sabato 31 marzo 2018

DAL PROTO ORGANISMO ALLA CELLULA. Prima parte



Post n. 33



Quindi, in epoca prebiotica, miliardi e miliardi e miliardi di proto-organismi si trovavano disseminati su tutta la superficie del pianeta, all’interno di masse argillose e nelle più svariate condizioni chimico-fisiche. I componenti di ogni proto-organismo erano compresi all’interno di una macrostruttura ordinata, “quasi cristallina”, di acqua e il sistema interattivo assumeva l’aspetto di un gel. Tutti i componenti venivano tenuti insieme da un campo elettromagnetico interno e intorno al sistema che si estendeva nello spazio circostante. Esso può essere rappresentato prendendo a prestito un immagine da “Chimica prebiotica ed origine della vita” 2010.
 
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Le frecce rappresentano le linee di forza del campo intorno al sistema in quel punto. Poiché il proto-organismo è costituito principalmente da molecole asimmetriche il campo elettromagnetico è asimmetrico.
Inoltre, abbiamo definito l’omeostasi come la risposta del campo elettromagnetico interno e intorno al proto-organismo ai cambiamenti dell’ambiente sia interno che esterno.
Il numero dei proto-organismi, a quell’epoca doveva essere veramente enorme, perché la loro formazione deve essere stato un processo spontaneo e rapido che non necessitava di grandi apporti di energia.  Nelle cellule degli organismi viventi è necessaria una grande quantità di energia per la sintesi dei componenti delle proteine e degli acidi nucleici. Ma le sostante necessarie per l’origine di questi polimeri, la loro crescita e il loro mantenimento, i proto-organismi li avevano a disposizione nell’ambiente, bisognava solo assemblarle. Ora, in presenza di catalizzatori in un microambiente non acquoso (post n. 26) per la sintesi dei polimeri è sufficiente l’energia termica dell’ambiente. Il proto-organismo nasceva quindi come eterotrofo, assumeva cioè i composti necessari dall’ambiente circostante.
È sicuramente probabile che le proteine di molti proto-organismi non erano abbastanza funzionali, per composizione e struttura, al loro auto-mantenimento. Ne consegue che un numero considerevoli di proto-organismi si saranno decomposti mentre tanti altri procedettero nel loro cammino verso la vita.
Ma per quest’ultimo obiettivo cosa mancava al proto-organismo?
1) Un acido nucleico a doppia elica, il DNA, con funzione di archivio per l’informazione chimica.
2) Un organello, il Ribosoma, che guida la sintesi proteica.
3) Gli RNA di trasferimento, i tRNA, che trasportano gli amminoacidi al sistema di sintesi proteica RNA-Ribosoma (post n.27).
4) Una membrana cellulare.    
Ora, la soluzione di questi quattro punti deve essere stata sicuramente sotto il controllo termodinamico. Però, mentre per la formazione del proto-organismo era evidente un considerevole aumento del caos universale, nella via verso la formazione della cellula, almeno per i primi tre punti, non sembra che ci sia un così grande aumento del caos da giustificare un passo così importante. Questo passaggio sembra più una specie di aggiustamento della macchina. Infatti, l’omeostasi, cioè la risposta del campo elettromagnetico interno e intorno al proto-organismo ai cambiamenti dell’ambiente sia interno che esterno, poteva controllare il numero di α-eliche necessarie alla sintesi degli RNA e viceversa. L’omeostasi poteva controllare anche il numero di enzimi a struttura super-secondarie o terziarie e infine permettere la diffusione, dall’esterno all’interno del proto-organismo, solo delle sostanze necessarie mancanti e mantenere il sistema in equilibrio termodinamico. Il proto-organismo aveva cioè la possibilità di auto-mantenersi.
Secondo Antonio Damasio in “Il sé viene alla mente” 2012, l’omeostasi a tutti i livelli persegue il medesimo obiettivo: la sopravvivenza degli organismi. A volere estendere tale concetto l’omeostasi doveva dedicarsi solo della sopravvivenza del proto-organismo.
Ora noi sappiamo che se il proto-organismo fosse rimasto tale esso non sarebbe sopravvissuto, prima o poi si sarebbe decomposto, ma questo il proto-organismo non poteva saperlo.
E allora, avendo la possibilità di auto-mantenersi, perché non è rimasto proto-organismo, perché ha intrapreso il cammino verso la vita?
Forse la situazione non era poi così tranquilla come si potrebbe immaginare. All’interno del proto-organismo alcuni enzimi erano, sicuramente, soggette a decomposizione o non erano funzionali.  Questi enzimi venivano dissociati da altri enzimi per recuperare gli amminoacidi. Eventuali amminoacidi mancanti venivano recuperati dall’ambiente esterno. Gli amminoacidi, all’interno del proto-organismo, diffondevano in tutte le direzioni e si assemblavano utilizzando come stampo la prima molecola di RNA che incontravano tra le centinaia presenti nel proto-organismo. Poiché l’incontro tra RNA ed amminoacidi era casuale la probabilità che gli amminoacidi avessero trovato lo stampo giusto era scarsa. Inoltre, essendo la diffusione casuale, gli enzimi potevano approdare su stampi di RNA diversi dando origine a corte molecole di enzimi di nessuna utilità. E lo stesso discorso vale per la sintesi di RNA su stampi di α-Eliche. In queste condizioni, il proto-organismo entrava in una fase di instabilità e si allontanava dall’equilibrio termodinamico raggiunto risalendo dalla fossa energetica.
 
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Insomma, per il suo auto-mantenimento il proto-organismo rischiava di rimanere vittima del caso. All'omeostasi non rimaneva che ricercare nell'ambiente prebiotico le molecole necessarie per ristabilire l’equilibrio termodinamico.
È stata quindi l’esigenza di riportare l’equilibrio all’interno del proto-organismo che l’omeostasi dà origine al DNA. Questo acido nucleico differisce dall’RNA perché i suoi nucleotidi contengono lo zucchero D-Desossiribosio al posto del Ribosio e la base azotata Timina al posto dell’Uracile. Come riporta C. Ponnamperuma in “Origine della vita” 1985, Oro e Cox hanno trovato che il desossiribosio (Destro e Levo) si forma, con un rendimento di circa il 5%, da gliceraldeide e acetaldeide in sistemi acquosi. La reazione è catalizzata da ossidi di metalli bivalenti. La Timina è stata ottenuta da Ernesto Di Mauro e Raffaele Saladino facendo reagire la formammide (HCONH2) in presenza di TiO2, ossido metallico largamente presente in natura (opera citata). Quindi, desossiribosio e Timina, anche se in piccole quantità, erano presenti, in epoca prebiotica. L’omeostasi deputata a mantenere o ripristinare l’equilibrio chimico permette, all’interno del citoplasma del proto-organismo, solo la diffusione di queste due sostanze specifiche. La presenza di Timina e D-Desossiribosio, l’immediata formazione dei tri-nucleotidi contenenti questi composti e la conseguente sintesi di corte molecole di DNA devono aver stabilizzato enormemente il proto-organismo.
Nel DNA a doppio filamento la Timina (T) si accoppia con l’Adenina (A) formando la coppia T-A, ma anche l’Uracile può formare coppie U-A. Tutto ciò può significare che il campo elettromagnetico di un tri-nucleotide contenente la Timina è simile al campo elettromagnetico contenente l’Uracile, e che i tri-nucleotidi contenente T codificano gli stessi amminoacidi dei tri-nucleotidi contenete U. Questo ci porta a concludere che la formazione di corte molecole di DNA sia avvenuta su stampi di α-Eliche. Tali molecole saranno state saldate insieme da enzimi presenti nel proto-organismo. La comparsa del DNA deve aver innescato immediatamente la separazione delle funzioni con il DNA depositario dell’informazione genetica e l’RNA delegato alla traduzione del messaggio in proteine che veniva generato solo quando necessario. Alcuni RNA liberati dal ruolo di depositari dell’informazione genetica assunsero il compito di tRNA, mentre altri si aggregarono dando origine ad un primitivo Ribosoma di RNA. Nasce quindi un sistema di traduzione del messaggio in proteine basato su RNA, tRNA e Ribosoma.
Ma perché l’RNA, libero dal ruolo dell’informazione genetica, trascritto in modo specifico, non ha continuato a sintetizzare le proteine attraverso un’interazione diretta, perché si è scelto di utilizzare tRNA e Ribosoma?
Come abbiamo ipotizzato nel post n. 27, in epoca prebiotica doveva esistere una interazione diretta tra un tri-nucleotide e un amminoacido specifico dell’α-elica, un sistema chimico-fisico di riconoscimento e complementarietà. Questo significa che se le α-Eliche hanno sintetizzato molecole di RNA, queste ultime hanno sintetizzato le α-eliche.
Ma un sistema diretto di riconoscimento e complementarietà, tra tripletta di basi e amminoacidi, funziona esattamente come un sistema bifasico. Tra la molecola di RNA e la soluzione si genera un doppio strato elettrico che dipende dalla tensione interfacciale, (post n. 20). In un tale sistema, piccolissime tracce di tensioattivi alterano la tensione interfacciale e quindi il potenziale elettrocinetico. Le piogge contenevano sicuramente un gran numero di molecole dannose e qualcuna riusciva certamente a ingannare il campo elettrico intorno al proto-organismo. Una sola molecola estranea, che si interpone nell’interfaccia RNA soluzione cioè tra tripletta di basi e amminoacido, altera completamente il segnale elettrico di tale sistema. L’amminoacido specifico non riconosce il suo tri-nucleotide, la sintesi proteica si blocca ed è la fine.
Per mantenere l’equilibrio, urgente era quindi il montaggio di un sistema più elaborato per la sintesi delle proteine. Un sistema robusto fondato sull’interazione tra codone e anticodone, che avrebbe certamente rallentato la sintesi proteica ma che l’avrebbe resa più sicura. Appare quindi il sistema basato su RNA, tRNA e Ribosoma, che con la comparsa del DNA riportano il sistema all’equilibrio, ma l’insieme del proto-organismo diventa più complesso.
Tale complessità è dovuta anche al fatto che complessi sono diventati alcuni processi all’interno del proto-organismo. Per esempio: la replicazione del DNA, Il sistema DNA-proteine per l’espressione di un gene in RNA, la sintesi delle proteine attraverso il sistema RNA-Ribosoma-tRNA.  Ora, pur nel quadro del disegno generale ognuno di questi processi opera in modo autonomo. Questo fa supporre che ognuno di questi processi sia un sotto-insieme con un proprio campo elettromagnetico ed una omeostasi di sotto-insieme. Ma allora, come potrebbe funzionare il proto-organismo?
Immaginiamo che all’interno di un sotto-insieme una proteina si decompone e come conseguenza di tale decomposizione il suo campo elettromagnetico cambia. Il nuovo campo comunica ad sotto-insieme DNA-proteine di esprimere il gene specifico per quella proteina in RNA. La presenza del nuovo RNA, attraverso il suo campo elettromagnetico, aziona il sistema tRNA-Ribosoma che sintetizza la proteina. Si crea quindi una rete di sotto-insiemi interdipendenti, tutti, necessariamente, in coordinazione sinergica con il campo elettromagnetico del proto-organismo che regola l’equilibrio dell’insieme.
In riferimento alla cellula Paul Davis “Da dove viene la vita” 2000 scrive: «Le innumerevoli molecole specializzate di cui dispone, molte delle quali si trovano solo all’interno degli organismi viventi, sono già di per sé enormemente complesse. Esse eseguono una danza di squisita perfezione, orchestrata con sorprendente sincronia. Di gran lunga più elaborata del più complicato balletto, la danza della vita che coinvolge innumerevoli attori molecolari in coordinazione sinergica. Eppure è una danza senza traccia di un coreografo; nessuna intelligenza, nessuna forza mistica, nessuna entità cosciente fa entrare in scena le molecole al momento giusto, sceglie gli interpreti più adatti, chiude i cerchi, separa le coppie, fa muovere il tutto. La danza della vita è spontanea, si crea e si sostiene da sé». E Duranti Marcello in: “Introduzione allo studio delle proteine” 2015 aggiunge: «La sinfonia della vita è suonata da un’orchestra di decine di migliaia di elementi senza direttore. Ogni proteina segue il suo pezzo in modo corretto e al momento giusto».
Ma forse la danza della vita non è spontanea, esistono coreografo e direttore: è il campo elettromagnetico intorno e interno al proto-organismo che avvolge ogni molecola, i sotto-insiemi e tutto il sistema. È il campo elettromagnetico dell’insieme del proto-organismo che dirige l’orchestra e mantiene l’equilibrio sotto il controllo termodinamico. Esso, per mantenere questo equilibrio, innesca reazioni, aggrega molecole, comanda sintesi e coordina i tutti processi.
Quindi la danza della vita non è spontanea nel senso che non esiste coreografo. Essa è spontanea nel senso che il processo è spontaneo, cioè sotto il controllo termodinamico.
L'aumento della complessità necessita di un numero sempre maggiore di composti da reperire nell'ambiente circostante, in particolare amminoacidi per la maggiore necessità di enzimi.
Sorge quindi, ben presto, un altro problema: l’elevato numero di proto-organismi complessi, contenuti nelle masse argillose, inizia a depauperare l’ambiente e i composti a disposizione diminuiscono sempre di più. L’omeostasi deputata a mantenere la sopravvivenza del proto-organismo deve andare a procurarsi i composti necessari. Però, il proto-organismo è di fatto un gel, che anche se tenuto insieme da un campo elettromagnetico interno e intorno ad esso, gode sempre della protezione delle pareti della nicchia. Abbandonare la nicchia senza una nuova protezione significa, per il proto-organismo, disperdere tutto il suo contenuto semifluido nell’ambiente, cioè la fine. Si rende necessaria una protezione che si sostituisca alle pareti della cavità, che avvolga il proto-organismo e gli permette di muoversi liberamente, in una parola: una membrana.
La comparsa della membrana segna un salto epocale: Il proto-organismo si trasforma in proto-cellula e diventa autonomo; siamo ad un passo dalla vita.   
Anche se forse non sapremo mai come in realtà sono andate le cose, è fondamentale analizzare bene questo passaggio epocale e trovare tutti gli indizi necessari di un possibile percorso.
Partiamo allora da Christian De Duve “Alle origini della vita” 2008: «Nelle cellule attuali le membrane non hanno mai origine ex novo; esse si sviluppano per accrescimento, ossia attraverso l’inclusione di nuove molecole in un tessuto preesistente. Le membrane, quindi, vengono da membrane preesistenti, legate da una filiazione ininterrotta con una membrana ancestrale che potrebbe risalire fino ai primissimi tempi della vita sulla Terra». Questo non significa che le attuali membrane siano membrane ancestrali. Significa che le attuali membrane hanno lentamente sostituto le membrane ancestrali al crescere delle capacità metaboliche della cellula, ma la loro natura doveva essere simile. I componenti delle attuali membrane sono i fosfolipidi, composti formati Glicerolo cui sono legati un residuo fosforico (testa) e due lunghe catene di acidi grassi che contengono 15-17 atomi di carbonio legati con atomi di idrogeno (coda).

Ora, mentre la testa per la presenza di cariche elettriche è solubile in acqua, la coda non lo è, ma si può legare con le code di altre molecole formando doppi strati lipidici e per questa loro doppia possibilità i fosfolipidi sono denominati anfifili. Quindi, se abbiamo dei fosfolipidi in acqua, le lunghe code dei fosfolipidi, non essendo solubili in acqua (idrofobiche), aumentano l’energia del sistema e rendono la soluzione instabile. Senza scendere troppo nei particolari, il legame tra le code e la formazione dei doppi strati lipidici è un processo spontaneo che aumenta il caos universale ed è quindi sotto il controllo termodinamico.  
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I doppi strati lipidici possono formare vescicole separando l’interno dall'esterno e le teste del fosfolipide si legano all'acqua interna ed esterna alle vescicole.
In “Origini: l’universo, la vita, l’intelligenza” a cura di Bertola, Calvani e Curi 1994, nel capitolo Origini della vita, André Brack scrive: «Gli acidi grassi sono noti per formare delle vescicole quando le catene idro-carboniche contengono più di dieci atomi di carbonio. Tuttavia, le membrane ottenute con questi semplici anfifili non restano stabili in una grande varietà di condizioni. Lipidi neutrali stabili possono essere ottenuti condensando gli acidi grassi con il glicerolo. Gli acidi grassi possono pure essere associati al glicerolo-3-fosfato con buone rese. Così, la maggior parte degli attuali fosfolipidi può essere ottenuta in condizioni semplici (Deamer e Orò 1980). Si deve tuttavia notare che gli acidi grassi sono fatti di monossido di carbonio e idrogeno a temperature (450°C) che è improbabile siano esistite sulla Terra primitiva». Ma come riporta Christian De Duve (opera citata) proprio Deamer ha trovato, nel meteorite di Murchison sostanze anfifile capaci di formare vescicole.

https://it.wikipedia.org/wiki/Liposoma

Una di queste sostanze sembra essere un acido grasso contenete nove atomi di carbonio che preparato artificialmente e in certe condizioni sembra formare vescicole. Tale possibilità rileva ancora De Duve è rinforzata dal fatto che Hanczyc e al. 2003 hanno osservato la formazione di vescicole di acidi grassi catalizzate dall’argilla.
Numerosi sono ormai anche gli esperimenti che dimostrano come,
all’aumentare della concentrazione di acidi grassi o loro derivati, denominati anche surfattanti, le vescicole prima aumentano di volume e poi si dividono, imitando la divisione cellulare. Inoltre, le membrane degli attuali organismi viventi non sono costituiti soltanto da fosfolipidi ma contengono anche un numero elevato di proteine. Queste ultime oltre ad avere funzioni strutturali sono impiegate come trasportatori di materia dall’interno all’esterno della cellula e viceversa, mentre altre contengono recettori che svolgono una funzione importante nella comunicazione tra i due lati della membrana. Inoltre, molti ricercatori hanno messo in evidenza come alcune vescicole presentano anche una permeabilità selettiva.
In definitiva esiste la possibilità che in epoca prebiotica siano esistiti composti capaci di dare origini a vescicole.
Ma come sono andate veramente le cose.
È probabile che all’inizio siano state le proteine, in superficie, a costituire una membrana che si limitava a presidiare l’entrata della cavità. Queste proteine dovevano contenere rudimentali recettori e comunicavano all’omeostasi lo stato dell’ambiente circostante. Ora molte proteine contengono nella loro molecola tratti anfifili e questi devono essersi legati con sostanze anfifile esistenti nell’ambiente. Come vedremo più avanti è molto probabile che queste sostanze fossero già corte molecole di fosfolipidi vista la possibilità, come sostiene Brack (opera citata), di ottenerli anche in condizioni semplici. Per la necessità di lasciare la cavità alla ricerca delle sostanze necessarie alla sopravvivenza, l’omeostasi associa alle proteine che presidiavano la cavità sempre più fosfolipidi dell’ambiente circostante, fino a formare una rudimentale membrana, catalizzata dall’argilla, che avvolge tutto il proto-organismo. Le proteine che presidiavano la cavità devono essere state distribuite su tutta la superficie della membrana. La formazione della membrana formata da fosfolipidi e proteine è un processo spontaneo, come la formazione di vescicole, perché aumenta il caos universale ed è quindi sotto il controllo termodinamico. Essa è molto flessibile e può muoversi con facilità tra i granuli di argilla alla ricerca di nutrimento. Il proto-organismo diventa proto-cellula che, capace di muoversi autonomamente, abbandona la cavità.
Ma perché proprio i fosfolipidi?
 I principali polimeri, proteine, acidi nucleici, polisaccaridi, lipidi, sono costituiti da composti le cui molecole presentano una forma Destro ed una Levo. Ma nel mondo biologico solo una di queste forme viene utilizzata: o il Destro o il Levo. Per esempio, nelle proteine vengono utilizzati amminoacidi della forma Levo, mentre negli acidi nucleici gli zuccheri sono della forma Destro.
In diversi articoli abbiamo già richiamato il fatto che gli amminoacidi sono chirali, in altre parole, essi non sono costituite da una sola molecola ma due molecole (50% Destro e 50% Levo) di cui una è l’immagine speculare dell’altra.  Ogni atomo o gruppo atomico che costituisce le molecole presenta legami covalenti polari e di conseguenza è un dipolo. Ora, se la forma D è l’immagine speculare della forma L, anche i dipoli della forma D saranno l’immagine speculare dei dipoli della forma L. Poiché la molecola ha una struttura spaziale, a livello molecolare l’andamento dei dipoli delle due differenti strutture si possono immaginare di forma elicoidale, una orientata verso destra e l’atra verso sinistra. A ciascuna di queste molecole è associato un campo elettromagnetico le cui linee di forza hanno un andamento elicoidale. I campi elettromagnetici associate alle due forme devono necessariamente uno l’immagine speculare dell’altro.
Per semplificare, abbiamo qualche volta associato alla forma Destro un campo elettromagnetico ad andamento elicoidale destro e alla forma Levo un campo elettromagnetico ad andamento levo.
In realtà, nessuno ha mai studiato l’andamento di tali campi. Può essere che l’andamento destro del campo elettromagnetico corrisponda realmente alla forma Destro ma può, altrettanto bene, corrispondere alla forma Levo. Ciò che noi possiamo dire è che se due campi elettromagnetici elicoidali si associano vuol dire che i loro andamenti si complementano.
Perché questa precisazione? Perché i fosfolipidi componenti la membrana sono chirali, cioè presentano una forma Destro e una Levo. Ora, nei batteri e negli organismi superiori viene utilizzata la forma Levo: cioè un acido grasso legato a L-Glicerol 3 fosfato. In un’altra famiglia (più precisamente dominio) di batteri, gli archeobatteri, le code dei componenti della membrana sono catene di alcoli legate a D-Glicerol 3 fosfato, cioè la forma Destro.  Come abbiamo più volte evidenziato, il campo elettromagnetico intorno al proto-organismo deve risultare necessariamente elicoidale, asimmetrico. Ora, in epoca prebiotica, oltre all’acido grasso legato a L-Glicerol 3 fosfato (forma Levo), doveva essere presente anche la sua immagine speculare, il D-Glicerol 3 fosfato (forma Destro). Se nei batteri e negli organismi superiori è stata scelta la forma L, e negli archeobatteri la forma D, vuol dire che i loro campi elettromagnetici si complementano con l’andamento elicoidale del campo elettromagnetico intorno al proto-organismo. La membrana, risulta quindi saldamente ancorata al campo elettromagnetico del proto-organismo e assicura che i componenti di quest’ultimo non si disperdano nell'ambiente. La figura mostra il proto-organismo avvolto da una membrana le cui teste asimmetriche sono riprodotte in verde, mentre in blu sono rappresentate le proteine di superficie.
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Nello stesso tempo, poiché le teste asimmetriche dei componenti della membrana sono sia interne che esterne, essa trasferisce all'esterno l’asimmetria del campo elettromagnetico intorno al proto-organismo: la proto-cellula è asimmetrica. Se non esistesse il campo elettromagnetico del proto-organismo, la membrana non avrebbe nessun ancoraggio e abbandonata la cavità, alla minima perturbazione, membrana e proto-organismo si separerebbero disperdendosi. Ma se le cose stanno così, vuol dire che l’ipotesi del campo elettromagnetico interno e intorno al proto-organismo è un’ipotesi verosimile.
La proto-cellula, però, non è ancora la cellula. Mancano due passaggi fondamentali verso la vita: l’origine della duplicazione cellulare e l’origine delle mente.
                                                                                                                     
                                                                                          Giovanni Occhipinti


Prossimo articolo: Dal proto-organismo alla cellula. Seconda parte (fine maggio)

3 commenti:

  1. Bell'articolo Occhipinti, complimenti!

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    1. Grazie per il commento Luca, spero che il seguito non ti deluderà. Scusami per il ritardo ma non ho ricevuto la comunicazione da Gmail.
      Un caro saluto, Giovanni

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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