venerdì 10 gennaio 2014

BATTERI: da dove emerge la mente?


Organismi viventi: corpo, cervello, mente. (quarta parte)

Post n. 17


Il problema mente-corpo, iniziato con Cartesio, si protrae ormai da secoli e ha alimentato innumerevoli dibattiti. Nel primo articolo di questa serie abbiamo evidenziato come l’argomento sia stato ripreso anche da Christian De Duve in “Polvere Vitale” 1995.  De Duve, dopo aver citato alcuni scienziati e filosofi che si occupano del problema della mente, afferma: «Queste poche citazioni dovrebbero chiarire che le ricerche sulla mente sono ancora in uno stato embrionale. Questa situazione non dipende dalla mancanza di studi. In anni recenti sono apparsi decine di libri sull'argomento, scritti di neuro scienziati, linguisti, specialisti dei computer e filosofi, per non contare i teologi. Purtroppo le tesi sostenute sono quasi altrettante numerose degli autori, anche perché l’ideologia svolge un ruolo più importante nella psicologia umana che in altri ambiti scientifici».
Negli anni '70 del secolo scorso, come riporta lo psicologo Richard Gregory in "La mente nella scienza" 1985, è stata avanzata, da R. Mark, una teoria chimica che ipotizzava l'esistenza di "molecole della memoria". Ma come scrive Nicholas Humphrey psicologo scientifico, come lui stesso si definisce, in “Polvere d’anima” 2013: «Lo psicologo Walter Mischel ha ironicamente osservato :”Gli psicologi trattano la teorie altrui come spazzolini da denti: nessuna persona con un minimo di dignità userebbe quello di un’altra”. E i filosofi tendono ad essere ancora più parsimoniosi». 
Nell'articolo “Organismi viventi: corpo, cervello, mente” , siamo partiti dalla definizione di cosa si intende per Mente, cioè: memoria, direzione dei processi intellettivi e pratici, coscienza. Questi concetti che definiscono la mente  li abbiamo riscontrati, certamente in modo più semplificati, non solo in organismi pluricellulari ma anche in organismi unicellulari. Gli esempi che sono stati riportati, sono solo alcuni delle centinaia di pubblicazioni che attestano come, concetti tipici della nostra mente sono in possesso di tutti gli organismi viventi.
Ma negli organismi unicellulari la mente da dove emerge e quando, cioè in quali circostanze?
Tutte le sostanze composte si dividono in composti organici e inorganici. I composti organici sono circa 1,5 milioni, contengono tutti almeno un atomo di carbonio e sono derivati da organismi viventi o da sintesi artificiali.
I composti inorganici sono circa 150000 mila. Anche se  comprendono le rocce carbonatiche, questi composti sono costituiti essenzialmente da tutti gli altri elementi naturali, escluso il carbonio. Di tutti i composti inorganici noti solo un migliaio circa, i minerali, si trovano in natura come costituenti della crosta terrestre. I minerali si trovano principalmente allo stato cristallino, dove le particelle (atomi, molecole o gruppi atomici) hanno una disposizione spaziale perfettamente regolare e rigorosamente geometrica. I cristalli possono dare origine a splendide e complesse strutture geometriche o aggregati dove brillano i più vari colori    
Varie credenze popolari hanno attribuito virtù magiche ai cristalli e alcuni studiosi hanno attribuito perfino anime ai sassi. Ma fin dai tempi di Stenone intorno alla metà del 1600 e successivamente
www.erboristeriarcobaleno.com
 di Renato Haüy, scienziati che hanno dato inizio allo studio dei cristalli, nessuno studioso di cristallografia, di mineralogia e di geologia ha mai individuato nei cristalli virtù magiche, anime o concetti tipici della nostra mente.
La materia inorganica è inanimata.
Poiché gli organismi viventi sono composte essenzialmente di sostanze organiche, la vita e la mente sono proprietà emergenti solo della materia organica.
Negli articoli precedenti abbiamo visto come un equipaggiamento cognitivo di base, cioè la mente, è in possesso di tutti gli organismi viventi compresi i batteri, che sono i più piccoli organismi viventi. Esistono però organismi più piccoli dei batteri: i virus.
I virus sono costituiti da un involucro proteico chiamato capside. Al suo interno questo involucro contiene una molecola di acido nucleico, il loro patrimonio genetico. Non avendo a disposizione un apparato cellulare essi non possono riprodursi e quindi non vengono considerati organismi viventi.
Ma i virus presentano concetti tipici della mente? Si può affermare che i virus presentano un equipaggiamento cognitivo di base?
Dorothy Crawford microbiologa tra i massimi esperti di virus, in un saggio, “Il nemico invisibile. Storia naturale dei virus” 2002, scrive: «Intelligenti, scaltri, ingegnosi: sono solo alcuni degli aggettivi solitamente usati per i virus, e apparentemente li descrivono bene. […] Sembrano inoltre capaci di pianificare una strategia di attacco e sopravvivenza, ma questo vorrebbe dire dare per scontato che siano in grado di pensare. Tuttavia i virus non hanno cervello, e quindi non sono in grado di controllare il loro destino. Come può un organismo così piccolo e semplice essere così “intelligente”?» Ma Dorothy Crawford dopo aver esaminato brevemente i batteri più avanti aggiunge: «Diversamente dai batteri i virus non possono fare niente da soli. Non sono cellule ma particelle, e non hanno una fonte di energia né alcuno degli apparati cellulari necessari a produrre le proteine. Ciascuno di essi è composto semplicemente da materiale genetico circondato da un guscio proteico protettivo denominato “capside”.[…] Ma per riuscire ad utilizzarlo devono penetrare in una cellula vivente e assumerne il controllo. […] In questo modo i virus invadono gli esseri viventi, ne requisiscono le cellule, e le trasforma in fabbriche per la produzione di virus». Inoltre, come ci informa ancora Crawford, fuori dalla cellula ospite i Virus non possono sopravvivere a lungo perché non dispongono dei processi metabolici di una cellula.
Quindi ai virus non basta essere in possesso di un acido nucleico. Essi presentano concetti tipici della nostra mente soltanto quando si impossessano di una cellula. Questo significa che l’equipaggiamento cognitivo di base ha sede nella cellula. Ma significa anche che la mente non emerge direttamente dal patrimonio genetico.
Ma allora, nella cellula, da dove emerge la mente?
Prima di dare una risposta a questa domanda dobbiamo chiarire una questione. La mente nella nostra specie emerge dal cervello, il quale è costituito da cellule nervose o neuroni. Ma concetti tipici della nostra mente li abbiamo riscontrati anche nei batteri.
Allora, quanto diversi sono i neuroni dalle altre cellule e in particolare dagli unicellulari?
I neuroni sono costituiti da un corpo cellulare da cui  si diparte  un prolungamento, detto assone, attraverso il quale trasmettono segnali alle altre cellule. Dal corpo cellulare si dipartono anche dei prolungamenti, detti dendriti, tramite le quali i neuroni ricevono segnali dalle altre cellule nervose. Di neuroni è costituito anche il cervello delle scimmie, delle galline, e neuroni si trovano nei vermi.
I neuroni sembrano, a prima vista diversi da tutte le altre cellule. Ma quanto diversi?
In riferimento ai dati di anatomia comparata, Aurelio Bairati, in “ Compendio di anatomia umana” 1975, si pone il problema della delimitazione e riconoscimento degli elementi nervosi più semplici nei più bassi phylum. In particolare egli si domanda se considerare come elementi nervosi le cellule epitelio muscolari dei bassi metazoi capaci di raccogliere stimoli alla superficie corporea e manifestare fenomeni di contrazione; oppure considerare come  elementi nervosi più primitivi elementi epiteliali
omodeo.anisn.it
 modificate, di rivestimento, capaci di raccogliere variazioni ambientali collegati con elementi contrattili, cioè le cellule ricettive periferiche. E aggiunge: «Purtroppo gli studi a questo livello sono viziati dal fatto di non voler spesso tener conto che tutti gli elementi cellulari, sebbene su una piccola base, sono capaci di manifestare fenomeni classificabili come nervosi: dobbiamo infatti ricordare che una delle proprietà della materia vivente e dello stato cellulare è la irritabilità, cioè la capacita di rispondere agli stimoli, […]».
Alessandro Minelli in “Forme del divenire. Evo- Devo: la biologia evoluzionistica dello sviluppo” 2007, scrive: «Non sono rari i casi in cui le nostre classificazioni vanno in crisi, e per uscirne senza andare troppo per il sottile ci accontentiamo di creare nuove classi ibride, come nel caso delle cellule mioepiteliali (un po’ fibra muscolare, un po’ cellula di rivestimento) o di quelle neuroepiteliali (un po’ cellula di rivestimento, un po’ neurone) che troviamo nel corpo dell’idra e di altri cnidari». E dopo aver evidenziato che l’evoluzione non coinvolge solo gli organi e gli apparati, egli aggiunge: «Anzi, molte svolte significative nella storia evolutiva sono dipese proprio da cambiamenti nelle proprietà e nelle funzioni delle singole cellule: ad esempio, nella capacità di queste di rimanere incollate le une alle altre – una proprietà fondamentale nel passaggio dalla condizione unicellulare a quella pluricellulare – o di allungarsi in risposta a determinati stimoli, come si osserva sia nelle ife dei funghi che nei neuroni degli animali e negli apici vegetative delle piante verdi».
Christian de Duve in “Polvere vitale” 1998 nel capitolo dedicato al cervello in riferimento ai neuroni scrive: «Sottili estroflessioni filamentose formano le parti riceventi e trasmittenti. […] il neurite o assone, […] e i dendriti. […] L’emissione di estroflessioni è una proprietà generale delle cellule eucariote. Tali processi, o pseudopodi (“pseudopiedi” in greco), che svolgono funzioni nella percezione, nella cattura del cibo o nella locomozione, hanno di solito un’esistenza effimera e vengono ritirati subito dopo essere stati emessi. In questi fenomeni reversibili svolgono un ruolo importante montaggio e smontaggio di microtubuli. Possiamo ritenere che un neurone abbia avuto origine per la prima volta quando tali estroflessioni si stabilizzarono – quando gli evanescenti microtubuli si trasformarono in neurotubuli  stabili – e si polarizzarono in ricevitori e trasmettitori unidirezionali».
Anche Gary Marcus si è occupato della diversità tra le cellule normali e i neuroni.
In “La nascita della mente” 2008, egli scrive: «Anche se l’aspetto esteriore e la speciale attitudine al calcolo e alla comunicazione a lunga distanza li fanno sembrare diversi dalla maggior parte delle altre cellule, sotto sotto quello che fanno è lo stesso di quello che fanno le altre cellule. Il loro corpo cellulare (detto soma) contiene la stessa varietà di micro-organismi (detti organuli) di una cellula della pelle o del fegato: mitocondri per produrre energia, stabilimenti per la sintesi delle proteine detti “reticoli endoplasmatici”, membrane per tener fuori gli invasori e nuclei per contenere il DNA. Un qualsiasi neurone, in effetti, comincia la sua vita come cellula epiteliale e, se non fosse per poche indicazioni chimiche, potrebbe altrettanto bene finire all'esterno proprio come una cellula della pelle. Molte delle più spettacolari specializzazioni del neurone sono solo variazioni su normali temi cellulari. Ad esempio, ha più mitocondri del solito in modo da soddisfare l’alto fabbisogno energetico. Anche i lunghi, sottili assoni non sono nulla di completamente nuovo: le proteine del citoscheletro fibroso su cui si fonda la struttura degli assoni e i microtubuli, simili a condutture, di cui si servono per trasportare i materiali, si trovano entrambi praticamente in ogni cellula. I neuroni, cellule caratteristiche del cervello, sono speciali, ma non più degli altri circa 210 tipi di cellule del corpo umano». Marcus, dove aver evidenziato che nel mondo animale i geni oltre allo sviluppo del cervello influenzano lo sviluppo della mente scrive: «Molti dei geni e delle proteine che prendono parte alla costruzione del cervello hanno storie che risalgono a un tempo di gran lunga anteriore a quello in cui il ramo dei primati si biforcò da quello degli altri mammiferi; di alcuni si possono addirittura seguire le tracce a ritroso fino ai batteri»
In definitiva, da un punto di vista biochimico e fisiologico, tutte le cellule , compresi gli organismi unicellulari, manifestano fenomeni nervosi e la capacità di comunicare e di elaborare  informazioni. Circa 600 milioni di anni fa, durante la divisione cellulare, non sappiamo perché, le  cellule invece di separarsi rimasero insieme dando origine agli organismi pluricellulare. A questo punto si rese necessario coordinare le manifestazioni nervose, di comunicazione e di elaborazione delle informazioni delle singole cellule. Inizialmente ebbero origine cellule, come si osserva ancora oggi nei più bassi phylum, dove la funzione neuronale si sovrapponeva, nella stessa cellula, ad altre funzioni come il rivestimento. Durante il processo evolutivo degli organismi pluricellulari alcune cellule, i neuroni, si sono evolute incrementando e coordinando le funzioni nervose, e liberando al contempo tutte le altre cellule da questa incombenza. Quindi, gli elementi basilari che caratterizzano i neuroni sono, a livello elementare, già presenti in tutti gli elementi cellulari. Allora la mente, che caratterizza i neuroni e il nostro cervello, proviene in realtà da un lungo processo evolutivo di un equipaggiamento cognitivo di base già in possesso di tutti gli organismi viventi.
Rimane la domanda: nella cellula, da dove emerge la mente?

Omeostasi o circuito regolatore
Konrad Lorenz in “Etologia” 1980, fa innanzitutto una distinzione tra l’acquisizione di informazione del genoma e l’apprendimento. Si sofferma su una terza categoria di processi che servono ad acquisire informazione ma non la immagazzinano: «La forma più semplice dell’acquisizione di informazione momentanea è il circuito regolatore od omeostasi. Tale meccanismo permette agli esseri viventi di ritrovare e di mantenere l’equilibrio dopo un disturbo. Se un animale in carenza di ossigeno respira più rapidamente o in presenza di  un eccesso di cibo cessa provvisoriamente di mangiare, ciò significa non solo che l’organismo è informato sul proprio fabbisogno di determinate sostanze, ma anche sulla “situazione di mercato” che esiste nel suo ambiente relativamente a questa sostanza. La struttura del circuito di regolazione programmata nel genoma rende possibile mantenere nell'organismo un determinato “valore di norma”.
Il circuito regolatore od omeostasi nel campo dei viventi è praticamente onnipresente e non è immaginabile una vita senza questa funzione. Si potrebbe pensare che esso sia comparso contemporaneamente alla vita, a meno che i primi processi vitali non siano avvenuti in un ambiente di costanza così elevata (inimmaginabile) da render superfluo il tenere conto dell’informazione momentanea».
Ma l’ambiente, come lo ce lo descrive Shopf in “La culla della vita” 2003, 3,5 miliardi di anni fa, quando al vita ebbe origine, era tutt’altro che costante, era un ambiente infernale. Quindi l’omeostasi è comparsa contemporaneamente alla vita.
Di omeostasi si occupa anche Freeman J. Dyson in “Origini della vita” 2002,dove scrive: «La caratteristica essenziale degli esseri viventi è l’omeostasi, cioè la capacità di mantenere un equilibrio chimico uniforme e più o meno costante in un ambiente mutevole. L’omeostasi è quel complesso di controlli chimici e di cicli di retroazione che consente a ogni specie molecolare, all'interno della cellula, di essere prodotta nella giusta proporzione: non troppa né troppo poca. Senza omeostasi non potrebbero esservi né un metabolismo ordinato né un equilibrio quasi-stazionario, nulla insomma, che meriti il nome di vita».
Il neuro scienziato  Antonio Damasio in “Il Sé viene alla mente” 2012,  definisce l’omeostasi, presente in tutti gli organismi viventi, come tutte le operazioni di gestione per procurarsi le fonti di energia, incorporarli, trasformarli ed eliminare le scorie. «Essa mira a mantenere i parametri chimici dell’organismo (il milieu interno) entro quell'intervallo magico compatibile con la vita».
E Christian de Duve in riferimento al corpo cellulare del neurone (opera citata) scrive: «Il corpo della cellula si occupa di tutte le funzioni necessarie per la vita della cellula stessa: è l’unità deputata a un tempo a fornire energia e a occuparsi della manutenzione e delle riparazioni».
Il cervello, sede della mente, è un’interfaccia dove vengono elaborate informazioni che provengono dall'interno del corpo e dall'ambiente esterno.
Da quanto sopra esposto, l’omeostasi rimane invece una questione interna alla cellula, nel senso che  il metabolismo controlla e mantiene i parametri giusti, e il genoma ripara i danni al metabolismo. Essa non ha non ha nessuna interazione diretta con l’ambiente esterno, non elabora informazioni. L’omeostasi o circuito regolatore non può essere il luogo dove emerge la mente.
Quindi la mente, come abbiamo visto analizzando il comportamento dei virus,  non emerge dall'acido nucleico, cioè dal patrimonio genetico, ma nemmeno dall'omeostasi.
Ma quale struttura nella cellula è, come il cervello, l’interfaccia tra l’interno e l’ambiente esterno?
La membrana cellulare.
La membrana cellulare o plasmatica è costituita da uno scheletro di fosfolipidi. Essa delimita  i confini della cellula e separa l’interno della cellula, il citoplasma, dall'ambiente esterno. Ancorate alla membrana cellulare si trovano delle proteine enzimatiche e quindi essa svolge anche una funzione catalitica. Inoltre, disseminati nella membrana si trovano biosensori proteici e canaliproteici attraverso i quali la cellula controlla ciò che deve entrare e ciò che deve uscire. Le proteine costituiscono il 50-75% delle sostanze presenti nella membrana. Come evidenzia Romano Viviani in “Elementi di Biochimica” 1984, (Significato biochimico dei fosfolipidi, pag.239) i fosfolipidi svolgono importanti funzioni che riguardano l’attività delle proteine enzimatiche e di trasporto presenti nelle membrane. In particolare «[…] è stato dimostrato un ruolo specifico dei fosfolipidi come effettori allosterici, trasportatori di reagenti e attivatori del substrato».
Insomma, tutti i componenti della membrana cellulare sono in continua e attiva cooperazione e coordinano le loro attività.
Inoltre, come ci informa Pietro Omodeo in “Anatomia comparata ed evoluzione della cellula” Le Scienze Quaderni n.7 1983, in riferimento alla cellula batterica: «La membrana plasmatica svolge funzioni diverse ed essenziali: regola il flusso
scienceforlife.altervista.org
 dei nutrienti e  quindi l’accrescimento e la riproduzione cellulare; regola il flusso di ioni e quindi l’eccitabilità; fa da supporto a molti enzimi ed apparati enzimatici ed è quindi la sede principale del metabolismo; è sede di flusso di protoni per il rifornimento di energia; fornisce infine i siti di ancoraggio per il cromosoma, per una parte dei ribosomi e per i flagelli, qualora questi organelli siano presenti. Questo elenco basta a convincere che la membrana plasmatica è il centro dinamico della vita cellulare».
Anche se negli unicellulari eucarioti (cellule dotate di nucleo) alcune di queste funzioni sono trasferite all'interno della cellula, la membrana plasmatica rimane comunque il centro dinamico della vita cellulare, dove le proteine svolgono un ruolo determinante.
Lo studio del funzionamento delle proteine inizia con la teoria della chiave e serratura elaborata da Emil Fisher per gli enzimi. A quell’epoca si pensava che gli enzimi avessero una struttura rigida. Ulteriori studi hanno messo in evidenza che gli enzimi presentano una certa modularità, sono flessibili nel senso che la loro struttura si rimodula adattandosi al substrato da catalizzare. Inoltre la struttura dell’enzima può essere modificata da molecole allosteriche, cioè molecole che si legano su siti specifici dell’enzima che assume una nuova conformazione.
La modularità non è una caratteristica delle sole proteine enzimatiche ma riguarda tutte le proteine globulari e quindi anche i biosensori proteici e canali proteici contenuti nella membrana cellulare.  Russell F. Doolittle in “Le proteine” Le Scienze 1985, ci informa «Una tipica proteina globulare comprende circa 350 amminoacidi che potrebbero ripiegarsi in innumerevoli modi, […] In un certo senso è straordinario che una proteina qualsiasi assuma costantemente un’unica conformazione ben definita; la condizione ripiegata possiede in effetti un’energia libera inferiore a qualsiasi configurazione alternativa, ma la differenza è piccola».
Ma quante sono queste innumerevoli conformazioni ?
Rupert Sheldrake in “Le illusioni della scienza” 2013 cita Christian Anfinsen, premio Nobel per il ripiegamento delle proteine: «[…] se i singoli residui di una catena polipeptidica potessero avere due soli stati, una stima grossolanamente per difetto, il numero delle possibili conformazioni generate in modo casuale sarebbe di 1045 per una catena di 150 amminoacidi residui (anche se, ovviamente, la maggior parte sarebbero impossibili da un punto di vista sterico)».     
 
it.wikipedia.org
Anche se la maggior parte delle conformazioni sono impossibili, in una singola proteina enzimatica  rimarrebbero comunque un numero enorme di conformazioni a bassa energia, forse miliardi, dove la differenza di energia, tra le diverse conformazioni, è piccola. Un leggero cambiamento dell’ambiente circostante è sufficiente a far passare una proteina da     una   conformazione ad un’altra.
Intorno agli anni ottanta è stato messo in evidenza come alcuni enzimi sono, in realtà, un raggruppamento di più enzimi. Una modifica indotta alla struttura di uno degli enzimi induce cambiamenti anche negli enzimi associati in una sorta di “cooperazione” enzimatica.
Nigel Unwin e Richard Henderson in “La struttura delle proteine delle membrane biologiche” Le Scienze 1984, dopo aver evidenziato che le membrane biologiche non sono semplici contenitori, ma si comportano da mediatori altamente specifici tra la cellula e l’ambiente circostante scrivono: «I gruppi di eliche e di lamine probabilmente si fondono in molecole globulari compatte, che variano come dimensione forma e numero di catene polipeptidiche. Parecchie di queste molecole possono associarsi sul piano della membrana, creando strutture composite. Tali strutture composite sarebbero paragonabili a certi enzimi idrosolubili, che consistono di parecchie subunità; queste ultime subiscono piccole ristrutturazioni “cooperative” in risposta a stimoli di natura specifiche».
Quindi la memoria di stimoli specifici è conservata nella conformazione della proteina di membrana.
Daniel E. Koshland, Jr In “Conformazione delle proteine e controllo biologico”, Le Scienze quaderni n.44, 1988, in riferimento alla flessibilità delle proteine scrive: «I recettori sensoriali che ci pongono in grado di vedere, di udire, di gustare, di odorare, sono proteine. Gli anticorpi che ci immunizzano sono proteine. Recenti esperimenti hanno dimostrato che è la capacità di queste proteine di cambiare forma per effetto delle influenze esterne a fornire il meccanismo di controllo così essenziale per il sistema vivente». Cioè un odore cambia la conformazione di una proteina, quando lo stesso odore si ripresenta la proteina lo riconosce.
Ma allora le proteine conservano, nelle loro conformazioni, la memoria degli stimoli sensoriali.
E Koshland in riferimento all’entità delle modificazioni di conformazione e alla loro propagazione  scrive: «Sembra dunque che la modificazione delle conformazioni indotte nelle proteine non si propaghino come gli anelli concentrici provocati dalla caduta di un sasso in uno stagno. Si tratta piuttosto di qualcosa di simile ad un ragnatela i cui fili sono predisposti in modo tale da trasmettere un urto da un’estremità all'estremità opposta della tela. L’urto può essere trasmesso a grande distanza e può alterare la posizione di molti fili, ma un disegno ben fatto può garantire che alcuni fili rimangono immodificati mentre altri si spostano in misura apprezzabili. La proteina come la ragnatela, è predisposta per trasmettere l’informazione in modo selettivo ad alcune regioni lasciandone altre inalterate». E ancora: «Queste modificazioni di forma[…]rassomigliano piuttosto alle delicate risposte di una ragnatela tessuta con squisito equilibrio. La sottile tela che chiamiamo proteina può essere alterata nelle sua forma da minuscoli urti, ed è attraverso le ripercussioni di questi urti che le funzioni possono essere messe in moto o bloccate».
In sostanza, l’informazione si trasmette in modo selettivo e viene conservata alterando solo alcune regioni. La differenza di energia tra la nuova conformazione e la precedente è piccola. Ma come abbiamo visto precedentemente, il numero di conformazioni a bassa energia è enorme. Questo significa che le proteine possono archiviare, nelle  loro conformazioni, un grande numero  di informazioni.
E Koshland continua: «Inoltre, è stato recentemente suggerito che un lento cambiamento di conformazione sia alla base di un certo tipo di memoria propria della chemiotassia batterica, cioè quel fenomeno per cui un batterio posto in una soluzione di determinate sostanze chimiche si muove in risposta a un gradiente di concentrazione. Un cambiamento del genere può avere al sua controparte nel sistema nervoso degli animali».
Quindi, già nel 1988 Koshland suggeriva che la memoria dei batteri possa essere contenuta nella conformazione delle proteine.
Le proteine, negli organismi unicellulari, potrebbero essere le "molecole della memoria" ipotizzate da R. Mark.
Poiché queste proteine sono disseminate nella membrana cellulare, è allora  possibile che una delle proprietà fondamentale della mente, la memoria, abbia sede nella membrana cellulare.
Riassumiamo i fatti sopra esposti. Tutti i componenti della membrana cellulare sono  in continua e attiva cooperazione e coordinano le loro attività. La membrana cellulare riceve informazioni dall'interno della cellula e, attraverso biosensori, riceve informazioni dal mondo esterno; essa è quindi un mezzo di comunicazione ed elaborazione dati. Le proteine  disseminiate nella membrana plasmatica possono assumere innumerevoli conformazioni a bassa energia con differenze di energie piccole. Uno stimolo o un cambiamento di ambiente può modificare la conformazione di una proteina e conservarne la memoria. Le informazioni vengono immagazzinate in una proteina sotto forma di conformazioni diverse, essa può quindi conservare un numero enorme di informazioni.
Potremmo paragonare la struttura finale di una proteina all’acqua che scende da una montagna e si raccoglie in un bacino idrico a fondo valle dopo aver perso tutta la sua energia potenziale.
Allora, immaginiamo che dalla montagna un sasso rotoli giù e cade nel bacino facendo schizzare l’acqua sulla superfice fuori dal bacino. Lentamente l’acqua, energeticamente instabile, ritorna nel bacino originale cancellando ogni ricordo dell’evento. Ma se l’acqua che schizza fuori è tanta e dà origine ad una piccola pozza, essa non torna indietro. Nel nuovo bacino l’acqua ha sì un po’ di energia in più  ma è energeticamente stabile perché non può uscire dalla pozza. Essa rimane lì a conservare la memoria dell’evento.
Ora immaginiamo una proteina di membrana che riceve uno stimolo e cambia la sua struttura. La proteina presenta nella sua nuova struttura la memoria dell’evento. Se la nuova struttura è energeticamente instabile essa, lentamente, ritorna alla sua struttura originale perdendo la memoria dello stimolo. Se però la nuova struttura che la proteina assume per effetto dello stimolo è una delle strutture energeticamente stabili essa manterrà la nuova struttura e conserverà la memoria dell’evento.
La membrana plasmatica è veramente il centro dinamico della cellula e, dando seguito al suggerimento di Koshland, si può avanzare l’ipotesi che essa è la sede della memoria.
La memoria è una delle proprietà della mente, ma la memoria è già la mente? 
Sarebbe come dire che la pozza d’acqua, generata dal sasso che cade nel bacino e che conserva la memoria dell’evento, ha una mente.
La memoria, così come l’abbiamo descritta, può rientrare in un processo meccanicistico cioè in un complesso di interazioni chimiche e cicli di retroazione.
Negli organismi unicellulari la memoria, che noi associamo alla definizione di mente, può esistere anche senza la presenza di una  mente e può agire in modo autonomo.
Ma infine, la mente, quando emerge e da dove?
Come abbiamo evidenziato in: “I batteri. Organismi viventi: corpo, cervello, mente (parte seconda)”, Adler ha messo in presenza di batteri un tubo capillare contenente non solo una sostanza di richiamo, ma anche una sostanza repellente e scrive: «Così i batteri avevano da scegliere se entrare o no nel capillare. La loro “decisione” risulta dipendente dalle concentrazioni  relative della sostanza di richiamo e di quella repellente. Il meccanismo che permette di “prendere una decisione” in una situazione di “conflitto” come questa è ancora ignoto, ma si può dire che i batteri sono capaci, in qualche modo, di integrare degli stimoli sensoriali multipli». E continua: «[…]. I batteri, in genere rifuggono il freddo, ma ciò non capita se la soluzione fredda contiene una sostanza di richiamo abbastanza forte.  Alla stessa stregua, i batteri sono attratti dal caldo, ma non se la soluzione calda contiene un repellente abbastanza forte. In questi casi, i batteri devono integrare, o elaborare due informazioni sensoriali: la temperatura e le sostanze chimiche».
Se un batterio riceve, contemporaneamente, uno stimolo che gli comunica la presenza di un repellente e uno stimolo che gli comunica la presenza di un nutriente, come fa a scegliere? Poiché come scrive Adler la “decisione” dipende dalle concentrazioni, indichiamo con N il nutriente cioè la sostanza di richiamo e con R il repellente. Il batterio sembra agire in questo modo: se la concentrazione del nutriente è maggiore del repellente allora vai verso il nutriente, cioè: se N > R allora …. Il batterio risolve una situazione di conflitto per mezzo di uno schema logico. Se la situazione di conflitto contiene due informazioni sensoriali, come soluzione fredda e sostanza di richiamo, il batterio deve integrare schemi logici correlati. Infatti il batterio, deve innanzitutto valutare quanto fredda è la soluzione, deve successivamente valutare quanto essa è concentrata, deve integrare i risultati e prendere una “decisione”. Ma questi sono schemi logici tipici della nostra mente ed emergono quando il batterio si trova in una situazione di conflitto. Quindi, negli organismi unicellulari la mente è un’emergenza in presenza di una situazione di conflitto.
Ma le scelte logiche non sempre sono quelle giuste e allora: se la scelta è quella  giusta essa salva la vita all'organismo; se la scelta è sbagliata l’organismo ci rimette la vita ma salva la vita dall'estinzione.
È noto che le proteine nelle cellule oltre a svolgere la loro funzione, interagiscono anche tra di loro. Come ci informa Carol Ezzel in “Adesso comandano le proteine” Le Scienze” 2002 , uno degli scopi della proteomica  è quella di definire come le proteine si organizzano in reti simili a circuiti elettrici. Si potrebbe allora ipotizzare che tutte le proteine della membrana plasmatica si organizzano in reti specifiche che interagiscono tra di loro e con tutti i componenti della membrana cellulare. Le proteine sensoriali contengono la memoria degli eventi.  Quando la rete delle proteine sensoriali riceve stimoli contrastanti, emerge la mente che recupera le informazioni contenute nella memoria e sceglie seguendo schemi se…allora. La scelta provoca una controreazione al complesso delle reti proteiche della membrana e alla reazione finale dell’organismo.
Poiché queste reti proteiche si trovano nella membrana cellulare, che è il centro dinamico della cellula, negli organismi unicellulari la mente emerge dalla membrana cellulare.
La mente, quindi, emerge dalla membrana cellulare quando si presentano situazioni di conflitto e prende le decisioni utilizzando i dati contenuti nella memoria.
Per concludere, negli organismi unicellulari la membrana plasmatica è una interfaccia tra l’interno e l’esterno della cellula e svolge, a livello molto elementare, la stessa funzione che svolge il cervello negli organismi pluricellulari complessi. È probabile quindi che la mente, che abbiamo individuato anche negli organismi unicellulari, abbia origine nella membrana plasmatica quando l’organismo si trova in situazioni di conflitto. Se manca il conflitto la mente non emerge, la memoria però è sempre presente e questa è sufficiente per la sopravvivenza dell’organismo.
La divisione cellulare e l’origine della mente.
Prima di entrare nel merito è forse utile richiamare che nei post n. 14 e 15 eravamo arrivati alla conclusione che anche i microorganismi, oltre agli organismi pluricellulari, hanno: memoria, dirigono e risolvono problemi pratici, sanno orientarsi nello spazio ed hanno comportamenti “apparentemente” intelligenti.
In definitiva, tutti gli organismi viventi, anche se non dotati di cervello, sono in possesso di un equipaggiamento cognitivo di base per la sopravvivenza, cioè sono in possesso di una mente che emerge in situazioni di conflitto.
Quest’idea comincia a farsi strada anche tra i neuro-scienziati. Già Antonio Damasio in “Il sé viene alla mente” 2012 attribuisce alla singola cellula concetti di desideri, volontà, intenzioni e scopi che noi associamo alla mente umana. Shimon Edelman in “La felicità della ricerca” 2013, va oltre affermando che le cellule di lievito per la procreazione, per individuare il partner, sviluppano una proiezione e sono spinti da una mente semplice.
Ora, se tutti gli organismi viventi sono in possesso di una mente, e tutti gli organismi viventi discendono da cellule primordiali, allora la mente deve essere apparsa fin dalle origini della vita, cioè fin dalle prime cellule.
Allora, immaginiamo due proto-cellule appena uscite dalle rispettive cavità con la loro membrana contenente una rudimentale rete di proteine di superfice. Queste ultime raccolgono i dati delle terribili condizioni della terra primordiale dove il caos era padrone assoluto dell’ambiente. Inoltre, in un ambiente caotico la salinità, il pH, la temperatura, la presenza di sostanze nocive e altri parametri cambiano in continuazione e l’omeostasi riceve informazioni contraddittorie. In queste caotiche condizioni, le due proto-cellule si trovano in una situazione di conflitto: cambiare o resistere al caos. Per la sopravvivenza della proto-cellula tale conflitto può essere risolto con schemi logici, cioè con l’emergere della mente. La prima proto-cellula decide di resistere al caos, ma di essa non è rimasta traccia. La seconda proto-cellula decide di cambiare, anche senza conoscere l’esito finale, e la proto-cellula inizia la divisione cellulare. Quindi la mente appare con le prime cellule ed è responsabile della divisione cellulare.
Ma da dove emerge la mente?
Nel post n. 17 abbiamo visto che se un batterio riceve, contemporaneamente, uno stimolo che gli comunica la presenza di un repellente e uno stimolo che gli comunica la presenza di un nutriente, la “decisione” come scrive Adler dipende dalle concentrazioni. Allora indichiamo con N il nutriente cioè la sostanza di richiamo e con R il repellente. Il batterio sembra agire in questo modo: raccoglie i dati dall'ambiente circostante e, se la concentrazione del nutriente è maggiore del repellente allora vai verso il nutriente, cioè: se N > R allora …. Il batterio risolve una situazione di conflitto per mezzo di uno schema logico. Se la situazione di conflitto contiene due informazioni sensoriali, come soluzione fredda e sostanza di richiamo, il batterio deve integrare schemi logici correlati. Infatti il batterio, deve innanzitutto valutare quanto fredda è la soluzione, deve successivamente valutare quanto essa è concentrata, deve integrare i dati e prendere una “decisione”. Ma questi dati, in ogni istante, vengono raccolti e integrati dalla rete della proteine di membrana e sono queste proteine che devono prendere la “decisione”.
Queste reti proteiche si trovano nella membrana cellulare di tutti gli organismi viventi e come scrivono, Maurine E. Linder e Alfred G. Gilman in “Le Scienze” Settembre 1992, giocano un ruolo chiave nella contrazione muscolare e nei processi cognitivi degli esseri umani. E allora, poiché tutti gli organismi viventi derivano da cellule primordiali, la mente emerge, oggi come allora, dalla rete delle proteine di membrana quando l’organismo si trova di fronte un problema.
Ma cosa è veramente la mente?
Un’ipotesi ingenua.
Abbiamo scritto sopra che furono le proteine della membrana, anche se ancora rudimentali, a informare l’omeostasi delle caotiche e letali condizioni dell’ambiente esterno e a spingere al cambiamento. La proto-cellula attraverso l’omeostasi aumenta la propria massa, e lo fa nell’unico modo in cui sa farlo: realizzare strutture e produrre entropia.
Ma cosa dobbiamo intendere con il termine informare l’omeostasi e con “spingere al cambiamento” che ha avuto come conseguenza la duplicazione cellulare?
Ripartiamo dalla definizione di omeostasi. L’omeostasi è un processo chimico-fisico di autoregolazione, definito come la risposta del campo elettromagnetico interno e intorno all’entità rispetto a cambiamenti dell’ambiente esterno e del mezzo interno. L’omeostasi, attraverso reazioni chimiche e cicli di retroazione, tende a preservare l’equilibrio del proto-organismo.
Nella prima parte dell’articolo abbiamo supposto che all’interno del proto-organismo, divenuto con la membrana proto-cellula, operano dei sotto-insiemi, ciascuno con un proprio campo elettromagnetico ed una omeostasi di sotto-insieme.
Allora, immaginiamo che all'interno di un sotto-insieme una proteina si decompone. Come conseguenza di tale decomposizione il sotto-insieme non è più in equilibrio e presenta un diverso campo elettromagnetico. Quest’ultimo spinge il campo elettromagnetico del sotto-insieme DNA-proteine a esprimere il gene specifico, cioè l’RNA per la proteina che si è decomposta. Il campo elettromagnetico dell’RNA sintetizzato aziona il campo elettromagnetico del sotto insieme tRNA-Ribosoma che sintetizza la proteina. La proteina sintetizzata rientra nel primo sotto-insieme e con il suo campo elettromagnetico lo riporta in equilibrio. Siamo in presenza, quindi, di un effetto domino, di una rete di sotto-insiemi interdipendenti i cui campi elettromagnetici si autoregolano, necessariamente in coordinazione sinergica con il campo elettromagnetico del proto-cellula che regola l’equilibrio dell’insieme.
Quindi, ad azionare reazioni chimiche e cicli di retroazione, cioè l’omeostasi, sono variazioni di campi elettromagnetici. Allora, se ad un certo istante l’omeostasi aziona il gene specifico per la sintesi delle proteine per la divisione cellulare, vuol dire che ha ricevuto un segnale elettromagnetico.  Ma se abbiamo detto che fu l’emergere della mente a dare origine alla divisione cellulare, allora la mente è un campo elettromagnetico.
Ma come si origina questo campo elettromagnetico?
Come abbiamo visto nell'articolo precedente tutti i componenti della proto-cellula venivano tenuti all'interno di una membrana legata al campo elettromagnetico intorno al proto-organismo (in rosso nell'immagine). 


Questo campo, pur essendo ormai all'interno della proto-cellula, lo continueremo a chiamare campo elettromagnetico intorno al proto-organismo per non confonderlo con altri campi. Se immaginiamo che il sistema è in equilibrio, il campo intorno al proto-organismo deve, logicamente, presentare una sua omogeneità.
Nella membrana sono immerse le proteine di membrana. Ciascuna di queste proteine, come conseguenza dei legami dei suoi atomi, ha un suo campo elettromagnetico specifico alla propria conformazione. La parte della proteina di membrana immersa nell’ambiente esterno, cioè le teste delle proteine, raccoglievano i dati sulle condizioni ambientali. Ma poiché le condizioni ambientali erano caotiche, i dati raccolti da una singola proteina erano sicuramente differenti e discordanti da quelli raccolti da altre proteine. Trasferire i dati di ogni singola proteina direttamente all’omeostasi non avrebbe avuto nessuna influenza perché essa non può reagire a dati contraddittori. Quindi, i dati raccolti da una singola proteina, prima di essere trasmesse all’interno della cellula, all’omeostasi, devono essere integrati con i dati raccolti da tutte le numerose proteine della membrana ed elaborati. Questo porta alla conclusione che le proteine di membrana devono necessariamente essere contenute in una rete proteica. Poiché ogni proteina ha un suo campo elettromagnetico, le teste e le code delle proteine di tutta la rete proteica danno origine, probabilmente, a campi elettromagnetici uno esterno e uno interno, situati a distanza molecolare dalla membrana. Questi campi sono, inizialmente disomogenei. Il campo elettromagnetico esterno (dall’azzurro al viola) integra ed elabora i dati ambientali raccolti dalla rete delle proteine di membrana, assume una sua omogeneità e attraverso il corpo delle proteine immerso nella membrana sincronizza le code delle proteine. Appena le code delle proteine sono sincronizzate, il campo elettromagnetico interno diventa anch’esso omogeneo. Si aprono qui due sole possibilità: il campo elettromagnetico omogeneo interno (in viola) è congruente con il campo elettromagnetico intorno al proto-organismo (sempre in rosso);


il campo elettromagnetico omogeneo interno è incongruente con il campo elettromagnetico intorno al proto-organismo (le frecce in rosso rappresentano, nelle due immagini, le linee di campo).

Ritorniamo alle due proto-cellule. Nella prima proto-cellula oltre la metà dei dati raccolti porta il campo elettromagnetico esterno e il campo interno ad essere congruenti con il campo intorno al proto-organismo, non avviene nessun cambiamento e di essa non è rimasta traccia. Nella seconda proto-cellula oltre la metà dei dati raccolti porta il campo elettromagnetico esterno e il campo interno ad essere incongruenti con il campo intorno al proto-organismo. Ed è questo il
campo elettromagnetico che mette in azione l’omeostasi. Questo è il segnale elettromagnetico che ha spinto la proto-cellula al cambiamento, ad inizia la divisione cellulare. E allora, qui è la sede della mente. E se l’elaborazione dei dati porta più o meno a metà strada, come fa la mente a scegliere? La decisione sarà lasciata al caso o, poiché siamo all'interno della mente, se volete, al libero arbitrio.
D’altra parte, cosa vuol dire integrare ed elaborare i dati? Significa contare (nel senso che ogni urto cambia la conformazione di una proteina e quindi aggiunge qualcosa in più al campo elettromagnetico esistente), valutare le intensità relative dei parametri (temperatura, pH, ecc.), valutare quanto una sostanza può essere utile o nociva e infine sommarli per dare una risposta; cioè elaborare quantità e qualità, questo è lo schema.
Allora, ritorniamo al nostro batterio che riceve due informazioni sensoriali come, una sostanza di forte richiamo (quantità) in una soluzione molto fredda (qualità). Se l'informazione quantitativa è di molto superiore all'informazione qualitativa il batterio si dirige verso la sostanza di richiamo e noi probabilmente troviamo il batterio morto.
Ma negli umani chi elabora i questi dati? La mente
E allora, il campo elettromagnetico esterno, generato dalla rete delle proteine di membrana e localizzato a distanza molecolare dalla membrana è probabilmente la sede della mente nelle cellule. Essa emerge dal corpo e agisce sul corpo. Ora, se tutti gli organismi viventi sono in possesso di una mente, e tutti gli organismi viventi discendono da cellule primordiali, allora la mente deve essere apparsa fin dalle origini della vita. Quindi la mente appare con le prime cellule e incide sulla riproduzione per la sopravvivenza dell’organismo in un mondo dominato dal caos.
Già, un’ipotesi ingenua, ma quanto ingenua?
Come fa un’idea a muovere la materia? Cos’è esattamente la consapevolezza e come interagisce con la materia del cervello per farci muovere le braccia le gambe o la lingua? Sono queste le domande che si sono poste Jim Al-Khalili e Johnjoe McFadden in “La fisica della vita” 2015 nel capitolo: La mente. Essi hanno analizzato la meccanica del pensiero, dagli stimoli sensoriali ai nervi ai muscoli, e messo in evidenza come le porte logiche di un computer sono abbastanza simili ai neuroni. Si sono quindi chiesti come mai i computer su reti complesse, come il web non danno segnali di consapevolezza. Forse il web non ha raggiunto la complessità delle “interconnessioni” delle cellule cerebrali, oppure la coscienza è basata su un diverso tipo di informatica?
Nel 1989 il matematico Roger Penrose propose l’idea che la coscienza fosse un fenomeno di correlazione quantistica. Gli autori dopo aver messo in evidenza come tale idea non sia sostenibile, in riferimento ai canali ionici dei neuroni scrivono: «Allora, se non può essere la correlazione a collegare l’informazione a livello quantistico nei canali ionici, c’è magari qualcos'altro che lo potrebbe fare? Forse sì. I canali ionici regolati dal voltaggio sono sensibili (ovviamente) al voltaggio: è quello che apre e chiude i canali. Il voltaggio è solo una misura del gradiente di un campo elettrico, ma l’intero volume del cervello è immerso nel suo campo elettromagnetico, generato dall'attività elettrica di tutti i suoi nervi. Questo è il campo che viene rilevato in ogni elettroencefalogramma e una sola occhiata ai grafici che risultano da questi esami vi darà un’idea di quanto sia complesso e ricco di informazioni. Gran parte dei neuro scienziati ha ignorato il ruolo che il campo elettromagnetico potrebbe avere nei calcoli cerebrali, perché si è sempre postulato che sia un po’ come il fischio di un treno: un prodotto dell’attività cerebrale, ma di nessun impatto sulla sua attività. Tuttavia, diversi scienziati, tra cui Johnioe, hanno recentemente iniziato a considerare l’idea che spostare la coscienza dalle particelle discrete di materia al campo elettromagnetico possa risolvere il problema del collegamento, e rivelare sito della coscienza. […] Nel XIX secolo James Clark Maxwell scopri che l’elettricità e il magnetismo sono due aspetti dello stesso fenomeno, l’elettromagnetismo, quindi ci riferiamo a entrambi con il nome di “campo elettromagnetico”. L’equazione di Einstein E=mc2 con l’energia al primo membro e la massa al secondo, dimostra, com’è noto, che l’energia e la materia sono intercambiabili. Quindi il campo elettromagnetico del cervello (il primo membro dell’equazione di Einstein) è tanto reale quanto la materia dei suoi neuroni; e siccome è generato dall’attivazione dei neuroni, codifica esattamente la stessa informazione degli schemi di attivazione neuronale nel cervello. Però, mentre l’informazione neuronale rimane intrappolata nei neuroni, l’attività elettrica generata dalla loro attivazione codifica tutta l’informazione nel campo elettromagnetico del cervello. E questo potrebbe risolvere il problema del collegamento. […] Quando le teorie della coscienza basate sul campo elettromagnetico furono presentate per la prima volta, all’inizio di questo secolo, non c’erano prove dirette che il campo generato dal cervello potesse influenzare gli schemi di attivazione dei nervi per dare luogo ai nostri pensieri e alle nostre azioni. Però, esperimenti eseguiti in diversi laboratori hanno recentemente di mostrato che un campo elettromagnetico esterno, di struttura e intensità simili a quello del cervello, riesce in effetti a influenzare l’attivazione dei nervi. Il campo sembra riuscire a coordinare l’attività dei nervi: sincronizza neuroni diversi, che quindi si attivano insieme. I risultati degli esperimenti suggeriscono che il campo elettromagnetico del cervello, generato attivazione dei nervi, influenzi l’attivazione stessa, generando una sorta di circolo auto-referenziale che molti teorici considerano una componente essenziale della coscienza. La sincronizzazione dell’attivazione dei nervi da parte del campo elettromagnetico è molto significativa, perché è una delle poche caratteristiche dell’attività nervosa nota per essere in relazione con la coscienza. Tutti abbiamo cercato un oggetto che si trovava in bella vista, come ad esempio degli occhiali, per poi trovarlo in mezzo a una confusione di altre cose. Mentre guardavamo quella confusione, l’informazione visiva che codifica l’oggetto viaggiava verso il nostro cervello, attraverso gli occhi, ma in qualche modo noi non vedevamo quello che stavamo cercando: non ne eravamo consapevoli. Poi, all’improvviso, lo vediamo. Cosa cambia nel cervello tra il momento in cui non siamo ancora coscienti dell’oggetto e il momento ii cui lo diventiamo? Stranamente, l’attivazione neurale in sé non sembra diversa: gli stessi neuroni si attivano in entrambi i casi. Ma, quando non vediamo gli occhiali, i neuroni si attivano in modo asincrono, e quando ne diventiamo coscienti lo fanno in modo sincrono. Il campo elettromagnetico, che concentra tutti quei canali ionici coerenti in diverse parti del cervello per attivare i neuroni in modo sincronizzato, potrebbe giocare un ruolo in questa transizione tra il pensiero non cosciente e quello cosciente».
Quindi, nei sistemi semplici la mente sincronizza proteine, nei sistemi complessi la mente sincronizza neuroni. E se tutti gli organismi viventi discendono dalle prime cellule allora lo schema quantità-qualità sicuramente si è evoluto ma certamente non è cambiato.
In definitiva all'interno della nicchia, ben protetto, al porto-organismo era sufficiente una rudimentale omeostasi. Ma tutto ciò non fu più sufficiente quando il proto-organismo divenuto proto-cellula si trovò in campo aperto. Nel caos della terra primordiale per risolvere problemi di sopravvivenza e i conflitti generati dal caos erano necessari, qui e ora, schemi logici, cioè la comparsa di una mente anche se semplice.  La mente è, probabilmente, un campo elettromagnetico dove i dati, raccolti dall'ambiente circostante vengono integrati ed elaborati. Duplicazione cellulare e mente sono quindi interconnesse e sono emerse per la sopravvivenza degli organismi.
La vita può iniziare e con essa la selezione naturale. 

                                                                                     Giovanni Occhipinti

Prossimo articolo: Introduzione all'origine della vita. (prima metà di agosto)
Complici le vacanze e la cattiva connessione internet, la pubblicazione è rinviata alla fine di settembre

Nessun commento:

Posta un commento