Post n. 15
Come abbiamo evidenziato nella prima
parte dell’articolo, un equipaggiamento cognitivo di base, la Mente, è presente non solo negli organismi
pluricellulari ma anche negli organismi unicellulari eucarioti. Ma cosa
possiamo dire riguardo ad organismi più semplici. E poi, quando appare la mente
nello scenario della vita?
La cellula eucariote ha una struttura
molto complessa. Al suo interno essa contiene un nucleo dove si trova il
materiale genetico associato a proteine. La cellula eucariote contiene anche
alcune migliaia di organelli principalmente di due tipi diversi come perossisomi e mitocondri
e, nelle cellule vegetali, anche i cloropasti. La
struttura della cellula è mantenuta da una complessa struttura di microtubuli.
Esistono cellule molto più semplici
degli eucarioti: i procarioti. I procarioti non
contengono un nucleo e in loro materiale genetico è
a diretto contatto con il resto della cellula. Essi non contengono organelli e
microtubuli e la loro cellula risulta molto più piccola e semplice della
cellula eucariote. Il diametro di quest’ultima è circa 20 volte più grande
della cellula procariote e il suo volume circa 10.000 volte maggiore. Per
avere un’immagine più eloquente, la cellula eucariote potrebbe contenere al suo
interno circa 10000 procarioti. I procarioti comparvero sulla terra circa 3,5
miliardi di anni fa e per circa 2 miliardi furono dominatori incontrastati del
pianeta.
I discendenti diretti dei procarioti
primitivi sono oggi batteri e cianobatteri, e si
ritiene che la loro massa organica sia almeno il doppio di tutti gli altri
organismi viventi sul nostro pianeta. Batteri e cianobatteri sono i più
piccoli organismi viventi conosciuti.
Più piccoli dei batteri ci sono i virus. Per la maggior parte dei biologi i
virus non sono organismi viventi, ma questo è un discorso a parte.
Dunque esistono organismi viventi più piccoli
di Stentor: i batteri. Ma come vivono i batteri e qual è il loro comportamento?
I batteri si possono trovare allo stato
planctonico, cioè come cellule indipendenti in un mezzo acquoso, o nello stato
sessile, dove le cellule sono attaccate, le une accanto alle altre, su una
superfice solida dando origine a colonie.
Siamo nell’agosto del lontano 1976,
Julius Adler pubblica su Le Scienze “ La chemiosensibiltà dei batteri”. Adler
ci informa che già dall’inizio del novecento era noto che i batteri sono attratti
da sostanze nutritive e si allontanano da sostanze nocive. E in merito al
comportamento natatorio dei batteri, egli riporta gli studi condotti da Berg e Koshland,
e da Koshland altri, su Escherichia coli e scrive:«[…] il risultato finale è
che i batteri si addensano vicino alla fonte della sostanza di richiamo e
lontano da quella della sostanza repellente. […] questi effetti sui movimenti
dei batteri sono determinati non soltanto da gradienti spaziali (per esempio
una concentrazione più elevata di sostanza di richiamo dalla parte destra
rispetto alla sinistra), ma anche da gradienti temporali (per esempio una
concentrazione più elevata somministrata un secondo dopo)».
Adler che nel 1969 aveva già scoperto i chemio sensori dei
batteri, studiando i batteri allo stato planctonico (cioè come cellule
indipendenti in un mezzo acquoso), in
conclusione scrive: «Infine, entrando nel campo della “psicologia” batterica,
abbiamo messo in presenza di batteri un tubo capillare contenente non solo una
sostanza di richiamo, ma anche una sostanza repellente. Così i batteri avevano
da scegliere se entrare o no nel capillare. La loro “decisione” risulta
dipendente dalle concentrazioni relative della sostanza di richiamo e di quella
repellente. Il meccanismo che permette di “prendere una decisione” in una
situazione di “conflitto” come questa è ancora ignoto, ma si può dire che i
batteri sono capaci, in qualche modo, di integrare degli stimoli sensoriali
multipli. […]. Alla stessa stregua, i batteri sono attratti dal caldo, ma non
se la soluzione calda contiene un repellente abbastanza forte. In questi casi,
i batteri devono integrare, o elaborare due informazioni sensoriali: la
temperatura e le sostanze chimiche.
Gli elementi basilari, che rendono
possibile il comportamento
in un organismo
superiore, sono dunque presenti anche in una singola cellula batterica. […]
Ovviamente devono esserci delle importanti differenze; per esempio, poiché i
batteri sono cellule indipendenti, l’azione sinaptica tra cellula e cellula,
che è così importante nel determinare il comportamento negli organismi più
complessi, non può probabilmente realizzarsi in essi, perlomeno non a livello cellulare».
ilsussidiario.net |
Apprendiamo così che i batteri: si
muovono entro schemi se…allora, hanno a modo loro cognizione dello spazio e
del tempo, risolvono situazioni di conflitto integrando stimoli sensoriali
multipli ed elaborano informazioni sensoriali diverse; cioè i batteri ragionano.
Ma tutto ciò si configura già come un equipaggiamento cognitivo di base.
Adler scrive che i batteri sono cellule
indipendenti e l’azione sinaptica non può realizzarsi tra cellula e cellula. Ma
come abbiamo detto, oltre che allo stato planctonico, questi microrganismi
possono vivere allo stato sessile, dove le cellule sono attaccate, le une
accanto alle altre, su una superfice solida dando origine a colonie.
Cos’è, nel mondo animale, il gruppo
sociale?
Il termine è stato coniato da Ernst Mayr.
In “L’unicità della biologia,2005”, Mayr afferma: «[…] il gruppo che ha
successo agisce come un tutt’uno ed è, nel suo insieme, l’entità favorita dalla
selezione». Gli scoiattoli di terra, per esempio, dispongono di un sistema di sentinelle che, in presenza di
predatori, emettono segnali e avvertono tutti gli altri componenti del gruppo
di un incombente pericolo. Quindi, nel mondo animale, si è in presenza di un
gruppo sociale quando si ha: interazione fra i suoi componenti, suddivisione
del lavoro, cooperazione e quindi capacità comunicative.
Qual è il comportamento dei batteri allo
stato sessile?
chimicare.org |
Sullo stato sessile, dalla metà degli
anni novanta, si aggiunsero nuove conoscenze che hanno cambiato l’opinione di
molti biologi sui batteri.
Come riportano J. W. Casterton e Philip
S. Stewart in “Combattere i Biofilm”, Le Scienze 2001, lo studio sui batteri
inizia alla fine del XIX secolo quando si è dichiarata valida la teoria dei
germi di Robert Koch. Secondo gli autori le ricerche, condotte per un secolo in
tutti i laboratori del mondo, poggiavano su presupposti non del tutto esatti, poiché
si immaginavano i batteri come cellule separate. Insomma si pensava che i
batteri conducessero una vita libera, indipendente, anche se all’interno di
colonie. E gli autori scrivono: «Ma questa immagine era legata al modo in cui i
ricercatori di solito esaminano i microrganismi: osservando al microscopio le
cellule in coltura sospese in una gocciolina di liquido. Si tratta di un
procedimento comodo da un punto di vista operativo, ma non del tutto
appropriato, perché queste condizioni sperimentali non corrispondono affatto a
quelle dell’ambiente in cui i microrganismi si trovano effettivamente a vivere».
Insomma, intorno alla metà degli anni novanta si è scoperto che se i batteri si
trovano in colture di laboratorio, con il nutrimento a disposizione, essi
possono vivere in modo indipendente oppure si organizzano in colonie attaccate a
superfici solidi. In ambienti naturali, dove la loro sopravvivenza è
minacciata, i batteri si organizzano in micro colonie, tenute assieme e
protette da pellicole molto complesse e resistenti chiamate “biofilm”. I
batteri che si trovano in colture di laboratorio ricche di nutrimento non danno
origine a “biofilm”.
Come si evince dall’articolo citato,
queste ricerche hanno evidenziato che il biofilm costituisce i 2/3 di tutto il
materiale della micro colonia ed è percorso da micro canali attraverso i quali
passano i nutrienti. All’interno dei biofilm, negli ambienti naturale, le
cellule comunicano, organizzano tutte le strategie per la loro sopravvivenza e
la loro riproduzione producendo centinaia di proteine che non si trovano nelle
cellule in colture di laboratorio.
Si è
anche scoperto che alcuni batteri sfuggono dalle colonie rimanendo liberi per
breve tempo (forma planctonica). Essi però, attraverso l’emissione di molecole segnali, si riuniscono in altro
luogo. Quando sono riunite abbastanza cellule e le molecole segnale raggiungono
una determinata
concentrazione, hanno origine cambiamenti nell’attività di
alcuni geni e si innesca la produzione del biofilm. Questo meccanismo viene
chiamato “individuazione del quorum” o “quorum sensing”.
www.ufrgs.br |
Dopo altri cinque anni di ricerche, i
meccanismi di comunicazione dei batteri sono risultati così complessi che un
nuovo articolo su “Le Scienze 2005”, di Cristina Valsecchi, porta un titolo
emblematico: “La vita sociale dei batteri”. In esso si evidenzia come a seconda
delle specie e delle condizioni ambientali, il “quorum sensing” regola le più
disparate funzioni dei batteri: lo scambio di materiale genetico, la mobilità
delle cellule, la sintesi del biofilm, la produzione di sostanze tossiche, la
comunicazione e la cooperazione non solo tra cellule della stessa specie ma anche
tra batteri di specie diverse. Cristina Valsecchi riporta quanto afferma uno
dei massimi esperti al mondo di biofilm, Roberto Kolter: «[…] in laboratorio,
coltivati in provetta in un ambiente favorevole, ricco di sostanze nutritive, i
batteri si comportano come cellule isolate e indipendenti, non hanno alcun
motivo di interagire. È in condizioni difficili che i microorganismi si
aggregano, comunicano e fanno fronte comune per assicurare la propria
sopravvivenza e la loro riproduzione.[…]La maggior parte degli agenti patogeni dell’uomo forma biofilm nell’organismo
degli ospiti infettati […]» Inoltre, aggiunge l’autrice: «Nei biofilm, i
microrganismi unicellulari subiscono trasformazioni che li portano a
specializzarsi. La colonia assume le caratteristiche di un organismo pluricellulare».
E Kolter aggiunge: «La specializzazione ha un ruolo importante anche nello
sviluppo della resistenza ai farmaci: i batteri che formano lo strato superiore
in un biofilm sono i primi ad essere raggiunti dai farmaci. Con opportuni
messaggeri chimici avvertono gli strati sottostanti di microrganismi che hanno
il tempo di attivare le difese molecolari sulle membrane delle cellule per
respingere l’attacco»
Intorno al 2006 sono state messe a punto
varie tecnologie per coltivare biofilm in laboratorio. Come ci informano Joe J.
Harrison e Raymond J. Turner in “Biofilm” Le scienze, luglio 2006: «Una di
queste usa un disco rotante collocato nel brodo di coltura in cui è stata iniettata una colonia batterica.
La forza indotta della pressione del fluido provocata dalla rotazione stimola
la formazione di un biofilm sul disco».
Insomma, anche in colture di
laboratorio, appena l’ambiente diventa ostile, i batteri danno origine ad uno schermo protettivo, il
Biofilm.
Harrison e Turner ammettono comunque
che: « A dire il vero, non tutti concordano sul fatto che i biofilm siano il
principale assetto che i batteri assumono in natura. La stragrande maggioranza
dei metodi di laboratorio usati attualmente analizza micro organismi coltivati
in forma planctonica».
E importanti risultati si sono ottenuti
anche studiando colture di batteri, in laboratorio,
nello stato sessile.
Anna Kuchment
in “Il batterio più intelligente”, Le Scienze 2011, riporta quanto afferma
Eshel Ben-Jacob su uno studio di colonie di Paenibacillus
vortex fatte crescere in una capsula di Petri: «Agendo insieme, questi
organismi microscopici possono percepire l’ambiente, elaborare informazioni,
risolvere problemi e decidere in modo da prosperare in ambienti difficili».
E Hanna
Engelberg-Kulka e colleghi in “PLoS Biology” (da Le Scienze on line) hanno
scoperto che i batteri hanno due sistemi di morte programmata (Apoptosi). Uno
di questi sistemi è dipendente dalla densità cellulare e si innesca in caso di
crisi alimentare. Tale meccanismo determina la morte di un numero sufficiente
di batteri per garantire ai sopravvissuti le necessarie materie prime.
Insomma, le ricerche condotte
nell’ultimo decennio sui batteri fanno ormai largo uso di termini come:
comunicazione, cooperazione, linguaggi, comportamenti sociali, intelligenza,
informazione, altruismo; sembra di leggere articoli su “Psicologia
contemporanea”. A tutto ciò bisogna aggiungere che i batteri si muovono entro
schemi se…allora, hanno a modo loro cognizione dello spazio e
del tempo, risolvono situazioni di conflitto e elaborano informazioni
sensoriali diverse.
In definitiva, allo stato planctonico i
batteri presentano un equipaggiamento cognitivo di base. Nello stato sessile,
oltre a presentare un equipaggiamento cognitivo di base, i batteri hanno un
comportamento simile al comportamento dei gruppi sociali che si riscontrano tra
gli animali. E per ciò che riguarda l’organizzazione, i batteri superano di
gran lunga gli animali. Essi infatti, attraverso il “Quorum sensing” si
costruiscono a modo loro delle “città” e quando la loro comunità diventa troppo
numerosa alcuni emigrano e vanno a colonizzare altri luoghi. Che roba ragazzi!
Ma i batteri non hanno un cervello!
Come abbiamo già detto in precedenza, senza
voler entrare nel campo filosofico di cui non abbiamo né le competenze né la
voglia, partiamo solo dai fatti, dalla
constatazione che concetti tipici della nostra mente sono posseduti anche da
organismi che non hanno cervello.
Allora la questione è, cosa genera nei
procarioti: ragionamenti, comunicazione, linguaggi, intelligenza, informazione,
altruismo e comportamenti sociali, concetti tipici della nostra mente?
Nella prima parte dell’articolo abbiamo
già evidenziato come Shimon Edelmann,
dopo aver messo in evidenza che la mente è un fascio di calcoli al servizio
della previsione e il cervello esegue quei calcoli, conclude: se quello che il
cervello fa può essere fatto con altri mezzi, allora può esistere una mente
anche senza che ci sia bisogno di un cervello.
E
allora parafrasando ancora Shimon Edelmann: se quello che il cervello fa può
essere fatto con altri mezzi, allora i batteri anche se non dotati di cervello
sono in possesso di una mente.
Quali siano questi “altri mezzi” non lo
sappiamo ancora, ma i procarioti sono in
possesso di una mente, giusto quanto basta per la loro sopravvivenza.
E allora,
partendo dai batteri e proseguendo dagli organismi unicellulari eucarioti ai
pluricellulari fino agli organismi superiori come piante e animali, sembra che
non c’è vita senza un equipaggiamento cognitivo di base, non c’è sopravvivenza
senza una mente, e a ciascuno la sua mente. In definitiva, tutti gli organismi
viventi sono in possesso di una mente e nello scenario della vita, la mente appare senza che ci sia bisogno di un
cervello.
La mente deve essere stata una proprietà
emergente, nel senso dato all’emergenza da Ernst Mayr in “L’unicità della
biologia”2005: «La comparsa di caratteristiche impreviste in sistemi
complessi». «Essa non racchiude nessuna implicazione di tipo metafisica».
«Spesso nei sistemi complessi compaiono proprietà che non sono evidenti (né si
possono prevedere) neppure conoscendo le singole componenti di questi sistemi».
Ma quando appare la mente nello storia
della vita, quali sono questi “altri mezzi” che danno origine alla mente e
perché appare la mente?
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Giovanni
Occhipinti