passati invano? “Scipio siamo noi che facciamo la storia o è la storia che fa noi”. È la domanda che un centurione, insanguinato, pose a Scipione durante l’assedio di Cartagine. Scipione non rispose e il centurione se ne andò. Un luogotenente chiese a Scipione cosa intendesse e Scipione rispose: Forse intendeva se esiste il libero arbitrio.

Certamente non si può identificare il libero arbitrio con la maglietta da scegliere la mattina quando usciamo o il gusto del gelato da scegliere durante la pausa. Queste sono scelte emozionali o sensoriali. Siamo quindi soggetti a vincoli, emozioni, spinte sensoriali, e tutte le scelte che facciamo o siamo costretti a fare nella vita quotidiana non hanno nulla a che vedere con il libero arbitrio.

Se esiste, il libero arbitrio esso emerge quando è a rischio la nostra sopravvivenza perché in questo caso siamo liberi da emozioni, spinte sensoriali e vincoli.

Ora, se il libero arbitrio è parte della coscienza da dove emerge la coscienza e che cos’è?

Come scrivono Gerald Edelman e Giulio Tononi: “Un universo di coscienza”, 2000: La coscienza, per quanto speciale, è emersa da innovazioni evolutive della morfologia del cervello e del corpo. La mente scaturisce dal corpo e dal suo sviluppo; è radicata nel corpo e fa perciò parte della natura. Ipotesi fisica e ipotesi evolutiva sono a fondamento.

E Guido Brunetti in (https://www.neuroscienze.net/come-quando-e-perche-la-mente-emerge/) aggiunge: Le caratteristiche “uniche” dell’essere umano comprendono la coscienza di sé e degli altri, il linguaggio e la vita sociale. Su tutte queste capacità emerge uno speciale attributo umano che chiamiamo il possesso di una mente (Rose).

E in merito alla coscienza Gerald Edelman e Giulio Tononi aggiungono, (opera citata): Ognuno di noi sa che cos’è la coscienza: è ciò che si abbandona la sera quando ci addormentiamo e che ricompare il mattino dopo, al risveglio. Naturalmente Edelman neurofisiologo e Tononi neurobiologo, il cui scopo è studiare innanzitutto struttura e dinamica del cervello e considerare fatti neurofisiologici e neuropsicologici per fare luce sui meccanismi neurali della coscienza, ritengono tale definizione della coscienza una ingannevole semplicità.

Ma per noi, comuni mortali e per i nostri scopi è sufficiente, e quindi definiamo la coscienza: la consapevolezza del mondo che ci circonda. Se una persona, nel mondo che lo circonda, riconosce la propria casa, i suoi cari, i suoi libri, gli oggetti più cari che gli rievocano il passato, ha definito anche il proprio . Quindi la coscienza definita come: la consapevolezza del mondo che ci circonda contiene già anche il .

Ma perché è apparsa la coscienza negli organismi viventi?

La risposta ce la dà Nicolas Humphrey in: “Polvere d’anima”,2013. «La ragione è quella fondamentale, ovvero la selezione naturale: dal momento che la coscienza, per come la conosciamo, è una caratteristica della vita sulla Terra, possiamo dare per assodato - al pari di ogni altra caratteristica specializzata degli organismi viventi - si sia evoluta perché conferisce un vantaggio selettivo. In una maniera o nell’altra, cioè, deve aiutare l’organismo in questione a sopravvivere e riprodursi. E naturalmente questo può accadere solo se in qualche modo influisce sul modo in cui l’organismo si relaziona con il mondo esterno».

Ma se come ha scritto Wilson il libero arbitrio è parte della coscienza, allora anche il libero arbitrio, se esiste, deve essere apparso per aiutare l’organismo a sopravvivere e riprodursi.

Riepilogando, la conclusione condivisibile, di autorevoli ricercatori è che: l’evoluzione genera il cervello da cui emerge la mente. Dalla mente emerge la coscienza da cui emerge il libero arbitrio e il tutto per aiutare l’organismo a sopravvivere e riprodursi.

Sembrano conclusioni semplicistiche ma evitano di cadere in ciò che Austin, riportato Searle R. John: “La riscoperta della mente”, 2020 chiamava «ivresse des grands profondeurs, che fa disdegnare le più umili e ovvie verità e ci costringe ad andare in cerca di profonde scoperte teoriche ispirate al modello delle scienze fisiche, sognando un grande passo in avanti nello studio della mente tale da permettere di raggiungere la cosiddetta maturità delle scienze cognitive».

Si impone adesso una conclusione: se il libero arbitrio emerge dalla coscienza che, come afferma Nicolas Humphrey, è una caratteristica della vita sulla terra che aiuta l’organismo a sopravvivere e riprodursi, poiché tutti gli organismi viventi vogliono sopravvivere e riprodursi, allora essa deve essere in possesso di tutti gli organismi viventi. Quindi tutti gli organismi viventi per sopravvivere e riprodursi devono essere consapevoli del mondo che li circonda, devono cioè avere una coscienza.

Ma se la coscienza emerge dalla mente, allora tutti gli organismi viventi devono essere in possesso di una mente.

 Prossimo articolo: semplici riflessioni sul libero arbitrio (2a parte), fine gennaio

                                                                                            Giovanni Occhipinti

(made by human)


Pubblicato


È un libro rivoluzionario, anzi eretico. Un libro che parla di scienza ma romanzato e con qualche battuta umoristica, di facile lettura e comprensione e non necessita di conoscenze scientifiche acquisite. Esso è indirizzato a tutti coloro che sono interessati a conoscere le nostre lontane origini, come siamo arrivati fi n qui, e il nostro probabile futuro prossimo.

Il saggio è diviso in tre parti.

Nella prima parte l’autore, fuori dal tempo e dello spazio, attraverso un dialogo immaginario con organismi e personaggi del passato, si ritrova a dialogare dapprima con un batterio di 2 miliardi di anni fa sull’origine della vita avvenuta 3,6 miliardi di anni fa. Un successivo dialogo con Eucariote di 600 milioni di anni fa sulla loro origine e un dialogo scioccante con un animale, Pikaia, che ci svela una nuova visione dell’essere animali. Si prosegue con un mammifero, Purgatorius, sulla conquista della terra da parte di piante e animali. Infine, un dialogo con Darwin e la selezione naturale all’alba del nuovo millennio.

La seconda parte è una sintesi di alcuni saggi dedicati ai batteri che mettono in evidenza le loro capacità e come la vita sia dipendente dai batteri.

Nella terza parte, partendo dal principio antropico di Brandon Carter e il suggerimento di Hoimar von Dirtfurth: “noi come anello di collegamento con una discendenza non biologica di tutt’altra specie”, Darwin e l’autore sviluppano un dialogo intorno un ideale scopo della vita in relazione al cosmo, sulla vita nello spazio e sulle problematiche esistenziali associate alle nuove tecnologie.


disponibile in forma cartacea, e come ebook.

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lunedì 16 ottobre 2023

LAVITA E IL COSMO. ROMANZO ERETICO SULL'EVOLUZIONE

 

Post n. 50

Piattaforma di selfpublishing Youcanprint

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È un libro rivoluzionario, anzi eretico. Un libro che parla di scienza ma romanzato e con qualche battuta umoristica, di facile lettura e comprensione e non necessita di conoscenze scientifiche acquisite. Esso è indirizzato a tutti coloro che sono interessati a conoscere le nostre lontane origini, come siamo arrivati fi n qui, e il nostro probabile futuro prossimo.

Il saggio è diviso in tre parti.

Nella prima parte l’autore, fuori dal tempo e dello spazio, attraverso un dialogo immaginario con organismi e personaggi del passato, si ritrova a dialogare dapprima con un batterio di 2 miliardi di anni fa sull’origine della vita avvenuta 3,6 miliardi di anni fa. Un successivo dialogo con Eucariote di 600 milioni di anni fa sulla loro origine e un dialogo scioccante con un animale, Pikaia, che ci svela una nuova visione dell’essere animali. Si prosegue con un mammifero, Purgatorius, sulla conquista della terra da parte di piante e animali. Infine, un dialogo con Darwin e la selezione naturale all’alba del nuovo millennio.

La seconda parte è una sintesi di alcuni saggi dedicati ai batteri che mettono in evidenza le loro capacità e come la vita sia dipendente dai batteri.

Nella terza parte, partendo dal principio antropico di Brandon Carter e il suggerimento di Hoimar von Dirtfurth: “noi come anello di collegamento con una discendenza non biologica di tutt’altra specie”, Darwin e l’autore sviluppano un dialogo intorno un ideale scopo della vita in relazione al cosmo, sulla vita nello spazio e sulle problematiche esistenziali associate alle nuove tecnologie.


per il momento disponibile in forma cartacea, l'ebook in fase di elaborazione.

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Prossimo articolo entro il mese di ottobre: Semplici riflessioni sul Libero arbitrio

venerdì 28 aprile 2023

I DOMINI DEGLI ORGANISMI VIVENTI (con ChatGPT)

 


Post n. 49

Scopo di questo articolo è di seguire il percorso storico che ha portato all’attuale definizione dei domini degli organismi viventi e mettere in evidenza come nella scienza le conclusioni non sono mai definitivi.

Questo articolo è stato scritto per intero da ChatGPT3 e ChatGpt4.

 

I DOMINI DEGLI ORGANISMI VIVENTI

La Scienza che si occupa di classificare gli organismi viventi è chiamata Sistematica.

Questa ha origini molto antiche: i primi tentativi di classificazione infatti si fanno risalire ad Aristotele, celebre filosofo e scienziato greco, e a Plinio il Vecchio, scrittore, ammiraglio e naturalista romano dell’antichità.

Bisognerà attendere però il Systema Naturæ (1758) di Linneo (nome latinizzato del botanico svedese Carl von Linné) perché la Sistematica acquisisca effettivamente valore scientifico.

Nella sua opera Linneo descrisse, attribuendo loro un nome scientifico, tutte le specie viventi allora conosciute, assegnando a ciascuna di esse un doppio nome (la cosiddetta nomenclatura binomia), che ancora oggi è in uso. Linneo classifica gli esseri viventi in differenti livelli gerarchici, iniziando originariamente da quello di regno. Il naturalista e filosofo tedesco Ernst Haeckel nel 1866, fu il primo a proporre una classificazione della vita basata sull'evoluzionismo. Egli ha distinto gli organismi viventi in tre regni: animale, vegetale e protista, riunendo tutte le forme di vita "semplici" o "primitive", che non sembravano avere una specifica parentela con animali e animali. Haeckel mise le microscopiche monere o monete alla base dell'albero evolutivo e li classificò all'interno del regno protista.

 


 

Nel 1959 il biologo statunitense Whittaker propose la suddivisione dei viventi in 5 Regni, rispettivamente:

Monera: includeva i Batteri, Procarioti senza membrana nucleare né membrane che incorporano organelli, e le alghe azzurre;

Protisti: gruppo eterogeneo che includeva Eucarioti che non si potevano considerare chiaramente come Animali, Piante o Funghi.

Piante: organismi Eucarioti autotrofi (che riescono a sintetizzare molecole organiche a partire da sostanze inorganiche) con differenziamento cellulare;

Funghi: da unicellulari a complessi, sono Eucarioti eterotrofi (non in grado di sintetizzare molecole organiche a partire da sostanze inorganiche)

Animali: Eucarioti con differenziamento cellulare, eterotrofi e mobili durante almeno uno stadio della loro vita.

 

Oggi, data la recente necessità di includere anche Batteri e Archaea, venne introdotto il dominio come una gerarchia sopraregnale

Intorno alla metà degli anni settanta del secolo scorso Carl Woese nel 1977 introdusse tre domini principali degli organismi viventi, ovvero Archaea, Bacteria e Eukarya.

Archei e batteri, insieme, formano il grande gruppo dei procarioti: organismi unicellulari con cellula procariotica.

Woese, utilizzando analisi comparative dei geni ribosomiali, ha scoperto che esistono due gruppi di procarioti molto distinti tra loro, i batteri e gli archaea, da qui la proposta di suddividere la vita in tre domini, includendo anche gli organismi eucarioti. Woese rappresentò la sua visione evoluzionistica attraverso un albero della vita.

 


 

Questa nuova tassonomia ha rappresentato una rivoluzione nella classificazione degli organismi viventi e ha portato a una migliore comprensione dell'evoluzione e della diversità della vita sulla Terra.

1. **Bacteria (Batteri)**: Questi organismi sono procarioti, il che significa che non hanno un nucleo cellulare. Sono unicellulari e possono vivere in una vasta gamma di ambienti, incluso il corpo umano.

 

2. **Archaea (Archaeobatteri)**: Come i batteri, anche gli archaea sono procarioti e unicellulari. Tuttavia, a livello genetico e biochimico, sono distinti dai batteri. Gli archaea sono noti per vivere in ambienti estremi, come sorgenti idrotermali e laghi salati, ma possono essere trovati anche in altri habitat.

Negli ultimi anni è stato scoperto che alcune specie di Archaea vivono nel nostro intestino

3. **Eukarya (Eucarioti)**: Gli organismi eucarioti hanno un nucleo cellulare e altre strutture organellari complesse. Questo dominio include quattro regni principali:

   - **Protista (Protisti)**: Questo regno è costituito da organismi principalmente unicellulari, ma anche multicellulari, come alghe e protozoi. I protisti hanno una grande diversità di forme e funzioni e possono essere sia autotrofi che eterotrofi.

   - **Fungi (Funghi)**: I funghi sono organismi eterotrofi che decompongono la materia organica per ottenere energia. Sono principalmente multicellulari, ma alcuni, come i lieviti, sono unicellulari. I funghi includono muffe, lieviti e funghi più grandi come i funghi.

   - **Plantae (Piante)**: Le piante sono organismi autotrofi multicellulari che producono il loro cibo attraverso la fotosintesi. Questo regno include una vasta gamma di piante, dalle alghe verdi ai muschi, alle felci, alle piante con fiori.

   - **Animalia (Animali)**: Gli animali sono organismi eterotrofi multicellulari che si nutrono di altri organismi per ottenere energia. Questo regno include una vasta gamma di organismi, dai semplici invertebrati come spugne e meduse, agli insetti, ai molluschi, ai pesci, agli anfibi, ai rettili, agli uccelli e ai mammiferi, tra cui l'uomo.

Carl Woese ipotizzò che l’ultimo antenato comune dei due gruppi di organismi procarioti noti come Archaea ed Eucarioti fosse un organismo denominato Urkariote. Secondo la sua ipotesi, gli Eucarioti e gli Archaea divergono da un antenato comune, l’Urkariote che sarebbe stato un organismo procariotico che aveva alcune caratteristiche degli Eucarioti, come la presenza di un nucleo ben definito, ma che mancava degli organelli che sono tipici degli eucarioti, come i mitocondri.

L’ipotesi di Woese ha avuto un grande impatto nella comunità scientifica e ha contribuito a spiegare molte delle somiglianze e delle differenze tra questi gruppi di organismi, che presentano caratteristiche cellulari molto diverse tra loro. Tuttavia, l’idea dell’Urkariote come antenato comune di Archaea e Eucarioti è stata oggetto di dibattito tra gli scienziati, e ancora oggi non esiste un accordo unanime sulla sua esistenza e sulle sue caratteristiche.

Nel 1980 il biologo evoluzionista James Lake, dell’Università della California, Los Angeles, propose che gli eucarioti fossero fratelli degli archea da lui chiamati eociti, che significa cellule dell’aurora. L’idea si è poi evoluta a dar luogo allo scenario a due domini. James Lake fu a quell’epoca fortemente criticato, ma alcune ultime ricerche mettono in dubbio la classificazione a tre domini di Woese.

Nel 2015 in sedimenti marini al largo della costa della Groenlandia sono stati scoperti un gruppo di organismi appartenenti al dominio Archaea, chiamati Lokiarchaeota Si ritiene che i batteri e gli archea siano i lignaggi più antichi, poiché gli strati fossili che portano la firma chimica dei lipidi archeali sono stati datati a 3,8 miliardi di anni fa. Gli eucarioti comprendono tutte le cellule complesse e quasi tutti gli organismi pluricellulari. Si pensa che si siano evoluti tra 1,6 e 2,1 miliardi di anni fa. Mentre l'evoluzione degli eucarioti è considerata un evento di grande significato evolutivo, in precedenza non erano state scoperte forme intermedie o "anelli mancanti". In questo contesto, la scoperta di Lokiarchaeum, con alcune ma non tutte le caratteristiche degli eucarioti, fornisce prove sulla transizione dagli archei agli eucarioti. La scoperta dei Lokiarchaeota hanno rinvigorito il dibattito su quanti siano in realtà i domini della vita e stanno fornendo indizi, promettenti quanto frustranti, sulla natura delle cellule che diedero origine ai primi veri eucarioti – almeno per chi propone che i domini siano due.

                                                                      Chat GPT3 e ChatGPT4

                                                               Coordinati da Giovanni Occhipinti

 

 

 

Metodologia e considerazioni:

L’articolo è stato assemblato attraverso circa dieci domande in Chat.

ChatGPT3 dà una risposta un po’ più discorsiva mentre le risposte di ChatGPT4 sono più sintetiche ma fornisce una serie di Link da cui ha tratto la risposta e dove naturalmente si può approfondire l’argomento.

Allego solo una curiosità:

Domanda a ChatGPT3: Sai dirmi che cosa è un Urkariote.

ChatGPT3: Sì, posso spiegare cosa sono gli eucarioti, che presumo sia la parola che hai inteso scrivere. Gli eucarioti sono organismi viventi, tra cui animali, piante, funghi e protisti, che si caratterizzano per avere cellule eucariotiche, ovvero cellule che presentano un nucleo ben definito e separato dal citoplasma tramite una membrana nucleare. Inoltre, gli eucarioti possiedono organuli intracellulari come i mitocondri, i cloroplasti e il reticolo endoplasmatico, che sono assenti nelle cellule procariotiche come quelle dei batteri e degli archaea.

Domanda a GhatGPT3: L’Urkariote dovrebbe essere secondo Woese il progenitore comune di Archea ed Eucarioti.

ChatGPT3: Hai ragione, mi scuso per la mia interpretazione errata della tua domanda precedente. Carl Woese ipotizzò che l'ultimo antenato comune dei due gruppi di organismi procariotici noti come Archaea ed Eucarioti fosse un organismo denominato Urkaryote. Secondo la sua ipotesi, gli Eucarioti e gli Archaea divergono da un antenato comune, l'Urkaryote, che sarebbe stato un organismo procariotico che aveva alcune delle caratteristiche degli eucarioti, come la presenza di un nucleo ben definito, ma che mancava degli organelli che sono tipici degli eucarioti, come i mitocondri.

 

Domanda a ChatGPT4: Sai dirmi che cosa è un Urkariote.

ChatGPT4: Il termine “Urkariote” non è stato trovato nei miei risultati di ricerca. Tuttavia, Carl Woese ha proposto la divisione degli organismi viventi in tre domini: Bacteria, Archaea ed Eukaryota. Questa classificazione si basa sulla struttura dell’RNA ribosomiale e sulla separazione dei procarioti in due gruppi distinti: Eubatteri (in seguito chiamati Bacteria) e Archaebacteria (in seguito chiamati Archaea).

Domanda a ChatGPT4: L’Urkariote dovrebbe essere secondo Woese il progenitore comune di Archea ed Eucarioti.

ChatGPT4: Mi dispiace, ma non ho trovato informazioni riguardo a un organismo chiamato “Urkariote” proposto da Carl Woese come progenitore comune di Archaea ed Eucarioti. Tuttavia, Carl Woese ha proposto la divisione degli organismi viventi in tre domini: Bacteria, Archaea ed Eukaryota. Questa classificazione si basa sulla struttura dell’RNA ribosomiale e sulla separazione dei procarioti in due gruppi distinti: Eubatteri (in seguito chiamati Bacteria) e Archaebacteria (in seguito chiamati Archaea).

 È sorprendente, sembra che ChatGPT4, che utilizza Internet, si perda nell’immensità dei dati.

 

Prossimo articolo: non so se e quando ci sarà il prossimo articolo. Ho scritto un romanzo, "Romanzo eretico sull'evoluzione e poi... il Cosmo" che sto cercando di pubblicare. Intanto sto cercando di riprodurre i miei articoli in Podcast e non so se è un'idea che funzionerà. Per il momento a tutti un caro saluto e a presto. Giovanni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


martedì 28 febbraio 2023

ORIGINE DELLA VITA: PRIMA LE PROTEINE O PRIMA LE MOLECOLE AUTOREPLICANTI

 

Post n. 48


LA RICERCA DI UN PUNTO DI INCONTRO PER SUPERARE LA DICOTOMIA CHE ORMAI DA OLTRE MEZZO SECOLO BLOCCA LA SOLUZIUOE DEL PROBLEMA


Niles Eldredge in “ripensare Darwin” 2008, in riferimento a problemi più generali cita il pensiero del grande evoluzionista Williams: «Concordo con George Williams quando afferma che i problemi scientifici non vengono tanto risolti quanto tranquillamente abbandonati a favore di qualche nuovo insieme di questioni che sopraggiungono ad assorbire l’interesse di una disciplina».

A me sembra che questa citazione illustra in modo calzante lo stato in cui versa oggi la ricerca sull’origine della vita. In passato molti ricercatori si sono occupati del problema dell’origine della vita e tra questi alcuni fisici, chimici, astronomi, evoluzionisti e divulgatori scientifici. Dalla metà del secolo scorso fino all’inizio del nuovo secolo sono stati pubblicati un considerevole numero, a volte assordanti, di articoli scientifici, libri e compendi di articoli sull’origine della vita. Problemi irrisolti e problemi risolti, ma volutamente ignorati, hanno scemato l’interesse per questa branca e indirizzato la ricerca in altre direzioni. Oggi, giustamente, l’interesse viene assorbito verso ricerche più attuali: la cibernetica, l’evoluzione della cibernetica, la ricerca di condizioni chimiche e fisiche di pianeti abitabili e la ricerca di vita nello spazio. Eppure avere una qualche idea certa su come ha avuto origine al vita sulla terra faciliterebbe alcune di queste ricerche. In questo ultimo decennio, libri e i compendi pubblicati intorno a questo complesso problema, sono quasi inesistenti. È vero che ogni tanto viene pubblicato qualche articolo scientifico sull’argomento, ma è altrettanto evidente che si tratta di pubblicazioni marginali. Intanto perché ripercorrono idee ormai superate, inoltre un articolo scientifico può essere importante ma se esso non contiene il compito di come sviluppare e spiegare, in modo esauriente, la prospettiva della propria ricerca dopo un po’ di tempo va a finire nel dimenticatoio. Oggi intorno al problema dell’origine della vita c’è un certo silenzio da cui, dopo un rapido cenno storico le cui problematiche ampiamente trattate trovate nei post di questo Blog, possiamo trarne profitto per fare una rapida e attenta considerazione su tutto ciò che è stato e dovrà essere.

Per secoli si è sempre pensato che la vita si originasse spontaneamente da alimenti in putrefazione e abiti sporchi. Inizialmente furono le ricerche di Francesco Redi e Lazzaro Spallanzani a mettere in dubbio tale credenza. Fu poi Louis Pasteur, intorno al 1860, a dimostrare sperimentalmente che nelle attuali condizioni chimico-fisiche del nostro pianeta la vita può generarsi solo dalla vita. Ma allora, esclusa la generazione spontanea, come ha avuto origine la vita sul nostro pianeta?

Per più di mezzo secolo, dopo Pasteur, non ci fu grande interesse sul problema dell’origine della vita. L’interesse sul problema riprese però quando nel 1924 Aleksandr I. Oparin pubblica un libro dal titolo “L’origine della vita” e nel 1929 J. B. S. Haldane pubblica un articolo sullo stesso argomento. Oparin e Haldane ipotizzavano la formazione delle sostanze fondamentali per l’origine della vita in un primitivo oceano o nell’atmosfera e trasportate dalle acque. In questo oceano primordiale si sarebbero formate molecole più complesse e da queste infine avrebbe avuto origine la vita. Tale ipotesi è nota come: teoria del brodo primordiale o prebiotico.

Intorno al 1950 con H. Urey e S. Miller inizia un programma operativo di ricerche. In particolare Miller, utilizzando un’atmosfera primitiva, priva di ossigeno e simile alle atmosfere di Giove, Saturno e Urano, con apporto di energia (scariche elettriche), riuscì a produrre amminoacidi, che sono componenti delle proteine, e molte altre sostanze organiche. Sembrava quindi confermata la teoria della formazione, nell’atmosfera primitiva, delle sostanze fondamentali per l’origine della vita e la loro raccolta in un “Brodo Primordiale” dove si sarebbe originata la vita.

Nasce in questo periodo la chimica prebiologica che si propone di individuare, oltre agli amminoacidi già scoperti, la formazione delle molecole fondamentali per l’origine della vita e la loro sintesi in un ambiente simile a quello della terra all’epoca della comparsa della vita. Negli anni che seguirono furono compiute diverse verifiche che confermarono i risultati dell’esperimento di Miller. Tutti questi lavori hanno confermato che in epoca prebiotica, sul nostro pianeta, era possibile la sintesi di un grande numero di sostanze organiche e tra queste spesso erano presenti amminoacidi.

Nello stesso periodo le stesse sostanze, in particolare gli amminoacidi, sono stati trovati nei meteoriti (condriti carbonacee) risalenti all’epoca della formazione del nostro sistema solare. La scoperta degli amminoacidi negli esperimenti di Miller e la loro presenza nei meteoriti dimostra, secondo gli scienziati, la facilità di sintesi di questi composti. Le scoperte sollevarono un grande entusiasmo tra gli scienziati e sembrava che, ben presto, si sarebbe riusciti a svelare il mistero della vita.

Ma da dove partire?

I primi organismi comparsi sulla terra vengono chiamati procarioti. Sono comunque organismi molto complessi e non è possibile che la vita abbia avuto origine direttamente con i procarioti. Prima dei procarioti esistevano sicuramente organismi, chiamati protoorganismi, molto più semplici e rudimentali. Ma quanto semplici?

Tutti gli organismi non possono fare a meno di 2 macromolecole fondamentali: gli acidi nucleici e le proteine (gli enzimi). Il protoorganismo anche se molto semplice li doveva contenere entrambi. Dobbiamo andare quindi alla ricerca dei costituenti, che hanno dato origine a queste macromolecole. Questi elementi costitutivi sono: i nucleotidi per gli acidi nucleici e gli amminoacidi per le proteine.

 Poiché, come accertato da Miller, gli amminoacidi erano facili da sintetizzare in epoca prebiotica, fu una conseguenza logica iniziare dalla sintesi delle proteine nel brodo prebiotico.

Ben presto però, per l’origine della vita nel brodo primordiale si presentarono dei problemi insormontabili. Selezione degli amminoacidi e sintesi delle proteine in ambiente acquoso sono, fisicamente e chimicamente impossibili. Questi problemi suggerirono a Sidney Fox di orientarsi verso il calore dei vulcani. Trattando una miscela di amminoacidi ad una temperatura tra i 100 e i 200 °C ottenne ciò che egli stesso ha chiamato Proteinoide che sembra avesse anche capacità catalitiche, ma ricerche successive non diedero grandi risultati.

Fallito il tentativo dell’origine spontanea delle proteine, sorse l’idea che per primo fosse apparso una qualche molecola di acido nucleico autoreplicante: il “Mondo a RNA”.

L’idea di un “Mondo a RNA” per l’origine della vita si rivelò molto più complessa. Intanto non era nota l’origine di tutti i costituenti dei nucleotidi. Inoltre, secondo Eigen questi processi sarebbero avvenuti in” bacini idrici”, ma la formazione dei nucleotidi e la sintesi di una molecola di acido nucleico avvengono tutte con eliminazione molecole di acqua, quindi la loro sintesi in ambienti acquosi è impossibile.

Quando l’interesse per il “Mondo a RNA” iniziò ad affievolirsi alcuni ricercatori pensarono che la vita possa aver avuto origine nelle profondità dell’oceano in prossimità delle bocche idrotermali, altri iniziarono a guardare lo spazio se non in cerca di aliene almeno di molecole complesse necessari per la sua origine.

Svanite anche queste idee è calato il silenzio.

E allora approfittiamo di questo silenzio per dare una nuova spinta al problema dell’origine della vita partendo dai dati probabili in nostro possesso.

1° dato. L’esperimento di Miller e la scoperta degli amminoacidi nelle condriti carbonacee hanno dimostrato che in epoca prebiotica queste sostanze erano facili da sintetizzare. Non ci sono particolari obbiezioni scientifiche a questa conclusione. Questi composti erano quindi abbondanti e diffusi su tutta la superficie del pianeta. Poiché gli amminoacidi sono i costituenti delle proteine è logico concludere che per prima sono comparse le proteine. E poiché le proteine non possono essere sintetizzate in ambiente acquoso, come ampiamente dimostrato, la loro sintesi deve essere necessariamente avvenuta sulla terraferma.

2° dato. L’elemento più diffuso della terraferma è il silicio e i suoi composti, i silicati, coprono oltre il 90% della crosta. I silicati vengono lentamente disgregati dagli agenti atmosferici e tale disgregazione dà origine alle argille. L’idea che le argille avrebbero potuto selezionare, accumulare, proteggere e successivamente catalizzare la formazione delle macromolecole necessarie alla vita fu proposta nel 1951 da J. D.  Bernal. Egli suggerì anche l’importanza del quarzo nella formazione delle molecole primitive. Il quarzo infatti si trova unito all’argilla, come gli aminoacidi presenta una forma D e una forma L, e avrebbe potuto dare origine ad adsorbimento preferenziale separando il destro dal levo.  È stato dimostrato che l’argilla e i suoi stati colloidali possono selezionare, accumulare e proteggere gli amminoacidi e molti ricercatori hanno dimostrato che è possibile ottenere polipeptidi utilizzando amminoacidi in presenza di argilla.

3° dato. Se le proteine, una volta formate, fossero state trasportate via dalle acque, lentamente si sarebbero decomposte in amminoacidi e la vita non sarebbe comparsa. Esse quindi, a decine, devono essersi accumulate in cavità e nicchie contenuti nei granuli di argilla, dando origine ad un primitivo citoplasma proteico.

4° dato. Formate le proteine ci servono i costituenti degli acidi nucleici. Ma questi costituenti devono, necessariamente, essersi formati negli stessi luoghi in cui si sono formate le proteine cioè nelle argille, altrimenti non avrebbero potuto interagire tra di loro. Tra le varie ricerche che hanno interessato la formazione di questi costituenti l’unica di notevole interesse è stata condotta da due scienziati italiani Ernesto Di Mauro e Raffaele Saladino.

Il risultato dei loro esperimenti sono stati descritti nel saggio “Dal big bang alla cellula madre l‘origine della vita” 2016. Di Mauro e Saladino hanno messo in evidenza la formazione delle basi azotate utilizzando la HCONH2 (Formammide) in presenza di argilla e minerali. La formammide, che ha un punto di ebollizione oltre i 200°C, era sicuramente presente in epoca prebiotica perché prodotta dalla reazione tra HCN e H2O. Questi esperimenti e la formazione degli zuccheri in presenza di zirconati, anch’essi presenti nelle argille, rientrano quindi a pieno titolo nella teoria di Bernal. Ci troviamo così ad avere, in epoca prebiotica, le basi necessarie per l’acido nucleico proprio all’interno di masse argillose, dove ha origine il primitivo citoplasma proteico.

 

Queste sono le conoscenze che a tutt’oggi presentano una certa attendibilità e, secondo me, il punto di incontro da cui ripartire per dare impulso e superare la dicotomia sul problema dell’origine della vita.

Partendo da questi dati io ho seguito il seguente percorso logico, percorso che può essere perfezionato o ribaltato con un altro più credibile. In questo articolo presento una sintesi su” Origine del protoorganismo” trattato nei post di questo Blog e nel saggio “Chimica prebiotica ed origine della vita” 2019, Nuova Edizione.

 

Così come la molecola dell’acqua per effetto dei suoi legami tra idrogeno e ossigeno presenta un campo elettromagnetico, anche una proteina per effetto dei suoi legami chimici dà origine ad un campo elettromagnetico. L’insieme dei campi elettromagnetici di tutte le proteine, all’interno della cavità, assieme alla presenza dell’acqua deve aver dato origine ad una macrostruttura ordinata, “quasi cristallina”, di acqua ed il sistema interattivo proteico assumeva l’aspetto di un gel generando un campo elettromagnetico interno e intorno a tale sistema.

Tale sistema può essere identificato come un primitivo citoplasma proteico. Esso attraverso l’entrata della cavità era in contatto con l’ambiente esterno che conteneva decine di basi azotate e decine di zuccheri, sia Destro che Levo.

Immaginiamo di avere un bicchiere di acqua e di aggiungere zucchero. Possiamo semplicisticamente dire che il campo elettromagnetico intorno alle molecole di zucchero è compatibile con quello delle molecole di acqua e quindi lo zucchero si scioglie in acqua. Se invece nel bicchiere mettiamo una goccia di olio, il campo elettromagnetico intorno alla molecole dell’olio non è compatibile con quello dell’acqua, l’olio non si miscela con l’acqua e si raccoglie alla sua superficie. E allora, quando in epoca prebiotica molecole di D-Ribosio e di L-Ribosio cercarono di diffondere all’interno della cavità il campo elettromagnetico del primitivo citoplasma proteico ha cooptato il D-Ribosio perché lo rendeva stabile o se volete perché era solubile nel sistema. L-Ribosio sinistrorso, venne respinto perché destabilizzava il sistema, non era solubile.

Oltre al Ribosio nelle masse argillose erano presente sicuramente altri zuccheri simili al Ribosio, anch’essi Destro e Levo, come per esempio l’Arabinosio. Il D-Arabinosio al pari del D-Ribosio era sicuramente complementare al campo elettrico dell’entità proteica. Ma perché è stato scelto il D-Ribosio e non il D-Arabinosio?

Perché le molecole di D-Ribosio e D-Arabinosio presentano livelli energetici diversi.  L’entità proteica riconosce quindi differenze di campo elettromagnetico e di livello energetico delle molecole. Questo principio deve aver funzionato anche nella scelta delle basi azotate. Solo i campi elettromagnetici associati alle molecole di Adenina, Citosina, Guanina, Uracile sono compatibili con il campo elettromagnetico intorno e interno all’entità proteica, e i loro livelli energetici stabilizzano l’equilibrio termodinamico. In definitiva l’entità proteica coopta le molecole dell’ambiente in base alla compatibilità del campo elettromagnetico e al contenuto energetico.

Semplicisticamente possiamo ancora concludere che Adenina, Citosina, Guanina, Uracile e D-Ribosio sono solubili nell’entità proteica mentre non lo sono tutte le altre basi azotate e zuccheri.

Ma il rudimentale citoplasma proteico altro non è che un insieme di enzimi. All’interno dell’entità, questi enzimi utilizzando il poco fosfato a disposizione nella soluzione, legano nel modo giusto il D-Ribosio con una delle basi e con fosfato dando origine ai nucleotidi. Atri enzimi legano nel modo giusto tre nucleotidi dando origine ai trinucleotidi. Come abbiamo ipotizzato nel post n. 27, in epoca prebiotica doveva esistere una interazione diretta tra un trinucleotide e un amminoacido specifico, un sistema chimico-fisico di riconoscimento e complementarietà. Ora, quando i trinucleotidi diffondono all’interno dell’entità e incontrano un’α-elica ogni trinucleotide si sovrappone allo specifico amminoacido dell’α-elica. Nel momento in cui ciascun amminoacido dell’α-elica è sovrapposto dallo specifico trinucleotide sarà l’azione enzimatica dell’α-elica a legare i trinucleotidi dando origine all’RNA, l’acido ribonucleico. Poiché l’RNA è stato sintetizzato da un enzima elicoidale, l’α-elica, esso risulta avere una struttura elicoidale. Se nella cavità erano presenti un centinaio di α-eliche diverse, esse daranno origine a un centinaio di RNA diversi. Gli RNA si sostituiscono alla silice e con gli amminoacidi in soluzione potranno sintetizzare gli enzimi che per varie cause venivano decomposti. Per utilizzare la metafora di Cairns-Smith: l’armatura, la silice, ha generato un arco, l’α-elica, che a sua volta ha generato un’armatura, RNA, che si sostituisce definitivamente alla prima.  La sintesi dei nucleotidi (Ribosio + base azotata +gruppo fosfato), la sintesi dei trinucleotidi e la sintesi dell’RNA avvengono tutte nel microambiente non acquoso della superfice degli enzimi. Queste condizioni permettono all’enzima una reattività straordinaria e diversa dalle reazioni in ambiente acquoso. Inoltre in tutte queste reazioni di sintesi si liberano molecole di acqua che andranno ad aumentare il caos universale. Si crea ancora ordine aumentando l’entropia: Caos dall’ordine.

Con la comparsa degli RNA l’entità si amplia dando origine ad un citoplasma contenente un sistema interattivo Acidi nucleici-Enzimi.

La nuova entità, cioè il citoplasma Acidi nucleici-enzimi, è il proto-organismo.

E allora, questo è lo scenario che ci troviamo di fronte.

In miliardi e miliardi di cavità, nicchie, anfratti e spazi inter-cristallini di un imprecisato ma enorme numero di masse argillose si sintetizzano un numero infinito di polipeptidi che danno origine ad un primitivo citoplasma proteico. Molecole di basi azotate e di D-Ribosio contenute nelle masse argillose che vengono cooptate all’interno del citoplasma proteico. Polipeptidi elicoidali che sintetizzano l’acido nucleico. L’interazione acidi nucleici-enzimi dà origine ad un numero sterminato di proto-organismi.

È probabile che all’inizio siano state le proteine di superficie, a costituire una membrana che si limitava a presidiare l’entrata della cavità. Queste proteine dovevano contenere rudimentali recettori e comunicavano all’interno lo stato dell’ambiente circostante. Ora, molte proteine contengono nella loro molecola tratti anfifile e questi devono essersi legati con sostanze anfifile esistenti nell’ambiente. Per la necessità di lasciare la cavità alla ricerca delle sostanze necessarie alla sopravvivenza, alle proteine che presidiavano la cavità vengono associate sempre più sostanze anfifile dall’ambiente circostante, fino a formare una rudimentale membrana, catalizzata dall’argilla, che avvolge tutto il proto-organismo. Le proteine che presidiavano la cavità devono essere state distribuite su tutta la superficie della membrana. La formazione della membrana formata da fosfolipidi e proteine è un processo spontaneo, come la formazione di vescicole, perché aumenta il caos universale ed è quindi sotto il controllo termodinamico. Essa è molto flessibile e può muoversi con facilità tra i granuli di argilla alla ricerca di nutrimento. Il proto-organismo diventa proto-cellula che, capace di muoversi autonomamente, abbandona la cavità.

 

                                                                                    Giovanni Occhipinti


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