lunedì 15 dicembre 2014

L'ORIGINE DELLE PROTEINE (Prima Parte)




Post n. 19

L’acqua è costituita da idrogeno e ossigeno. Noi conosciamo la struttura elettronica di questi due elementi, le loro proprietà chimico-fisiche, ma da queste conoscenze non possiamo desumere le proprietà dell’acqua. Il fatto che l’acqua è liquida a temperatura ambiente è una proprietà emergente che non è contenuta nelle singole parti, cioè nell’idrogeno e nell’ossigeno. Ciò che è valido per l’acqua è valido per tutte le sostanze, siano esse costituite da pochi atomi o da miglia di atomi. In definitiva con il termine “emergenza” si intende la comparsa di una nuova proprietà che non è contenuta nelle singole parti. Si parla anche di emergenza quando un certo numero di sostanze complesse, ciascuna con le sue proprietà, fanno parte di un complesso sistema interagente. Per molti scienziati la vita è una proprietà emergente che si genera da un complesso sistema di interazioni di tutte le specie molecolari presenti in una cellula. Emergenza la si deve intendere nel significato dato da Ernst Mayr in “L’unicità della biologia” 2005: «La comparsa di caratteristiche impreviste in sistemi complessi». «Essa non racchiude nessuna implicazione di tipo metafisica». «Spesso nei sistemi complessi compaiono proprietà che non sono evidenti (né si possono prevedere) neppure conoscendo le singole componenti di questi sistemi».
Gli attuali organismi viventi sono molto complessi. Anche i più semplici utilizzano alcune migliaia di specie di macromolecole organiche: acidi nucleici, proteine, lipidi, carboidrati. Quali e quanti di questi composti organici  facessero parte di un primitivo sistema complesso interagente da cui emerge l’omeostasi, cioè un citoplasma che ha dato origine ad un proto organismo, è sempre oggetto di dibattito.  Gli scienziati che si occupano del problema dell’origine della vita sono però tutti d’accordo nel ritenere che due molecole complesse non potevano mancare: gli acidi nucleici, verosimilmente l’RNA, e le proteine. Queste 2 macromolecole sono  interdipendenti nel senso che l’acido nucleico contiene il programma per sintetizzare le proteine. Ma l’acido nucleico da solo non riesce a sintetizzarsi e ha bisogno delle proteine per essere sintetizzato. Ecco perché sono interdipendenti: l’uno ha sempre bisogno dell’altro.
 L’origine di queste macromolecole fondamentali è però, a tutt'oggi, un mistero.
Come chiarisce Pier Luigi Luisi in “Sull’origine della vita e della biodiversità” 2013, in merito alle teorie sull’origine della vita: «Tutte condividono un problema  principale: ognuna di queste teorie deve partire da una serie di assunzioni più o meno arbitrarie». E in riferimento alle macromolecole fondamentali aggiunge: «Infatti, la grande maggioranza delle ipotesi ignora il problema principale, quello della biogenesi delle macromolecole a sequenza ordinata in molte copie identiche».
Ma, se il problema principale è la genesi delle macromolecole fondamentali, allora il primo obiettivo di una teoria per l’origine della vita deve essere quello di capire l’origine, in epoca prebiotica, di acidi nucleici e proteine.
I costituenti dell’RNA sono i nucleotidi. Essi sono formati da un gruppo fosfato, dal ribosio appartenente alla famiglia degli zuccheri e dalle basi azotate (adenina, citosina, guanina e uracile). Come abbiamo già ampiamente illustrato in precedenti articoli, zuccheri e basi azotate, in epoca prebiotica non esistevano. Tutte le ricerche condotte su questi composti rimangono esperimenti di laboratorio senza nessun collegamento con l’ambiente prebiotico.
D’altra parte, ad eccezione di qualche astrofisico, tutti coloro che si occupano dell’origine della vita sono d’accordo nel ritenere plausibile l’esperimento di Miller. È da ritenere quindi che in epoca prebiotica, partendo da molecole semplici come metano, ammoniaca, acqua e da altre molecole semplici si siano formati migliaia di composti organici e tra questi gli amminoacidi. La presenza di amminoacidi in epoca prebiotica è stata confermata dall’analisi delle meteoriti risalenti all’epoca della formazione del sistema solare. In particolare nelle condriti carbonacee è stata riscontrata una presenza di amminoacidi simile, per qualità e quantità, a quella trovata da Miller.
Poiché gli amminoacidi sono i costituenti delle proteine,  è ragionevole concludere che in epoca prebiotica le prime macromolecole fondamentali ad apparire fossero proprio le proteine. La formazione di queste molecole complesse rappresenta quindi un passaggio fondamentale  verso l’origine di un primitivo citoplasma e di conseguenza verso l’origine della vita.
La sintesi delle proteine  pone però dei problemi, già illustrati in altri articoli, ma che per completezza è utile riproporre con qualche esempio per rendere le cose più chiare ai non addetti ai lavori.

1) Le nostre mani  sono una l’immagine   speculare dell’altra, destra e sinistra, e non sono sovrapponibili.
it.wikipedia.org
 Forme che sono immagini speculari e non sovrapponibili vengono dette chirali. L’alanina è un amminoacido costituente delle nostre proteine. Se noi vogliamo preparare in laboratorio 1g di alanina, non otteniamo 1g di una sola forma molecolare ma 0,5g di una forma destro (D) e 0,5g della sua immagine speculare sinistro (L). Gli amminoacidi sono quindi chirali e infatti, gli amminoacidi ottenuti da Miller nel suo esperimento sono chirali.
  E chirali sono anche gli amminoacidi trovati nei meteoriti. Anche gli amminoacidi formatisi in epoca prebiotica, circa 4 miliardi di anni fa, erano sicuramente chirali . Di essi esisteva, quindi, una struttura L(levo) e la sua immagine speculare D (destro).

                                        Ala L                   Ala D



Queste due forme molecolari presentano le stesse proprietà chimico-fisiche e viaggiano sempre insieme. Poiché sia la forma D che la forma L, in epoca prebiotica, erano sicuramente disciolte in acqua, il disordine molecolare  avrebbe prodotto reazioni incrociate tra amminoacidi L e D e dato origine a proteine contenenti le due forme, ma di nessun interesse biologico.
La questione è, che in tutti gli organismi viventi, le proteine sono costituite solo da amminoacidi della forma L.


Ala L



Poiché gli attuali organismi viventi discendono per evoluzione di organismi primitivi, anche le proteine degli organismi primitivi dovevano essere costituite da amminoacidi L. Ma allora,  se le due forme molecolari presentano le stesse proprietà chimico-fisiche ed erano inseparabili, come è avvenuta la scelta degli amminoacidi L e che fine ha fatto il Destro?

2) In epoca prebiotica erano sicuramente disponibili un gran numero di amminoacidi diversi. Nell'esperimento di Miller, per esempio, sono stati trovati circa 60 amminoacidi diversi e altrettanti nei meteoriti.
Ma negli attuali organismi viventi solo 20 amminoacidi concorrono alla formazione delle proteine.
Come è avvenuta la scelta dei 20 amminoacidi?

3) La reazione tra amminoacidi per la formazione delle proteine avviene con l’eliminazione di H2O.

In condizioni prebiotiche, in ambiente acquoso, questa reazione non può avvenire spontaneamente perché va contro il secondo principio della termodinamica. Sarebbe come vedere un sasso che spontaneamente risale una collina.
Questi problemi sono anche interconnessi e non ha senso immaginare di risolverli con tre modelli diversi. Non si può pensare che per il primo problema sia intervenuto il caso, per il secondo un processo evolutivo e per il terzo un processo deterministico, cioè una pozzanghera in evaporazione.
In merito a queste problematiche Giuseppe Galletti e Valentina Sorgi su “Astrobiologia: le frontiere della vita” 2009, hanno individuato la centralità del problema quando affermano: «Queste particolarità devono essere spiegate, possibilmente con un unico modello di partenza».
In aggiunta a questi tre punti fondamentali specifici, ci sono altri problemi di carattere generale a cui è necessario dare una risposta.
A) Come l’esperimento di Miller ha dimostrato, in epoca prebiotica erano presenti molte altre sostanze organiche. La maggior parte di queste sostanze erano sicuramente inutili se non dannose e avrebbero ostacolato la formazione dei polimeri. 
B) La concentrazione degli amminoacidi, disciolti in acqua, era sicuramente molto bassa e in tali condizioni la sintesi dei polimeri sarebbe stata impossibile.
È quindi logico concludere, che in epoca prebiotica alcuni vincoli chimico-fisici dell’ambiente prebiotico abbiano funzionato da principio organizzatore per selezionare e concentrare le sostanze fondamentali per l’origine della vita e successivamente catalizzare la formazione delle macromolecole necessarie alla vita.
Inoltre non è possibile che uno di questi processi avvenga al polo nord, un altro all’equatore e l’altro al polo sud. Questi processi devono essere localizzati nello stesso punto. 
Ma la localizzazione da sola non basta. Come suggerisce Paul Davies in riferimento a queste tematiche, selezione, concentrazione e catalisi devono realizzarsi in simultanea. Non si può pensare che ad un dato istante vengono selezionati gli aminoacidi, da questi dopo un mese vengono selezionati i levo e dopo un anno si ha la catalisi.   
In definitiva il modello unico di partenza deve contenere, selezione, concentrazione e catalisi e tutti devono essere stati processi simultanei e localizzati.
La scienza ha ormai da tempo messo in evidenza come i pianeti, le stelle e l’universo intero siano il prodotto del caso e delle leggi naturali: caso e necessità. E indubbio che l’evoluzione degli organismi viventi sia anch’essa frutto del caso e della necessità.
Ma caso e necessità hanno governato anche i primi passi dell’origine della vita, cioè la sintesi dei biopolimeri? Se i passaggi sopra elencati devono far parte di un unico modello coerente si aprono due possibilità: o gli eventi sono stati tutti casuali o gli eventi sono stati tutti deterministici. Introdurre qua e là, a discrezione, qualche evento casuale o per usare la nuova terminologia qualche “accidente congelato”, è solo un espediente ad hoc per dare sostegno a teorie poco credibili. Ma la probabilità che tutti i passaggi sopra elencati siano stati eventi casuali e coincidenti è  come gridare al miracolo. E allora, gli eventi che hanno portato all’origine delle proteine devono essere stati tutti eventi deterministici.
Ma esiste una teoria che ci fornisce un principio organizzatore  e che ci permette di costruire un modello coerente attraverso processi esclusivamente deterministici?

In un secolo di ricerche sull'origine della vita, l’unico scienziato che ha suggerito una soluzione fu J. D. Bernal  nel 1951. Come noto le argille sono formate da vari strati cristallini sovrapposti. Ciascuno strato è costituito da due sotto strati,  uno di tetraedri di silice (Si2O52-)n e l’altro di ottaedri  di allumina idrata [Al2(OH)42+]n. Senza entrare troppo nei particolari, per la presenza di cariche  
elettriche i vari strati o sotto strati si neutralizzano a distanza. Tra uno strato e l’altro o tra un sotto strato e l’altro rimangono quindi degli spazi vuoti dove possono sistemarsi molecole di acqua o molecole che presentano dipoli elettrici come i costituenti delle macromolecole fondamentali. Si è calcolato che in un cm3 di argilla la superficie di questi spazi vuoti equivale a quasi la superficie di un campo di calcio. Bernal propose che le argille avrebbero potuto selezionare e concentrare le sostanze fondamentali per l’origine della vita e successivamente catalizzare la formazione delle macromolecole necessarie alla vita. Egli suggerì anche l’importanza del quarzo nella formazione delle molecole primitive. Il quarzo infatti si trova unito all'argilla, come gli aminoacidi presenta una forma D e una forma L e avrebbe potuto dare origine ad adsorbimento preferenziale separando il destro dal levo. Poiché  all'interno dell’argilla ci sarebbe stata anche simultaneità e localizzazione, l’ipotesi di Bernal ci fornisce, di fatto, un modello coerente.  

                                                                    Giovanni Occhipinti


Prossimo Articolo: Origine delle Proteine (2a parte), seconda metà febbraio

giovedì 20 novembre 2014

ORIGINE DEI COSTITUENTI DI ACIDI NUCLEICI E PROTEINE


 Post n. 18a

 

I costituenti di acidi nucleici e proteine hanno origine extraterrestre?

Tutti gli organismi viventi sono strutture più o meno complesse ma tutti non possono fare a meno di 2 macromolecole fondamentali: gli acidi nucleici o cromosomi costituiti da un gruppo fosfato e due composti organici Ribosio e Basi azotate, depositari dell’informazione genetica, e le proteine, in particolare gli enzimi che controllano le reazioni che avvengono all’interno di tutti gli organismi viventi, i cui costituenti sono gli amminoacidi. I costituenti degli acidi nucleici e delle proteine sono gli stessi, in qualità e quantità, in tutti gli organismi viventi. Ciò ha portato gli scienziati a concludere che tutti gli organismi estinti e viventi sul nostro pianeta discendono da un singolo organismo vivente ancestrale: il progenitore universale. In inglese viene denominato last universal common ancestor, (LUCA), l’ultimo progenitore universale comune. Questo spiegherebbe anche una verità indiscutibile: la vita è unitaria.

   Acidi nucleici e proteine sono inoltre interdipendenti nel senso che l’acido nucleico (spesso identificato come il software) contiene il programma di come sintetizzare le proteine. Ma l’acido nucleico da solo non riesce a sintetizzarsi e ha bisogno delle proteine (hardware) per essere sintetizzato. Ecco perché sono interdipendenti: l’uno ha sempre bisogno dell’altro.

   I primi organismi, anche se molto semplici, li dovevano contenere entrambi. Dobbiamo andare quindi alla ricerca delle molecole fondamentali, cioè i costituenti, che hanno dato origine a queste macromolecole.

Ma questi costituenti, hanno un’origine extraterrestre?

   Che cosa sia successo veramente 13,6 miliardi di anni fa non lo sappiamo, sappiamo però che è successo e lo abbiamo chiamato Big Bang. Sappiamo anche che, dopo 380 mila di anni dal Big Bang, quando la temperatura dell’universo di allora scese intorno a duemila gradi, gli elettroni(-) e i protoni (+) si legarono dando origine all’idrogeno (H), elio (He), e piccole quantità di Litio (Li). L’attrazione gravitazionale tra gli atomi di questi elementi diede origine alle prime stelle. Fu all’interno delle stelle massicce, ad una temperatura di centinaia di milioni di gradi attraverso la fusione nucleare che, partendo dall’idrogeno, si formarono altri elementi chimici e tra questi il Carbonio (C), l’Azoto (N), e l’Ossigeno (O) cioè quegli elementi che costituiscono il 99% del nostro corpo. Il collasso gravitazionale di queste stelle, a migliaia di milioni di gradi, completò il quadro dando origine a tutti gli altri elementi naturali. E allora, per quanto riguarda gli elementi, non c’è alcun dubbio: siamo “figli” delle stelle.

Ma siamo anche figli dello spazio? Cioè le sostanze fondamentali per l’origine della vita, amminoacidi, zuccheri e basi organiche, provengono dallo spazio?

   L’idea, lanciata per la prima volta da Juan Orò nel 1961 e ripresa negli anni settanta da F. Hoyle e C. Wickramasinghe, in sé ha un suo fascino.

   Sappiamo che il nostro sistema solare ha avuto origine 4,6 Miliardi di anni fa dalla condensazione di una nube di gas e polveri. Il nostro pianeta era all’inizio martoriato dagli impatti di meteoriti e asteroidi.  Gli impatti, nel tempo, si sono diradati ma non sono mai cessati. Alcuni di questi meteoriti, precipitati negli ultimi due secoli, sono stati raccolti e studiati. In totale sono conservati oltre un migliaio di meteoriti ma solo alcuni, denominate condriti carbonacee, presentano un interesse per i nostri scopi. Questi meteoriti datati 4,5 miliardi di anni fa, hanno avuto origine durante la formazione del sistema solare. L’analisi chimica, condotta agli inizi degli anni settanta in questi frammenti extraterrestri, ha evidenziato la presenza di amminoacidi, costituenti delle proteine. Questi amminoacidi si presentano nelle due forme Destro e Levo, come esamineremo ampiamente più avanti, e quindi di sicura provenienza extraterrestre e non biologica. Inoltre sono stati individuati anche idrocarburi (costituiti da H e C) di peso molecolare anche elevato e la presenza di tracce di purine e pirimidine. Queste ultime sostanze hanno struttura molecolare abbastanza vicina a quella delle basi azotate. In nessuno caso è stata però individuata la minima traccia di zuccheri e basi azotate, cioè i costituenti degli acidi nucleici, mentre è ormai accertata la presenza di amminoacidi. Quindi dalle profondità dello spazio ci arrivano testimonianze di processi chimici che hanno dato origine a sostanze fondamentali per l’origine della vita. Rimane però ancora da chiarire se le molecole organiche dei meteoriti facevano già parte della nube di gas e polveri che ha dato origine al sistema solare o se esse si siano formate durante la fase di condensazione della nube stessa attraverso apporti di energia.

   Intorno alla fine degli anni settanta, l’idea di una origine extraterrestre delle sostanze fondamentali per l’origine della vita ricevette un forte impulso. Nelle nubi interstellari di gas (più o meno ionizzati) e polveri, i radioastronomi hanno individuato diversi sostanze organiche semplici e tra questi aldeide formica (HCHO) e acido cianidrico (HCN). Un elenco completo di tutte le sostanze organiche (circa 40) individuate nello spazio fino agli inizi degli anni ottanta è contenuto in un articolo di Leo Blitz: Complessi giganti di nubi molecolari nella Galassia, Le Scienze 1982. Però di molecole un po’ più complesse, importanti per l’origine della vita, nessuna traccia.

   Si pensava di poterle individuare in un prossimo futuro, ma non era ancora chiaro in che modo queste molecole sarebbero arrivati dallo spazio sul nostro pianeta. Come singole molecole sarebbero state distrutte dall’ultravioletto solare, letale non solo per gli organismi viventi ma anche per le molecole fondamentali per l’origine della vita. Se le molecole fossero state contenute all’interno di asteroidi caduti sul nostro pianeta, sarebbero state distrutte dall’enorme calore sprigionato dall’impatto o rimasti imprigionati all’interno dei frammenti.

   Comunque, intorno alla metà degli anni ottanta, la maggior parte degli scienziati impegnati nella ricerca in chimica prebiotica, era dell’opinione che l’origine extraterrestri di sostanze organiche dimostrasse solo la facilità con cui queste molecole possono essere sintetizzate in presenza di carbonio, idrogeno, azoto e ossigeno.

   Tale opinione fu anche ben sintetizzata da Mario Ageno,  allievo di Enrico Fermi e collaboratore di Edoardo Amaldi, attento e profondo studioso di Biofisica che in “Lezioni di Biofisica 3”, 1984 concludeva: «Anche se una minima frazione di esse riuscisse alla fine a sopravvivere e a raggiungere in qualche modo l’idrosfera del pianeta, difficilmente l’evoluzione chimica potrebbe procedere oltre, fino alla comparsa di organismi viventi, senza un apporto continuo e di ben altro ordine di grandezza di sostanze di nuova sintesi di provenienza locale».

   La scoperta di molecole organiche nello spazio, pose però una riflessione. Se le nubi interstellari contengono molecole organiche prebiotiche, esse dovevano essere presenti anche nella nube che ha dato origine al sistema solare. Si è pensato quindi che, durante la formazione del sistema solare, nei pianeti in prossimità del sole, per l’enorme calore, queste molecole fossero state distrutte. Esse si salvarono però nelle zone più fredde, cioè ai confini del sistema solare, dove vennero inglobate nelle comete. Si è diffusa quindi, tra gli scienziati, la convinzione che le comete fossero un residuo della nebulosa che ha dato origine al sistema solare e che in esse fossero contenute le sostanze organiche necessarie per l’origine della vita.

Inizia la caccia alle comete.

   Intorno alla metà degli anni novanta nella chioma delle comete Hyakutake e Hale-Bopp sono state individuate composti organici e tra questi aldeide formica (HCHO) e acido cianidrico (HCN). Però di molecole un po’ più complesse, importanti per l’origine della vita, ancora nessuna traccia.

   Intanto si è osservato che, quando nello spazio interstellare molecole di acqua, metanolo, ammoniaca e idrocarburi si depositano su polvere silicea, si formano dei grani gelati. Secondo alcuni scienziati, all’interno di questi granuli, si sarebbero potuto accumulare sostanze organiche anche complesse e lo strato di ghiaccio li avrebbe protetti dall’ultravioletto. Altri ricercatori ritengono che, se lo strato di ghiaccio non fosse stato sufficientemente spesso, le sostanze organiche sarebbero state spezzate dai raggi ultravioletti. I residui, non potendosi disperdere nello spazio, avrebbero potuto prima o poi reagire dando origine a molecole più complesse. Entrando nell’atmosfera le sostanze organiche, contenute nelle cavità del granulo, sarebbero state protette dal surriscaldamento. Granuli gelati sono stati riprodotti in laboratorio, denominati “analoghi di granuli gelati”. In questi “analoghi” sono stati individuati sostanze organiche semplici come chetoni, eteri ed alcoli.

   Comunque a rileggere l’articolo di M. Bernstein, A. Sandford e J. Allamandola: “Dallo spazio le molecole della vita”, Le Scienze, 1999, tolta l’enfasi, comprensibile per chi lavora alla NASA, non c’è traccia di molecole importanti per l’origine della vita.

   Nel 2002, dopo vent’anni dalla pubblicazione dell’articolo di Leo Blitz e quindi dopo altri vent’anni di ricerche di radioastronomia, viene pubblicato da P. Ehrenfreund e al.: “Astrophysical and astrochemical insights into the origin of life” Rep. Prog. Phys. 65 2002 1427–1487 un elenco aggiornato, circa 70, di sostanze organiche individuate dalla radioastronomia nello spazio. Tra queste sostanze Ehrenfreund include la Glicina, un amminoacido molto semplice che fa parte delle nostre proteine, ma aggiunge un punto interrogativo. Anche in questo nuovo elenco, non c’è ancora traccia di molecole complesse importanti per l’origine della vita.

   Nello stesso articolo Ehrenfreund pubblica l’elenco delle sostanze individuate nelle comete Hyakutake e Hale-Bopp, ca 35, un numero addirittura inferiore alle 70 sostanze della radioastronomia, e tutte già individuate nello spazio interstellare. Non sembra, quindi, che all’interno delle comete avvengano particolari reazioni di sintesi. Nella tabella Ehrenfreund include ancora la Glicina ma stavolta senza il punto interrogativo; però a commento della tabella scrive: «Glycine, the simplest amino acid, has not yet been detected, […]».

   Nel 2006 sono stati riportati a terra le polveri della cometa Wild 2, prelevati con la missione Stardust. L’analisi ha evidenziato la presenza di ammine e molecole costituite da lunghe catene di atomi di carbonio. Nel 2009, dopo tre anni dalla pubblicazione dei primi dati, la NASA annuncia con grande enfasi che nelle polveri di Wild 2, rifatte le analisi, sono state trovate tracce di Glicina.

Che dire; finalmente, ce l’hanno fatta.

È opportuno per concludere fare qualche precisazione partendo da alcuni parametri. Le stelle massicce, che si formano all’interno delle immense nubi di gas e polveri, hanno una vita media di circa 3 milioni di anni e la maggior parte della loro energia la emettono sotto forma di raggi ultravioletti. Anche il nostro sole emette raggi ultravioletti che distruggerebbero amminoacidi e basi azotate fino ai confini del sistema solare. Quando il sole ebbe origine l’intensità delle radiazione era diecimila volte superiore a quella odierna. Lo spazio è quindi permeato da raggi letali non solo per gli organismi viventi, ma anche per molecole importanti per l’origine della vita.

   Nelle nubi interstellari la materia è estremamente rarefatta. Alla temperatura di -260°C la densità media è di 100 molecole di idrogeno per cm3 e piccole frazioni di azoto, ossigeno e carbonio. Questi elementi, atomizzati o ionizzati dai raggi ultravioletti, attraverso urti casuali hanno dato origine a sostanze molto semplici come aldeide formica, acido cianidrico e ammine. Parte di queste sostanze vengono distrutte dai raggi ultravioletti per poi magari riformarsi più tardi in altri luoghi. Ora, le molecole fondamentali per l’origine della vita come amminoacidi, zuccheri e basi azotate, anche se sono molecole di peso molecolare relativamente basso, non sono così semplici ma hanno una loro complessità. Qual è la probabilità che molecole di questo tipo possano essersi formate nello spazio, da atomi e ioni estremamente rarefatti, per urti casuali e a temperature così basse; e quale la probabilità che possano aver resistito ai raggi ultravioletti. Il buon senso di cartesiana memoria ci suggerisce che tale probabilità è praticamente zero.

   E poi, anche se qualche molecola utile all’origine della vita si dovesse formare quale potrebbe essere la sua utilità. La quantità di molecole necessarie all’origine della vita è di un tale ordine di grandezza che lo spazio ne dovrebbe essere permeato e invece lo spazio è permeato di raggi che distruggono tali molecole. E allora, per quanto riguarda le sostanze fondamentali per l’origine della vita, non siamo “figli” dello spazio.

   Lo spazio con i suoi raggi ultravioletti è la dimora della morte. Ne sapevano qualcosa i primi organismi viventi sulla terra, che erano costretti a ripararsi nel fango o, come vedremo più avanti, in acque oltre la profondità di 10 metri. Soltanto dopo circa due miliardi di anni la concentrazione dell’ossigeno, prodotto dai microorganismi autotrofi e liberato nell’atmosfera ha dato origine allo scudo di Ozono (O3), ha bloccato i raggi ultravioletti e la vita è riuscita a strappare alla morte qualche chilometro di spazio e occupare la superfice e l’atmosfera del pianeta.

   Però, gli organismi viventi esistono grazie al fatto che lo spazio è la dimora della morte. La vita è stata possibile sulla terra, grazie al fatto che lo spazio è stato sterilizzato dai raggi ultravioletti.

   Le sostanze organiche a noi note sono ormai, sulla terra, oltre un milione e mezzo. Immaginate se nello spazio, attraverso urti casuali e in assenza di raggi ultravioletti, si fossero originate le sostanze fondamentali per l’origine della vita e centinaia di migliaia di altre sostanze organiche la maggior parte dannose per l’origine della vita. Arrivati sulla terra, in un calderone oceanico, da queste sostanze solo un miracolo potrebbe aver dato origine alla vita.

E allora, le molecole organiche che la radioastronomia individua nello spazio altro non sono che ceneri di una perenne cremazione, grazie alla quale la vita ha potuto avere origine sulla terra.

   Quanto sopra esposto porta a concludere che lo spazio non è la sede dell’origine delle sostanze fondamentali per l’origine della vita.

   Gli impatti cometari sul nostro pianeta hanno, probabilmente, ripristinato in epoca prebiotica l’atmosfera primitiva, aggiunto acqua al nostro pianeta e probabilmente anche qualche sostanza organica semplice tipo aldeide formica e acido cianidrico. È anche probabile che durante la fase di contrazione della nube primitiva, da composti presenti nella nube come metano, ammoniaca, idrogeno e acqua, attraverso apporti di energia sono stati prodotti parecchie sostanze organiche e tra questi gli amminoacidi. Alcuni di questi amminoacidi sono stati imprigionati nei meteoriti, altri devono essere stati distrutti dall’ultravioletto solare e dall’elevata temperatura di contrazione della nube.

   È quindi sempre valida la conclusione cui erano giunti gli scienziati negli anni ’80: i processi naturali, in condizioni prebiotiche, sul nostro pianeta, devono essere stati capaci di produrre le sostanze fondamentali per l’origine della vita e che il contributo di sostanze organiche semplici, proveniente dallo spazio, semmai c’è stato, è da considerarsi ininfluente.

 

I costituenti di acidi nucleici e proteine hanno un origine terrestre? La teoria del brodo prebiotico.

 

Le proteine costituiscono tessuti e organi, permettono alle cellule di comunicare, controllano ciò che deve entrare e uscire dalla cellula, fungono da anticorpi.

   Tutti gli organismi viventi hanno anche una complessità di funzioni interdipendenti che permette loro: la nutrizione, la crescita, la riproduzione, l’evoluzione, la reazione agli stimoli, la morte. Tutte queste funzioni vitali hanno in comune il metabolismo; cioè quel processo di reazioni chimiche coadiuvate da proteine (enzimi) che permettono agli organismi viventi di funzionare. All’interno della cellula si trovano migliaia di enzimi che regolano e programmano migliaia di reazioni chimiche, nessuna reazione biologica e nessuna delle funzioni sopra elencate può avvenire senza il loro intervento, nemmeno la sintesi degli acidi nucleici. Le proteine sono macromolecole i cui costituenti sono gli amminoacidi.

Ma gli amminoacidi, in epoca prebiotica, erano presenti sul nostro pianeta? E poi, i costituenti organici degli acidi nucleici, Ribosio e Basi azotate erano anch’essi presenti?

   Intorno al 1870 in una lettera ad un amico Darwin scriveva: «Se (ed è un se bello grosso) potessimo immaginare che in una piccola pozza calda, ricca di ammoniaca, sali fosforici, luce, calore, elettricità, ecc., si fosse formato chimicamente un composto proteico, pronto a passare attraverso cambiamenti ancor più complessi [...]». Ma la posiziona ufficiale di Darwin era ferma e chiara: allo stato attuale delle conoscenze non è possibile (ultra vires) formulare un teoria sull’origine della vita.

   Nel 1924 A. I. Oparin, che allora ricopriva la cattedra di Biochimica vegetale all’università di Mosca traduce quest’idea in una sorta di teoria scientifica e la pubblica in un libro: “Origine della vita”1924. Secondo Oparin sul nostro pianeta il carbonio era legato ai metalli sotto forma di carburi. Questi venendo a contatto con vapore acqueo hanno reagito dando origine a idrocarburi e per successive reazioni a tanti altri composti organici. Quando la temperatura sulla superficie della terra scese sotto i 100°C, l’acqua iniziò a condensare e tutti questi composti, contenuti nell’atmosfera, vennero trascinati in un “primitivo oceano bollente” dove iniziarono a reagire formando molecole sempre più grandi. L’aggregazione successiva di queste macromolecole avrebbe dato origine a particelle di gel, “coacervati”. I coacervati organici avrebbero assorbito e assimilato sostanze dall’ambiente e successivamente, dividendosi, avrebbero dato origine a “organismi primitivi” alcuni capaci di metabolizzare. Il processo evolutivo e la selezione naturale avrebbero dato origine, alla fine, a tutti gli organismi viventi.

   Secondo Mario Ageno (opera citata): «L’idea fondamentale è certamente molto brillante e non perde il suo interesse neppure oggi. Ciò tuttavia non deve far dimenticare che una simile «teoria» passa sotto silenzio tutti i grossi problemi, tutte le più grosse sfide che l’idea di una origine della vita dalla materia inorganica per cause naturali pone alla nostra mente».

   Nel 1929 J. B. S. Haldane, senza conoscere le idee di Oparin, pubblica un breve articolo sull’ origine della vita. Secondo Haldane l’atmosfera primitiva non conteneva Ossigeno ma, probabilmente, idrogeno (H2), acqua (H2O), ammoniaca (NH3), e biossido di carbonio (CO2). Molecole più complesse si sarebbero formate nell’atmosfera per effetto delle radiazioni solari. Questi composti organici, trascinati dalle piogge si sarebbero accumulati in un oceano primitivo dove reagendo avrebbero formato molecole complesse dando origine ad un “brodo caldo diluito” e qui avrebbero avuto origine i primi organismi. Il brodo caldo diluito fu subito tradotto in “Brodo Primordiale”; nata la metafora, inizia la teoria.

Intanto nelle atmosfere di Giove, Saturno e Urano furono scoperte metano (CH4) e ammoniaca.

   Intorno al 1950 con H. Urey e S. Miller inizia un programma operativo di ricerche. In particolare, utilizzando una miscela di idrogeno (H2), acqua (H2O), ammoniaca (NH3), e metano (CH4), S. Miller con apporto di energia (scariche elettriche), riuscì a produrre amminoacidi, che sono componenti delle proteine, e molte altre sostanze organiche. Nasce in questo periodo la chimica prebiologica che si propone di individuare, oltre agli amminoacidi già scoperti, la formazione delle molecole fondamentali per l’origine della vita e la loro sintesi in un ambiente simile a quello della terra all’epoca della comparsa della vita. La scoperta sollevò un grande entusiasmo tra gli scienziati e sembrava che, ben presto, si sarebbe riusciti a svelare il mistero della vita.

   Negli anni che seguirono furono compiute diverse verifiche che confermarono i risultati dell’esperimento di Miller. Inoltre diversi ricercatori hanno eseguito esperimenti sia variando la composizione della miscela gassosa sia le fonti di energia. Tutti questi lavori hanno confermato che in epoca prebiotica, sul nostro pianeta, era possibile la sintesi di un grande numero di sostanze organiche e tra queste spesso erano presenti amminoacidi. Attraverso questi esperimenti è stata dimostrata la presenza, in epoca prebiotica, di circa 60 amminoacidi diversi. Inoltre è stata dimostrata anche la presenza di acido cianidrico, (HCN), precursore delle purine, di aldeide formica, (HCHO), precursore del ribosio e di altre importanti sostanze organiche tra cui l’urea. Non bisogna sottovalutare l’importanza di queste piccole molecole in quanto esse potrebbero essere state i precursori di zuccheri, basi azotate, e amminoacidi. Infatti il Ribosio, molecola fondamentale per RNA, è un pentamero dell’aldeide formica (HCHO) nel senso che cinque molecole di aldeide formica potrebbero dare origine a una molecola di ribosio. E l’adenina, base azotata fondamentale per gli acidi nucleici, è un pentamero dell’acido cianidrico (HCN). In questi esperimenti però Ribosio e Basi azotate, costituenti degli acidi nucleici, non sono stati mai individuati. Essi comunque dovevano essere presenti e come vedremo si sono probabilmente formate per altre vie. Tutto ciò porta a concludere che sul nostro pianeta i processi naturali possono aver prodotto le sostanze fondamentali necessarie all’origine della vita.

   È rimarchevole il fatto che le stesse sostanze, in particolare gli amminoacidi, come abbiamo già illustrato, siano stati trovati anche nei meteoriti risalenti all’epoca della formazione del nostro sistema solare. La scoperta degli amminoacidi negli esperimenti di Miller e la loro presenza nei meteoriti dimostra, secondo gli scienziati, la facilità di sintesi di questi composti. Manfred Eigen in riferimento agli esperimenti alla Miller (opera citata), afferma: «Ciò che rende significativi questi esperimenti è non tanto il fatto che si formino in generale amminoacidi, ma che le loro frequenze relative corrispondano a quelle che si riscontrano in natura, e in particolare nei composti organici scoperti nei meteoriti.»

   Agli inizi degli anni ’90, alcuni ricercatori hanno messo in dubbio la presenza di un’atmosfera primordiale costituita da CH4, NH3, H2O e H2. Questi ricercatori hanno ipotizzato un’atmosfera primordiale costituita da CO2, N2, e H2O, e in tali condizioni la formazione degli amminoacidi con apporti di energia non si verifica. Miller ha definito questi lavori ipotesi senza dati a sostegno. Nessuna ricerca seria ha mai messo in dubbio la presenza di amminoacidi in epoca prebiotica.

   Possiamo concludere che numerosi e forti indizi dimostrano la presenza degli amminoacidi in epoca prebiotica sul nostro pianeta. Dalla sintesi di queste molecole hanno origine le proteine.

Siamo figli della terra.

   Malgrado queste importanti scoperte negli anni a seguire non si sono fatti altri passi avanti. Il motivo è stato che gli esperimenti alla Miller sembravano confermare la teoria di Haldane nella sua totalità cioè, di un atmosfera primitiva priva di O2, della formazione nell’atmosfera delle sostanze fondamentali per l’origine della vita e la loro raccolta in un “Brodo Primordiale” dove si sarebbe originata la vita. La quasi totalità degli scienziati ha accettato l’ipotesi dell’origine della vita in un oceano primitivo. Ma ormai da oltre mezzo secolo è stato dimostrato che l’origine della vita in un oceano primordiale, pone, fondamentalmente quattro problemi insormontabili. La metafora del “Brodo primordiale” è però talmente potente che, ancor oggi, la scienza non riesce a liberarsene.

Ma quali sono, infine, questi quattro problemi insormontabili, e quali sono le soluzioni proposte e i commenti di autorevoli scienziati?

   1) Le nostre mani sono una l’immagine speculare dell’altra, destra e sinistra, e non sono sovrapponibili. Forme che sono immagini speculari e non sovrapponibili vengono dette chirali. Le molecole degli amminoacidi, componenti delle proteine, esistono sotto due forme, Destro e Levo, e sono una l’immagine speculare dell’altra.  Se si preparano gli amminoacidi in laboratorio, per esempio l’Alanina, ciò che si ottiene è 50% di Alanina Destro e 50% di Alanina Levo. Anche gli amminoacidi scoperti da Miller nel suo ormai famoso esperimento erano metà Destro e metà Levo, e così anche gli amminoacidi trovati nei meteoriti. Quindi nel mondo prebiotico gli amminoacidi dovevano essere metà D e metà L. Queste due forme viaggiano sempre assieme ed è impossibile la loro separazione spontanea in ambiente acquoso.

 

 L                                D

   Poiché sia la forma D che la forma L, in epoca prebiotica, erano sicuramente disciolte in acqua, il disordine molecolare avrebbe prodotto reazioni incrociate tra amminoacidi D e L e dato origine a proteine contenenti le due forme, ma di nessun interesse biologico.

   La questione è che le proteine di tutti gli organismi viventi sono costituite soltanto di amminoacidi Levo, la vita è asimmetrica.

 


                                                                                         

                                            

   Poiché gli attuali organismi viventi discendono per evoluzione di organismi primitivi, anche le proteine degli organismi primitivi dovevano essere costituite da amminoacidi L. Ma allora, se le due forme molecolari presentano le stesse proprietà chimico-fisiche ed erano inseparabili, come è avvenuta la loro separazione e che fine ha fatto il Destro?

   Secondo Dickerson (articolo citato): «[…] può darsi che, in un certo periodo vi sia stata una vita primitiva, o dei precursori di questa, basata sia sugli Amminoacidi D sia su quelli L con una probabilità del 50% e che, alla fine, prevalessero sugli altri gli amminoacidi L».

   È già difficile immaginare l’origine di una vita primitiva, immaginarne due, una Destro e l’altra Levo, è veramente arduo.

   2) Le reazioni tra amminoacidi per la sintesi delle proteine avvengono tutte con eliminazione di H2O.

 

 


  

In condizioni prebiotiche, in ambiente acquoso, questa reazione non può avvenire spontaneamente perché va contro il secondo principio della termodinamica. Sarebbe come vedere un sasso che spontaneamente risale una collina.

   Secondo S. Fox le proteine si sarebbero formate in prossimità dei coni vulcanici a temperatura di 200°C e solo successivamente sarebbero state dilavate dalla pioggia e raccolte nel brodo dove si sarebbero formate microsfere resistenti all’azione demolitrice dell’acqua. In alternativa si è immaginato che il brodo primordiale fosse in realtà una pozza d’acqua in prossimità dell’oceano e soggetta a continua evaporazione. Si è anche pensato di risolvere il problema immaginando reazioni secondarie tra amminoacidi con composti ricchi di energia, ma questi passaggi moltiplicano enormemente il numero delle reazioni. Per ottenere una sola molecola di un polimero di 40 amminoacidi sarebbero state necessarie centinaia di reazioni consecutive, e questo appare poco credibile.

In definitiva, per gli scienziati la questione è ancora aperta.

   3) In epoca prebiotica erano sicuramente disponibili un gran numero di amminoacidi diversi. Nell’esperimento di Miller, per esempio, sono stati trovati circa 60 amminoacidi diversi e altrettanti nei meteoriti. Ma negli attuali organismi viventi solo 20 amminoacidi concorrono alla formazione delle proteine.

Come è avvenuta la scelta dei 20 amminoacidi?

   La spiegazione prevalente è quella più ovvia: vi furono false partenze che si estinsero perché non poterono competere con le linee che invece sopravvissero.

   4) L’atmosfera primitiva sicuramente non conteneva O2 (Ossigeno) e quindi lo scudo di O3 (Ozono) era assente. I raggi ultravioletti, in quantità maggiori di quelli attuali, raggiungevano la superfice della terra. In un primitivo oceano, essi raggiungevano la profondità di 10 metri. Diffusione, agitazione termica e correnti, avrebbero prima o poi portato tutte le sostanze organiche in questa fascia e sarebbero state distrutte.

   Per risolvere questo problema si immagina che i primi organismi si siano originati ancorati al fondo di lagune poco profonde non inferiori ai 10 metri. Per alcuni ricercatori il problema non esiste, in quanto la vita avrebbe avuto origine nei fondali oceanici in prossimità delle bocche idrotermali.

   Ora, è evidente a chiunque che tutte le ipotesi fatte per colmare queste lacune sono in realtà delle modificazioni ad hoc, spesso anche in contraddizione tra di loro e senza alcuna possibilità di verifica sperimentale. A conferma del fallimento della teoria del brodo primordiale Mario Ageno in “Le radici della biologia”1986, scrive: «Possiamo quindi dire che all’inizio degli anni ’80 la ricerca sull’origine della vita è entrata in crisi».

   Come già detto, gli acidi nucleici e le proteine (enzimi) sono macromolecole fondamentali per gli organismi viventi e senza dubbio in un primitivo organismo essi non potevano mancare. Ora, mentre gli acidi nucleici contengono l’informazione genetica per il montaggio delle proteine, queste ultime sono necessarie per il montaggio degli acidi nucleici. Acidi nucleici e proteine sono cioè interdipendenti, gli uni hanno bisogno degli altri. È ciò che in Biofisica viene denominato “Il problema dell’uovo e della gallina”, chi è comparso per prima?

   Quando alla fine degli anni `60 divenne evidente il fallimento della sintesi delle proteine nel brodo prebiotico, i ricercatori iniziarono a guardare con interesse agli acidi nucleici. Fu in quegli anni che inizia a nascere l’idea del “Mondo a RNA”. L’idea originale era che, nel brodo primordiale, fossero comparse per prima molecole di RNA con le due funzioni in una: contenere l’informazione genetica e svolgere funzione di enzimi catalizzando inizialmente la loro stessa sintesi e successivamente la sintesi delle proteine; cioè essere uovo e gallina contemporaneamente. Esperimenti condotti da Sol Spiegelman dell’università dell’Illinois e da Manfred Sumper del Max Planck Institut (“L’origine dell’informazione genetica”, Manfred Eigen e al.  1981) diedero un grande impulso a questa idea. Ben presto fu però chiaro che la sintesi spontanea di molecole di RNA in un mondo primordiale è praticamente impossibile.

Nel 1983 una grande scoperta ridiede un temporaneo vigore al “(Mondo a RNA) e alla teoria del brodo prebiotico. Thomas R. Cech e Albert Altmann scoprirono che alcuni tipi di RNA (Acido Ribonucleico) sono capaci di comportarsi sia come acidi nucleici che come enzimi (cioè sono uovo e gallina insieme) e li hanno chiamati “Ribozimi”.

   Anche il “mondo a RNA” sollevò un grande entusiasmo, ma dopo circa un decennio e malgrado i contributi di tanti eminenti ricercatori il “mondo a RNA” si rivelò, per la teoria del brodo prebiotico, un altro fallimento. Verso la metà degli anni ’90 Christian De Duve in “Polvere vitale”,1998 sintetizza: «È onesto dire che non è stato ancora trovato alcun meccanismo in grado di spiegare in modo soddisfacente la sintesi prebiotica dell’RNA, nonostante sforzi considerevoli compiuti da alcuni fra i migliori chimici del mondo. Persino i più fedeli difensori del mondo a RNA hanno espresso opinioni pessimistiche sulle future prospettive di questa linea di ricerca». E dopo un decennio in “Alle origini della vita” (2008) aggiunge: «Nonostante tutti quegli sforzi, i tentativi di riprodurre la sintesi dell’RNA in condizioni prebiotiche hanno conseguito solo successi limitati. I ricercatori hanno assemblato brevi catene simili all’RNA per mezzo di catalizzatori minerali, per lo più argille, con nucleotidi attivati artificialmente come precursori e con alcuni stampi scelti. I precursori naturali si sono però rivelati meno efficaci, e la loro sintesi in condizioni plausibili ha finora frustrato l’ingegnosità dei ricercatori».

   La teoria del brodo prebiotico, malgrado il contributo di tanti ricercatori, presenta quindi un bilancio fallimentare e così dopo oltre sessant’anni siamo ancora agli esperimenti di Miller.

   All’inizio del nuovo millennio, dopo aver analizzato se sono comparse prima le proteine o gli acidi nucleici, Paul Davis (opera citata) scrive: «Tutte le teorie hanno in comune una medesima idea: una volta che la vita è nata, in qualunque forma, il resto è venuto quasi da sé, perché l’evoluzione darwiniana ha potuto prendere il via. Quindi è naturale che gli scienziati cerchino di ricorrere al darwinismo a partire dalla primissima fase della storia della vita: con il suo ingresso in campo, sono possibili enormi miglioramenti sospinti solo dalla forza trainante del caso e della selezione. Purtroppo, però, perché l’evoluzione darwiniana possa aver inizio è necessario un livello minimo di complessità. Come si è arrivati a questa complessità iniziale? Messi alle strette, la maggior parte degli scienziati si torce le mani e mormora la parola magica: il caso».

   A introdurre il concetto di casualità nell’origine della vita, sembra sia stato, nel 1914, Leonard Thompson Troland, fisico e psicofisiologo americano, come riporta Iris Fly nel suo saggio (opera citata). Dai tempi di Troland e fino ai nostri giorni il caso risorge come un’Araba Fenice ogni volta che una teoria sull’origine della vita mostra i suoi limiti.