lunedì 7 dicembre 2015

ORIGINE DELLE PROTEINE. 2) La scelta degli amminoacidi




Post n. 25

Il problema è stato spesso menzionato: se nell’esperimento di Miller e di altri ricercatori, e anche nei meteoriti sono stati individuati circa 60 amminoacidi come mai solo 20 sono entrati a far parte delle proteine? E poi: ma questi venti amminoacidi erano veramente tutti presenti in epoca prebiotica? E se non erano tutti presenti, quanti e quali furono gli amminoacidi costituenti delle prime proteine? E come sono stati scelti?
I 20 amminoacidi in questione sono:
Gly (Glicina), Ala (Alanina), Val (Valina), Leu (Leucina), Ileu (Isoleucina), Pro (Prolina), Asp (Acido aspartico), Glu (Acido glutammico), Ser (Serina), Thr (Treonina), Gln (Glutammina), Asn (Asparagina), Met (Metionina), Cys (Cisteina), Phe (Fenilalanina), Tyr (Tirosina), Trp (triptofano),
Hys (Istidina), Arg (Arginina), Lys (Lisina).
La maggior parte degli scienziati che si occupano dell’origine della vita è dell’opinione che il numero di amminoacidi, quando ebbe inizio la vita, era sicuramente inferiore a quello attuale. Pochi sono però i ricercatori che azzardano numeri e nomi. Tra questi ultimi, chi ha affrontato in modo ampio il problema è stato Mario Ageno, allievo di Enrico Fermi e padre della biofisica in Italia. Egli parte da un lavoro di Miller del 1974 che riesamina i risultati di tutti gli esperimenti condotti fino a quell’epoca e dimostra, al di là di ogni possibile dubbio, la sintesi prebiotica di 12 amminoacidi:
Gly, Ala, Val, Leu, Ileu, Pro, Asp, Glu, Ser, Thr, Gln, Asn

 Miller mette in evidenza come aggiungendo H2S (acido solfidrico) all’atmosfera-modello primitiva (CH4, NH3, H2O, H2) si ottiene facilmente la
Met
mentre la
Cys
è stata ottenuta da Khane e Sagan sottoponendo a radiazione ultravioletta una miscela di: CH4, C2H6, NH3, H2O, H2S.
Inoltre attraverso processi di pirolisi e reazioni in soluzione si ottengono
Phe, Tyr, Trp
Infine dalla sintesi della Pro e dell’acido pipecolico si ottengono
Arg, Lys
L’Istidina rimane l’unico amminoacido che non è mai stato sintetizzato per via prebiotica.
Naturalmente non è escluso, anzi è molto probabile, che i processi di sintesi degli amminoacidi in epoca prebiotica abbiano seguito, in molti casi, vie diverse da quelle sopra esposte.
Poniamo l’attenzione per il momento sui 12 amminoacidi di sicura origine prebiotica e vediamo in seguito quali altri processi di sintesi abiotica degli amminoacidi possiamo ritenere plausibile.
Ageno suggerisce di partire da uno studio formale del codice genetico, cioè della legge di corrispondenza tra l`RNA e gli amminoacidi.
L’RNA è l’acido nucleico che trasporta l’informazione per la sintesi delle proteine.
I costituenti degli dell’RNA sono:
il gruppo fosfato: (H2PO4)-.
Uno zucchero, il Ribosio

Quattro basi azotate: A (Adenina), G (Guanina), U (Uracile), C (Citosina).




Un gruppo fosfato, una molecola di Ribosio, e una molecola qualsiasi delle quattro basi danno origine a quattro diversi aggregati che prendono il nome di nucleotidi. Come esempio si riporta l’Adenosin-5-fosfato.


Legando insieme mediamente 300 nucleotidi diversi si ottiene un macromolecola: l’RNA



(Figure da: “Lezioni di biofisica)” di Mario Ageno

Nell’RNA ai tre nucleotidi adiacenti si dà il nome di “tripletta”. Per esempio, nella figura i tre nucleotidi UAC costituiscono una tripletta. Se a seguire, nella figura, ci fossero GUA, saremmo in presenza di un’altra tripletta e così via. A partire da questa macromolecola di RNA, attraverso un processo, oggi abbastanza complesso, vengono assemblate le proteine. Ad ogni tripletta corrisponde uno specifico amminoacido, uno e uno solo, e tale legge di corrispondenza, rappresentata con 3:1, viene chiamata: codice genetico. Tutti gli organismi viventi sul nostro pianeta utilizzano lo stesso codice genetico, esso è quindi universale.
Avendo a disposizione quattro nucleotidi i modi in cui li possiamo disporre tre a tre, cioè il totale delle triplette che possiamo ottenere, sono 43 = 64. Tre di queste triplette sono utilizzate come segnale di termine(t.), quindi, in teoria, l’RNA contiene l’informazione per 61 amminoacidi. Poiché gli amminoacidi a disposizione di tutti gli organismi viventi sono solo 20, il codice genetico è degenere nel senso che più triplette codificano per lo stesso amminoacido.




Per esempio le triplette che presentano in 1a, 2a, e 3a posizione GUU, GUC, GUA, GUG, codificano tutte lo stesso amminoacido: la Valina (Val).  
In riferimento alla legge di corrispondenza, Mario Ageno si chiede se il codice genetico sia stato fin dalle origini 3:1; è possibile che in epoca primitiva esso fosse diverso per esempio 2:1? Egli, in “Lezioni di Biofisica” 1984, esclude una simile eventualità, perché, in tal caso, tutti i processi metabolici realizzati con un codice 2:1 sarebbero andati persi nel passaggio ad un codice 3:1 e l’evoluzione avrebbe dovuto cominciare da capo, ma aggiunge: «È tuttavia ammissibile che all’inizio non tutte le tre posizioni venissero lette: forse le prime due mentre la terza aveva la funzione di spaziatura».
Egli però non approfondisce le conseguenze di una simile eventualità sul numero e la scelta degli amminoacidi in epoca prebiotica, conseguenze che affronteremo noi nel proseguo dell’articolo.
In relazione agli amminoacidi presenti in epoca prebiotica, analizzando il codice genetico, Mario Ageno scrive: «la stessa struttura formale del codice genetico suggerisce che i due amminoacidi Metionina (Met) e Triptofano (Trp) siano di introduzione abbastanza recente».
Egli prende poi in considerazione gli studi sulla sequenza amminoacidica delle proteine, in particolare emoglobine e citocromo, contenute in specie diverse. Egli analizza un particolare tipo di proteine considerate di origine arcaica: le Ferrodoxine. Come noto, uno dei processi evolutivi che porta a nuove proteine è il raddoppio del gene. Tale gene esprimerà una proteina di lunghezza doppia ma costituita da due sequenze identiche di amminoacidi che con il tempo, per effetto delle mutazioni, divergeranno. Però è spesso possibile risalire alla proteina originaria, ed è ciò che è stato fatto con le Ferrodoxine. Si è potuto dimostrare che queste proteine derivano tutte da una proteina originaria di 27 amminoacidi, considerata una delle prime proteine comparse durante il processo che ha dato origine alla vita.
Questa proteina arcaica risulta costituita da nove amminoacidi diversi e cioè:
Gly, Ala, Val, Glu, Asp, Pro, Cys, Ser, Ileu
Seguendo un ragionamento diverso, Jukes aggiunge anche la Leu. Come si vede tutti, tranne la Cys, fanno parte dei 12 amminoacidi, di sicura origine prebiotica, del riesame di Miller. Ageno suggerisce quindi, che il numero degli amminoacidi in epoca prebiotica potevano essere circa la metà di quelli attuali.
Questa conclusione crea però dei problemi.
Se in epoca prebiotica fossero stati presente solo 10 amminoacidi molte triplette sarebbero state non senso. Per esempio, quattro triplette con C e G in 1a e 2posizione e due triplette con A e G in 1a e 2posizione codificano tutte Arg. Poiché Arg non figura tra i dieci sopra elencati, e neanche tra i 12 del riesame di Miller, queste triplette sarebbero state triplette non senso.  Ma Ageno esclude categoricamente l’esistenza, in epoca prebiotica, di triplette non senso, perché mutazioni puntiformi avrebbero interrotto la sintesi proteica con esiti letali. Per risolvere il problema, Egli introduce il fenomeno del “tentennamento”. Immagina che la lettera centrale -U- indicasse un amminoacido idrofobo (che non si lega con H2O) mentre –A- indicasse un amminoacido idrofilo (che si lega con H2O), lasciando la precisa specificazione dei risultati all’evoluzione.
Questa spiegazione crea però altri problemi.  Perché l’Arg e la Ser pur essendo idrofile non hanno A in seconda posizione ma C? E la Pro perché non ha U in seconda posizione pur essendo un idrofobo? Eppure sia nel primo che nel secondo caso ci sarebbero triplette a disposizione perché, come si vede, più triplette codificano lo stesso amminoacido, per esempio la Pro avrebbe potuto sostituire una tripletta delle Leu.  
Bisogna inoltre aggiungere che la comparsa di un nuovo amminoacido comporta anche l’apertura di una nuova via metabolica. È abbastanza difficile immaginare che la vita appena formata e in fase di evoluzione, venga sottoposta allo stress di creare continuamente un numero così elevato di nuove vie metaboliche. In definitiva la presenza, in epoca prebiotica, dei dieci amminoacidi sopra elencati è credibile, però poiché non potevano esistere triplette non senso non può essere il numero definitivo. Possiamo concludere che il problema di quanti fossero gli amminoacidi in epoca prebiotica, quali fossero e come siano stati scelti rimane fin qui irrisolto.
Riprendiamo allora il lavoro di Miller. Come si vede, sia tra i 12 amminoacidi del riesame che tra i componenti della proteina arcaica è presente la Pro. Ma come suggerisce Ageno la sintesi della Pro implica la sintesi di Arg e Lys. L’Arg, inoltre, non poteva mancare altrimenti avremmo avuto 6 triplette non senso. Sembra quindi abbastanza ragionevole aggiungere, all’elenco dei 12 anche questi due amminoacidi.
Prendiamo adesso in considerazione la sintesi di Met e Cys.
Come abbiamo visto nel riesame di Miller, aggiungendo H2S (acido solfidrico) all’atmosfera-modello primitiva (CH4, NH3, H2O, H2) si ottiene la Met, mentre la Cys è stata ottenuta da Khane e Sagan sottoponendo a radiazione ultravioletta una miscela di: CH4, C2H6, NH3, H2O, H2S. Ora, a prima vista sembra
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chimicamente più semplice la formazione di Met che di Cys. Eppure la Cys è uno dei nove amminoacidi componenti le ferrodoxine, proteine arcaiche comparse durante il processo che ha dato origine alla vita.  Ma se si è formata la Cys sicuramente si è formata anche la Met. Noi in realtà non abbiamo nessun elemento valido che ci possa fare escludere la Met. Anche questi 2 amminoacidi andrebbero quindi aggiunti ai dodici già elencati. Però, poiché nessun ricercatore ha mai ipotizzato che l’atmosfera terrestre contenesse H2S a livello planetario, dobbiamo ritenere che questi due amminoacidi si siano formati soltanto in luoghi dove H2S era presente, cioè in prossimità di zone vulcaniche.
Secondo Christian de Duve in “Alle origini della vita” 2010, Triptofano(Trp) e Istidina(Hys) sono apparsi più tardi nello sviluppo della vita. Essi, infatti, non sono stati trovati nei meteoriti ed inoltre l’Istidina non è mai stata sintetizzata in esperimenti di chimica prebiotica.
 Richiamando ancora il riesame di Miller, Phe (Fenilalanina), Tyr (Tirosina), Trp (Triptofano) sono stati ottenuti attraverso processi di pirolisi e reazioni in soluzione. I processi di pirolisi, cioè demolizioni di composti tramite il calore, sono processi che avvengono ad alta temperatura. In laboratorio e nell’industria danno buone rese perché sono processi ben controllati. Questi tre amminoacidi hanno una struttura molecolare abbastanza complessa, e il Trp è il più complesso dei tre. Ma de Duve non 
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esclude il Trp per la complessità della sua molecola ma solo perché non è stato individuato nei meteoriti.  Questo però non sembra un motivo valido che possiamo assumere come discriminante. E allora, o li escludiamo tutti e tre, o immaginiamo che, in epoca prebiotica, modeste quantità di questi composti si siano formati in particolari zone della crosta terrestre, per esempio in presenza di lava in raffreddamento.

Concludendo, l’analisi fin qui condotta ci suggerisce due conclusione:
A) Gli amminoacidi presenti in epoca prebiotica erano 14 e cioè:
Gly, Ala, Val, Leu, Ileu, Pro, Asp, Glu, Ser, Thr, Gln, Asn, Arg, Lys
gli altri 6 erano assenti.
B) I 20 amminoacidi attuali era tutti presenti ma un primo gruppo, diffuso su tutta la superfice del pianeta, costituito dai 14 amminoacidi sopra elencati e cioè:
Gly, Ala, Val, Leu, Ileu, Pro, Asp, Glu, Ser, Thr, Gln, Asn, Arg, Lys
Un secondo gruppo localizzato, cioè che si è formato in particolari zone della del pianeta probabilmente in prossimità di aree vulcaniche, costituito da 6 amminoacidi.
Met, Cys, Phe, Tyr, Trp, Hys
Seguiamo adesso un argomentazione diversa.
Come abbiamo già detto, Ageno non approfondisce le conseguenze del fatto che, ad essere lette, fossero la coppia di lettere in 1a e 2a posizione.
E allora, ripartiamo dalla struttura del codice genetico e in particolare da una condizione necessaria: non possono esistere triplette non senso. Questa condizione può essere soddisfatta se la 1a e la 2a posizione codificano almeno un amminoacido utilizzando la terza come spaziatura. Questa possibilità è già stata ammessa da Ageno quando scrive: «È tuttavia ammissibile che all’inizio non tutte le tre posizioni venissero lette: forse le prime due mentre la terza aveva la funzione di spaziatura». Ora, se la terza posizione si riduce a spaziatura il numero di amminoacidi che il codice genetico può codificare utilizzando solo la 1a e la 2a posizione si riduce a 24= 16. Questo significa che in epoca prebiotica avremmo dovuto avere 16 amminoacidi, altrimenti saremmo stati in presenza di triplette non senso.
Dal codice genetico si evince però, che Ser e Arg oltre ad occupare le triplette con in 1a e 2a posizione rispettivamente CC e CG occupano anche le triplette con AG in1a e 2a posizione. Insomma 2 amminoacidi occupano 3 posizioni e quindi, per non avere triplette non senso, erano sufficienti già 15 amminoacidi.
Inoltre, anche la Leu viene codificata da triplette con in1a e 2a posizione CU e UU. La Leu occupa da sola 2 posizioni e gli amminoacidi necessari scendono a 14.
In conclusione, per non avere triplette non senso, erano necessari 14 amminoacidi. Mancano all’appello 6 amminoacidi.
Intanto è singolare il fatto che questi numeri coincidono esattamente con le conclusioni sul riesame di Miller riportate in A) e B).
Seguiamo ancora la struttura del codice genetico e cerchiamo di individuare gli eventuali 6 amminoacidi mancanti.
Come si vede dal codice genetico esistono coppie di amminoacidi che vengono codificate dalle stesse coppie di nucleotidi in 1a e 2a posizione, essi sono:
UU- (Phe, Leu),       AU- (Ileu, Met),                  CA- (His, Gln),                     AA-(Asn, Lys),                             GA- (Asp, Glu),        UG- (Cys, Trp),        AG- (Ser, Arg)
Inoltre UA- (Tyr, t), dove t segnale di termine.
Per non avere triplette non senso, in epoca prebiotica, almeno uno di questi amminoacidi doveva essere presente.
Intanto Asp e Glu erano sicuramente presenti perché sono stati individuate sia nelle proteine arcaiche che tra gli amminoacidi di sicura origine prebiotica di Miller.
Anche Ser e Arg dovevano essere presenti altrimenti, come abbiamo poc’anzi, avremmo triplette non senso.
Infine dovevano essere presenti Leu, Ileu, Gln, Asn, e Cys perché già individuate o tra gli amminoacidi di sicura origine prebiotica o nelle proteine di origine arcaica.
I 6 amminoacidi mancanti sarebbero allora:
Met, Phe, Tyr, Trp, His, Lys.
Con Lys al posto di Cys questi amminoacidi corrispondono esattamente al gruppo di 6 amminoacidi che, come abbiamo supposto in B), probabilmente si sono formate in zone vulcaniche. È importante qui sottolineare come, seguendo due percorsi completamente diversi, a meno di un amminoacido, abbiamo ottenuto gli stessi risultati sia in quantità che qualità.
Ma poi questi 6 amminoacidi erano veramente mancanti?
Per Met, Phe, Tyr, Trp vale lo stesso discorso che ci ha portato alle conclusioni A) e B).
Arg (Arginina) e Lys (Lisina) sono due molecole con catena laterale basica, ma la molecole della Lys è più semplice della molecola dell’Arg. Non sembra quindi logico escludere la Lys.
Vogliamo escludere l’His solo perché non è stata ancora individuata in esperimenti di chimica prebiotica?

Ma allora quanti e quali erano gli amminoacidi in epoca prebiotica?
Partiamo da alcune considerazioni di Ageno:
Egli parte dalla constatazione che l’introduzione di un nuovo amminoacido non è il risultato di una semplice mutazione ma necessita l’impostazione di una nuova via metabolica.
Inoltre se l’introduzione di nuovi amminoacidi fosse facile, come mai il codice genetico è universale? E come mai le diverse specie non hanno sviluppato un proprio codice particolare? Ageno ammette che a queste domande non sappiamo rispondere.
In realtà a queste domande una risposta si può dare, ed è la conclusione già esposta in B):
Gli attuali 20 amminoacidi erano tutti presenti ma vanno divisi in due gruppi.
Un primo gruppo, diffuso su tutta la superfice del pianeta, era costituito dagli amminoacidi considerati da Miller di sicura provenienza abiotica a cui aggiungere Arg e Lys, in totale 14 cioè:
Gly, Ala, Val, Leu, Ileu, Pro, Asp, Glu, Ser, Thr, Gln, Asn, Arg, Lys
Un secondo gruppo localizzato, cioè che si è formato in particolari zone del pianeta probabilmente in prossimità di aree vulcaniche, costituito da 6 amminoacidi.
Met, Cys, Phe, Tyr, Trp, Hys
Questa è, in definitiva, una conclusione quasi obbligata. Se il codice genetico è universale, ne consegue che esso ha avuto origine quando ha avuto origine la vita e quindi i 20 amminoacidi dovevano essere tutti presenti. Per la vita in formazione, impostare ogni volta nuove vie metaboliche alla comparsa di nuovi amminoacidi e quindi cambiare continuamente il codice genetico, sarebbe stata letale.
Infine, perché proprio questi 20 amminoacidi e non altri?
Della questione si sono occupati Arthur Weber e Stanley Miller in “Reasons of the Occurrence of the Twenty Coded Protein Amino Acids” nel 1981. Essi riportano i lavori di diversi ricercatori, per noi di nessun interesse, perché partono dall’assunto che la vita ha avuto origine in un brodo prebiotico. Inoltre, i due scienziati sostengono improbabile che un singolo processo possa spiegare la selezione dei venti amminoacidi.
Qui si sostiene invece che il brodo prebiotico non è mai esistito e che la vita ha avuto origine sulla terraferma. Sosteniamo inoltre che l’esperimento sui doppi strati elettrici è a tutt’oggi l’unico esperimento noto, di un singolo processo, dove un agente fisico, il quarzo, collega deduttivamente la separazione, in epoca prebiotica, degli amminoacidi Destro dai Levo coi principi fondamentali della teoria fisica. Ipotizziamo inoltre, come abbiamo visto negli articoli, “Origine delle proteine: il problema dell’asimmetria molecolare”, che la silice colloidale abbia lo stesso comportamento del quarzo. Poiché ogni amminoacido possiede un campo elettromagnetico associato alla propria molecola, dei circa 60 amminoacidi presenti in epoca prebiotica i 20 scelti solo quelli il cui campo elettromagnetico era compatibile con i potenziali elettrocinetici della silice colloidale.


                                                                                              Giovanni Occhipinti
Prossimo articolo: Origine delle Proteine: 3) La formazione delle proteine (fine marzo)

mercoledì 30 settembre 2015

ORIGINE DELLE PROTEINE: (sesta parte),1) Il problema dell'asimmetria molecolare



Post n. 24

      
Come abbiamo già esposto altrove, in riferimento al problema dell’asimmetria molecolare, Mario Ageno in “Lezioni di Biofisica”, 1980 scrive: «Questo problema ha tormentato la mente di un gran numero di ricercatori, dai tempi di Pasteur fino ad oggi e non sembra aver ancora ricevuto una risposta completamente soddisfacente, che cioè colleghi deduttivamente l’esistenza dell’asimmetria molecolare della biosfera coi principi fondamentali della teoria fisica o biologica».
Attraverso la misura dei potenziali di flusso (Origine delle proteine: Il problema dell’asimmetria molecolare, parte terza) è stato messo in evidenza come, all’interno dei doppi strati elettrici, su quarzo Destro si accumula l’amminoacido Destro e su quarzo Levo l’amminoacido Levo. Oggi siamo quindi in presenza di un processo che collega deduttivamente tale separazione coi principi fondamentali della teoria fisica. Abbiamo anche constatato che la silice allo stato colloidale è levogira. Allora la domanda è: la silice colloidale ha lo stesso comportamento del quarzo? Può la silice colloidale Levo accumulare sulla sua superficie l’amminoacido Levo? E poi: che fine ha fatto l’amminoacido Destro?
Purtroppo non è possibile preparare diaframmi di silice colloidale e quindi non è possibile utilizzare, anche per la silice colloidale, l’apparecchio che abbiamo adoperato per la misura dei potenziali di flusso del quarzo. Dobbiamo necessariamente utilizzare un’altra strategia.
Un colloide in soluzione è un sistema bifasico, che presenta le stesse proprietà di una superficie a contatto con un liquido. Sulla superficie di contatto della particella con il mezzo liquido sono possibili, quindi, fenomeni di adsorbimento e formazione di doppio strato elettrico. La strategia da utilizzare, in sintesi, è allora la seguente: preparare una soluzione di amminoacido DL (50% Destro e 50% Levo), la quale non dà, al polarimetro, nessuna deviazione della luce polarizzata. Nella stessa soluzione si aggiunge vetro solubile (Na2O·2SiO2·2H2O) per produrre la silice colloidale, filtrare e osservare al polarimetro. Se una delle due forme viene accumulata sulla superficie della silice essa rimarrà nel filtro assieme alla silice, la sua concentrazione nella soluzione che attraversa il filtro sarà inferiore e sarà messa in evidenza dall’osservazione al polarimetro.
Però, per poter mettere in evidenza una deviazione della luce polarizzata misurabile, abbiamo bisogno che la quantità di amminoacido adsorbito sia consistente e di conseguenza dobbiamo produrre una considerevole quantità di silice colloidale. Qui sorge però un problema. Come si vede dalla reazione,

Na2SiO3 +2 HCl + H2O → 2 NaCl + H4SiO4 (acido orto silicico)

 la produzione di una considerevole quantità di silice colloidale produce anche una notevole quantità di sale (NaCl).
Ora, secondo Bikerman come riporta G. Bianchi “Elettrochimica” 1963, all’aumentare della concentrazione salina nella soluzione, il potenziale elettrocinetico tende a zero. In particolare, per sali a carica unitaria, il potenziale elettrocinetico è zero quando la concentrazione salina raggiunge 3-4 g/L.
Tale diminuzione, come evidenzia Samuel Glasstone in “Trattato di chimico-fisica” 1963, può essere dovuta:
1)          Ad una diminuzione dello spessore del doppio strato elettrico;
2)          Il doppio strato elettrico è ancora esteso ma variano al suo interno la costante dielettrica e la viscosità.
Purtroppo non è possibile preparare in laboratorio una consistente quantità di silice colloidale con un contenuto salino al di sotto di 3-4 g/L. Dopo vari tentativi la concentrazione scelta è stata di 1,1g/50mL di vetro solubile (Na2O·2SiO2·2H2O) portata a pH = 6,8-7,4 con HCl 8N. In queste condizioni la quantità di silice è consistente, si forma dopo circa ¼ h e dopo 3-5 h può essere filtrata con filtro Wattman medio-veloce. Il contenuto salino risulta però di circa 0,60g/50mL, cioè intorno a 12g/L in NaCl.
Quindi se aumentando la concentrazione salina la tendenza a zero del potenziale è dovuta al punto 1), cioè alla scomparsa del doppio strato elettrico, l’amminoacido non può essere accumulato sulla superficie della silice e quindi in laboratorio nulla può essere messo in evidenza.
Se invece, come si evidenzia al punto 2) il doppio strato elettrico è ancora esteso, l’amminoacido specifico potrebbe essere trattenuto dalla silice e il filtrato avere una concentrazione minore.
La concentrazione scelta per l’amminoacido è stata di 0,30g/50mL circa. Non c’è una ragione specifica per tale scelta. Prendendo, per gli amminoacidi, un peso molecolare medio di 100 uma, la concentrazione 10-2 M sembra troppo diluita, mentre la concentrazione 10-1 M troppo concentrata: si è scelta una concentrazione intermedia.
Il Polarimetro utilizzato è un Polax 2L. Gli amminoacidi presi in esame sono stati: Alanina, Valina e Treonina; altri amminoacidi non erano disponibili in quantità sufficiente. Di questi solo l’Alanina ha dato risultati positivi.    

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L’Ala DL (50 % Destro 50 % Levo) non devia la luce polarizzata, l’Ala L devia a destra (+), mentre l’Ala D devia a sinistra (-). Dai dati sperimentali si evince che la soluzione di Ala DL, dopo il contatto con la silice e la filtrazione, devia il piano della luce polarizzata a sinistra, contiene una maggiore quantità di Ala D (-). Ciò vuol dire che quando l’Ala DL viene a contatto con la silice, l’Ala L(+) è trattenuta all’interno dei doppi strati elettrici della silice mentre l’Ala D (-) non viene trattenuta, rimane in soluzione. La silice colloidale si comporta quindi come il quarzo, separa il Destro dal Levo.
Ci si chiede: come mai solo l’Ala e non gli altri amminoacidi? Come abbiamo già visto (Origine delle proteine, parte terza) ogni amminoacido, rispetto al quarzo, viene accumulato nel doppio strato elettrico ad un potenziale specifico. Quindi, soltanto ad un potenziale specifico l’amminoacido viene accumulato nel doppio strato elettrico e sottratto alla soluzione. E allora è molto probabile che il doppio strato elettrico della silice sia molto esteso come previsto al punto 2) e che l’elevata concentrazione salina imponga il solo potenziale specifico dell’alanina. Gli esperimenti sono stati fatti nel corso di un anno alla temperatura media di 20 °C. Quando a primavera inoltrata e inizio dell’estate la temperatura dell’ambiente raggiungeva i 24 °C e veniva ripetuto l’esperimento, non si osservava più la deviazione della luce polarizzata. È probabile che in queste nuove condizioni il colloide trovi una nuova stabilità, il doppio strato elettrico varia drasticamente e di conseguenza il potenziale non risulta essere il potenziale specifico dell’alanina.
 È chiaro che da questi risultati non si possono trarre conclusioni definitive, essi sono però un forte indizio di come potrebbero essere andati i fatti. Gli amminoacidi DL sintetizzati nell’atmosfera e trascinati dalla pioggia, raggiunta la superficie della terra, sono stati separati dalla silice colloidale. Il Levo è rimasto sulla superficie della terra, trattenuto dalla silice all’interno dei doppi strati elettrici, dando origine a polipeptidi L e il Destro trascinato nell’oceano primordiale.
In epoca prebiotica l’atmosfera non conteneva ossigeno e quindi era assente lo scudo di ozono. I raggi ultravioletti, in quantità molto maggiori di quelli attuali, raggiungevano la superficie del pianeta. In un primitivo oceano essi raggiungevano la profondità di circa 10m distruggendo qualsiasi forma di vita in formazione e le stesse sostanze organiche necessarie alla sua origine. Diffusione, agitazione termica e correnti avrebbero prima o poi portato tutte le sostanze in questa fascia e sarebbero state distrutte.
È possibile quindi ipotizzare che i doppi strati abbiano funzionato da filtro elettrochimico, selezionando e accumulando gli amminoacidi Levo, mentre il Destro trasportato dalle acque nell’oceano primitivo è stato lentamente distrutto dai raggi ultravioletti. Ed è all’interno di questi doppi strati elettrici, separati i destri dai levo ed al riparo dai raggi ultravioletti, secondo le leggi naturali, che la vita ha dovuto compiere i suoi primi passi.
E allora, è la silice colloidale l’agente asimmetrico che da quasi due secoli non si riesce a identificare?
È questo l’anello mancante per risolvere il problema dell’asimmetria molecolare degli organismi viventi, in epoca prebiotica, cioè prima che la vita avesse origine?
Certamente, 3,5 miliardi di anni fa, a contatto con la silice qualcosa deve essere accaduto.
Esistono delle regioni della crosta terrestre che conservano rocce antichissime chiamate antichi scudi continentali: old shields. La formazione del Fig Tree in Sud Africa è tra i più antichi di questi old shields. I suoi sedimenti e le sue rocce sono state datate di 3,2-3,5 miliardi di anni. Ci troviamo al limite inferiore di quel miliardo di anni vuoto, tra la formazione della terra 4,5 miliardi di anni fa e la comparsa dei primi organismi viventi (stimata a 3,5 miliardi di anni fa).
Nel 1965 E. S. Barghoorn “I fossili più antichi” Le Scienze, Gli albori della vita 1984, raccolse selci provenienti da diverse località del Fig Tree ed ecco cosa


                                      Le Scienze: Gli albori della vita


scrive: «Esaminando le sezioni sottili al microscopio, potemmo osservare che la matrice rocciosa presentava abbondanti laminazioni di materia organica scura e sostanzialmente opaca […]. Il processo di deposizione della sostanza organica era avvenuta entro una matrice ricca di silice, prima che questa si fosse cristallizzata in selce […]. Il microscopio elettronico rivelò inoltre anche sostanza organica sotto forma di irregolari, sottili filamenti […]. I filamenti si erano sicuramente formati contemporaneamente alle selci […]. È stata suggerita l’ipotesi che possano essere filamenti polimerizzati di materia organica abiotica, proveniente dal brodo prebiotico».
La silice colloidale è un minerale asimmetrico, che nella sua breve vita esiste solo come Levo.
Essa, in epoca prebiotica potrebbe aver accumulato sulla sua superficie l’amminoacido Levo.
Se così fosse i filamenti polimerizzati scoperti da Barghoorn potrebbero essere amminoacidi Levo polimerizzati e rimasti imprigionati, all’interno di una matrice silicea, per 3,5 miliardi di anni. Un simile evento avrebbe separato definitivamente l’amminoacido D dall’amminoacido L portandoli in condizioni chimico-fisiche completamente diverse.
Infatti, la silice si deposita principalmente sulla terraferma e l’amminoacido Levo sarebbe stato concentrato in superfici specifiche, al riparo dai raggi ultravioletti e lontano da altri reagenti.
L’amminoacido destro, trasportato dalle acque nell’oceano, avrebbe partecipato a un numero enorme di reazioni secondarie di nessuna utilità per l’origine della vita e lentamente sarebbe stato distrutto dai raggi ultravioletti.
Scrive Christian de Duve in “Polvere vitale” 1998: «Questa strana preferenza della natura per gli amminoacidi sinistrorsi è considerata da molti scienziati uno dei misteri più interessanti che circondano l’origine della vita».
Secondo R.E. Dickerson “L’evoluzione chimica e l’origine della vita” Le Scienze, Gli albori della vita 1984: «Sembra che la selezione primitiva degli isomeri L sugli isomeri D sia stata un fatto casuale. […] può darsi che, in un certo periodo, vi sia stata una vita primitiva, basata sia sugli amminoacidi D, sia su quelli L, con una probabilità del 50% e che, alla fine, prevalsero sugli altri gli amminoacidi L».
Per parecchi ricercatori tra i quali Paul Davies, “Da dove viene la vita” 2000, la questione dell’asimmetria degli organismi viventi è anche: «Una prova dell’esistenza dell’antenato universale che deriva dalla bizzarra questione della cosiddetta chiralità delle molecole. […] ogni composto si ritrova con la stessa chiralità, destra o sinistra che sia, in tutti i viventi. Questo fa pensare che tutti discendano da una stessa cellula, che conteneva ogni molecola nella particolare forma chirale in cui la troviamo oggi».
Ma forse non esiste nessun mistero, nessuna doppia origine e nessun antenato comune. I fatti sembrano essere più semplici di quanto si possa pensare e regolati da un rigido determinismo, almeno nella prima fase dell’origine della vita.
                                                                                             
                                                                                         Giovanni Occhipinti

                                                               
Prossimo articolo: Origine delle proteine: La scelta degli amminoacidi (fine novembre)

martedì 30 giugno 2015

ORIGINE DELLE PROTEINE (quinta parte), 1) Il problema dell'asimmetria molecolare



Post n. 23


Quindi il problema è: in che modo l’asimmetria dell’acqua può determinare l’asimmetria della silice colloidale?
I sistemi colloidali sono influenzati da parecchi fattori indipendenti e non è possibile ancor oggi definire una teoria completa della stabilità dei colloidi. Per poter studiare i sistemi colloidali è necessario quindi, come suggerito da vari ricercatori, standardizzare la tecnica e predefinire un determinato intervallo di tempo prima dell’osservazione. Per parecchi colloidi, tra i quali la silice, l’H2O dà un contributo notevole alla loro stabilità.
È noto che la molecola dell’acqua presenta un legame covalente polare, dovuto alla forte elettronegatività dell’ossigeno ed è quindi un dipolo;


Come conseguenza di tale legame le molecole di acqua risultano orientate in tutte le direzioni, con l’idrogeno verso l’ossigeno, formando grandi aggregazioni molecolari (cluster);


Lo studio del ghiaccio, attraverso i raggi X, ha dimostrato che tali aggregati molecolari danno origine a cristalli formati da unità strutturali tetraedriche con al centro un atomo di ossigeno e ai vertici altri quattro atomi di ossigeno. Ogni ossigeno è legato a quattro atomi di idrogeno e presenta quindi numero di coordinazione quattro.  Ogni molecola è quindi legata mediante i legami idrogeno con altre quattro molecole formando una struttura più espansa. Le direzioni lungo le quali si collocano i 4 legami pongono al centro l'atomo di ossigeno e vanno verso i vertici di un tetraedro 


È interessante notare che Bernal e Flower (Bernal J D and Fowler R H 1933 J. Chem. Phys. 1 515, da Iopscience) ritenevano che il passaggio dal ghiaccio all'acqua fosse analogo al passaggio dalla tridimite al quarzo e che proprio questa struttura quarzosa fosse responsabile dell’aumento della densità dell’acqua. È comunque opinione condivisa l’ipotesi che l’acqua liquida possiede una struttura quasi cristallina formanti cluster. Essa conserva unità strutturali tetraedriche, dove però le molecole di acqua vengono continuamente scambiate per effetto dell’agitazione termica. All'aumentare della temperatura, pur rimanendo la tendenza della coordinazione quattro, ogni atomo di idrogeno è legato a tre atomi di ossigeno e successivamente a due atomi di ossigeno.
È probabile che tale struttura quasi cristallina sia presente ancora a temperatura ordinaria e fino alla temperatura di 37°C e che tale struttura sia la responsabile dell’alto calore specifico dell’acqua a queste temperature. Oltre i 37°C il calore specifico dell’acqua ha infatti il suo valore minimo. L’ipotesi più accreditata è che oltre questa temperatura la coordinazione sia esclusivamente due, venga persa definitivamente la tendenza alla coordinazione quattro e le strutture quasi cristalline collassano definitivamente.
È importante evidenziare che misure di soluzioni di silice al polarimetro sono state fatte anche a diverse concentrazioni e temperature. I dati sperimentali (vedi: Chimica prebiotica ed origine della vita) ci indicano che all'aumentare della temperatura e fino a 34°C la deviazione della luce polarizzata rimane costante. Oltre la temperatura di 34 °C, la deviazione diminuisce drasticamente per portarsi a zero già a 38-40°C, l’asimmetria della silice è scomparsa.
Come è stato già detto, l’ipotesi più accreditata è che alla temperatura di 37°C le strutture quasi cristalline dell’H2O collassano definitivamente. Dai dati sperimentali si evince che intorno alla medesima temperatura la silice colloidale non devia più la luce polarizzata. Sembra comunque evidente una relazione diretta tra i cluster di H2O e la struttura della silice colloidale (denominata spesso Sol di silice o semplicemente Sol); distrutti i Cluster, scompare definitivamente l’asimmetria della silice.
Quindi, oltre all'asimmetria dell’acqua dove, come abbiamo visto, predominano le molecole orto a spin paralleli,

anche i cluster sembrano dare un contributo a determinare l’asimmetria della silice colloidale.
Inoltre, è singolare il fatto che molecole e strutture collegate alla vita presentano la stessa unità strutturale: il quarzo è costituito da unità strutturali tetraedriche, ma come abbiamo visto altrove, anche gli amminoacidi hanno unità strutturali tetraedriche. Abbiamo poi scoperto che anche la silice e infine l’acqua presentano unità strutturali tetraedriche. Ora, se il primo indizio è un caso e il secondo una coincidenza, il terzo indizio indica generalmente uno schema. L’unità strutturale tetraedrica, energeticamente molto stabile, deve in qualche modo avere anche un suo ruolo nell'orientamento e nella geometria ultima della silice colloidale.
Possiamo concludere che ci sono tre fattori concomitanti che sembra contribuiscano a determinare l’asimmetria della silice colloidale: l’asimmetria dell’acqua, i cluster e l’unità strutturale tetraedrica.
Come già detto, l’unità strutturale tetraedrica della silice pone al centro l’atomo di silicio ed ai vertici l’ossigeno. Attraverso il legame di tali unità strutturali seguendo la reazione,

Fig.1
si ha dapprima la formazione di silice colloidale dove, come si vede dalla Fig.1, molti degli ossigeni sono ancora legati all'idrogeno. A causa della differente elettronegatività tra ossigeno e idrogeno si ha la formazione di un dipolo e su di esso si orienta e si lega l’acqua con il suo caratteristico legame.

Fig. 2
la silice è quindi avvolta da un gran numero di molecole di H2O, che allo stato di colloide gli conferiscono una certa stabilità; infatti la maggior parte delle molecole di H2O, intorno alla silice colloidale, sono orientate allo stesso modo cioè con all'esterno la carica positiva.

La repulsione tra le cariche positive ritarda l’aggregazione delle particelle colloidali e la formazione della silice amorfa (Gel di silice). Le molecole di acqua che si trovano intorno alla silice colloidale non sono molecole singole, esse appartengono sempre a cluster di acqua che conservano unità strutturali tetraedriche.
E allora, in che modo i tre fattori sopra elencati possono aver determinato l’asimmetria della silice colloidale?
Proviamo a dare una risposta, con il rischio di rimediare una figuraccia.
Sappiamo che se in un filo circola corrente attorno ad esso si genera un campo magnetico. Se il filo è circondato da piccoli magneti, poste su un piano, essi si orienteranno attorno al filo in modo da formare una circonferenza chiusa.



Se però nel filo non circola corrente, i piccoli magneti dovrebbero lentamente disporsi in modo da minimizzare l’energia dell’insieme, come rappresentati in figura.

Ma questa disposizione non può essere reale perché tutti i magneti dovranno essere allineati al campo magnetico terrestre (indicato con la freccia grande).


Ora, immaginiamo di avere un bicchiere d’acqua e agitiamola energicamente con una bacchettina in modo da distruggere tutti i cluster. Cosa succede appena si smette di agitare l’acqua?  La forza predominante è l’interazione dipolo-dipolo tra le molecole di acqua. Sotto l’effetto di tale forza si ricostituiranno i cluster d’acqua con le loro strutture tetraedriche.
La struttura tetraedrica all'interno dei cluster è l’unità strutturale più stabile. Ma tale stabilità si raggiunge non solo perché gli -Hd+ sono orientati verso -Oδˉ ma anche prendendo in considerazione l’effetto degli spin, anche se tale contributo è piccolissimo. Il senso di rotazione del nucleo di idrogeno, che genera il piccolo campo magnetico, può andare in senso orario o antiorario, tale direzione viene denominata spin su e spin giù. Immaginando la struttura tetraedrica fuori da ogni contesto, è indubbio che la maggiore stabilità si ottiene quando all'interno di essa i quattro idrogeni presentano 2 spin su e 2 spin giù, come indicato in figura dalle piccole frecce; in questo modo i piccolissimi campi magnetici ad essi associati si annullano e la struttura risulta più stabile.




La struttura tetraedrica in formazione si trova però immersa nel campo magnetico terrestre. Se i baricentri dei piccoli campi magnetici fossero coincidenti, il campo magnetico terrestre non avrebbe, su di essi, nessuna influenza. I nuclei degli idrogeno all'interno della struttura tetraedrica si trovano però a distanza di circa 4Å e sono quindi sottoposti più all'effetto del campo magnetico terrestre che alla loro reciproca attrazione. È possibile allora che il campo magnetico terrestre imponga la formazione delle strutture con molecole di acqua orto e con i campi magnetici dell’idrogeno ad esso allineati.

Certamente, qui non si vuole sostenere che il campo magnetico terrestre agisca a spostare l’asse degli spin come nella risonanza NMR. Le molecole di acqua, per effetto dell’agitazione termica sono orientate in tutte le direzioni. Qui si vuole solo mettere in evidenza che probabilmente, per effetto del campo magnetico terrestre, entrano a far parte della struttura tetraedrica solo le molecole di acqua orto orientate nella direzione di tale campo, così da rendere la struttura leggermente più stabile.
Per semplicità, indichiamo con un’unica freccia posta sopra la struttura, i piccoli campi magnetici di spin nucleare orientati nella direzione del campo terrestre.



Ora, facciamo in modo che nel nostro bicchiere si formi silice colloidale. Quale sia l’esatta composizione della silice colloidale non è chiara, ciò che possiamo presumere dalla Fig.1 è che la maggior parte degli atomi di ossigeno alla periferia del sol sono legati all'idrogeno. Intorno ad essi, con -Oδ- verso -Hd+, si legheranno le molecole di acqua con le loro strutture tetraedriche.
È importante evidenziare che le strutture tetraedriche impongono angoli di legame, tra gli atomi, di circa 110°. Poiché è predominante il legame tra l’Hd+della struttura della silice colloidale e l’Oδ- dei tetraedri dell’acqua, i piccoli campi magnetici associati agli idrogeni all'interno dei tetraedri non potranno essere allineati al campo magnetico terrestre. Tale disposizione può essere rappresentata con i tetraedri dell’acqua che, a causa degli angoli di legame delle strutture tetraedriche, assumono un orientamento diverso. Di conseguenza, i campi magnetici associati ai tetraedri non si troveranno più allineati al campo magnetico terrestre e saranno sottoposti ad azioni diverse da parte del campo magnetico terrestre.


Ora, immaginiamo per un istante che tutta la struttura sia rigida tranne che nel punto di congiunzione tra i tetraedri silicei. Come si può vedere dalla figura seguente, nella struttura tetraedrica inferiore della silice colloidale, sotto l’azione del campo magnetico terrestre, i cluster legati all’–OH in posizione 1 e 3 subiranno una spinta in senso antiorario mentre quelli in posizione 2 subirà una spinta in senso orario; prevale quindi la spinta in senso antiorario.


Per contro, nella struttura tetraedrica superiore della silice colloidale, i cluster in posizione 4 e 5 subiranno una spinta in senso orario e i cluster in posizione 6 in senso antiorario; prevale, in questo caso, la spinta in senso orario.
Il risultato finale sarà che tale spinta trascinerà con sé la struttura tetraedrica inferiore della silice colloidale facendola ruotare in senso antiorario, mentre trascinerà in senso orario la struttura superiore.
In definitiva le unità strutturali tetraedriche della silice, legandosi per dare particelle colloidali, potrebbero orientarsi in qualsiasi direzione e un contributo, anche se piccolissimo, potrebbe darle una direzione preferenziale. Tale contributo potrebbe essere dato dall'effetto combinato tra il campo magnetico terrestre e i tre fattori sopra elencati: l’asimmetria dell’acqua, la formazione dei cluster e l’unità strutturale tetraedrica.
 È possibile quindi che questo effetto combinato imponga una direzione preferenziale e sia all'origine dell’asimmetria della silice colloidale.


                                                                                                 Giovanni Occhipinti

Complici le vacanze il prossimo articolo: Origine delle proteine (Parte sesta), fine Settembre.