martedì 29 novembre 2022

LA VITA OLTRE LA TERRA

 Post n. 47

 

Ma quante sono le Galassie nell’universo, quante stelle e quanti pianeti? Non lo sappiamo, alcuni scienziati stimano che le galassie sono circa 100 miliardi altri in 500 miliardi, un numero enorme comunque. Una stima più realistica fatta da diversi scienziati considera l’universo formato da circa 200 miliardi di galassie. La nostra galassia conterrebbe 200milardi di stelle e anche se non tutte fanno parte di un sistema solare, questi ultimi sarebbero un numero enorme attorno ai quali ruota un numero sterminato di pianeti (esopianeti). 

E quanti sono i pianeti che potrebbero ospitare la vita?

Come riporta Alan Boss in “L’universo affollato” 2009, nel 1995 Michel Mayor pubblicò la scoperta del primo pianeta extrasolare attorno ad una stella di tipo solare 51 Pegaso. Il pianeta, denominato 51 Pegaso b, aveva una massa metà di quella di Giove e un ciclo orbitale di 4,2 giorni rispetto ai 12 anni di Giove. Nello stesso anno George Wetherill, che aveva studiato a lungo il problema della formazione dei sistemi solare, attraverso simulazioni al computer era arrivato alla conclusione che sistemi planetari si possono formare anche su stelle sia con massa doppia sia con massa la metà di quella del sole. La scoperta di Mayor e le conclusioni di Wetherill diede l’avvio, in tutto il mondo, alla caccia degli esopianeti. Nel giro di un decennio furono scoperti 120 pianeti extrasolari, la maggior parte dei quali ruota attorno a Nane rosse, tutti pianeti delle dimensioni di Giove e gassosi, altri rocciosi di circa 2-10 volte le dimensioni della terra e denominate super-terre

Le Nane rosse sono un tipo di stelle hanno un massa tra 0,5 e 0,1 masse solari e sembra che costituiscano l’80% delle stelle della via lattea. La maggior parte di queste stelle, a causa della loro bassa luminosità, non sono visibili ad occhio nudo.

Quando Dimitar Sasselov scrisse il sul saggio “Un’altra Terra” 2012, era già note circa 600 pianeti scoperti all’interno di un cerchio di 500 anni luce della nostra galassia, tutti esopianeti di tipo Gioviani o Super Terre. Sasselov stimò in 100 milione i pianeti che potrebbero ospitare la vita, in questa stima erano comprese le super Terre. A quell’epoca si era già coscienti che la tecnologia dell’epoca permetteva di rilevare facilmente grandi pianeti, pur tuttavia molti scienziati erano dell’idea che i grandi pianeti predominassero nei sistemi solari.

it.wikipedia.org/wiki/Super_Terra

  

 

Sasselov ha incluso le super Terre tra i pianeti abitabili perché li considera migliori della Terra come abitabilità. Egli ha osservato che la vita non può esistere in un sistema in equilibrio ed ha bisogno quindi continuamente di materiali ed energia. Tutto ciò sulle terra viene fornito dalla tettonica a placche che determina la deriva dei continenti che nell’arco di quattrocentomila anni ricicla tutto il materiale della crosta terrestre: il cosiddetto ciclo carbonato-silicato. L’emissione di CO2 e la presenza di acqua creano su nostro pianeta un potente termostato che mantiene la temperatura entro un intervallo favorevole alla vita. Ma la tettonica a placche rende il pianeta dinamico in continuo rinnovamento e vitale. Tale condizione, all’interno del nostro pianeta, è determinata dalla presenza di un nucleo fuso. Marte è troppo piccolo per avere un consistente nucleo fuso al suo interno. Le super Terre rocciose avranno senza dubbio un nucleo fuso più grande di quello della terra e quindi avere una tettonica a placche più sostenuta che potrebbe riciclare più materiali e sostenere meglio la vita.

Con lo sviluppo delle tecniche di rilevamento e in particolare l’utilizzo dei telescopi spaziali i pianeti noti oggi sono circa 5000 e tra questi alcuni delle dimensioni terresti.

L’interesse degli scienziati si è quindi spostato su pianeti di massa terrestre e riaccese una domanda che l’umanità si pone da tempo:

C’è vita nello spazio? E se c’è vita nello spazio essa è simile alla nostra? E potrebbe esistere una vita molto diversa dalla nostra, cioè basata su elementi chimici diversi?

Alla prima domanda si ricollega Iris Fly in “L’origine della vita sulla terra”, (2005), quando riporta le idee di Shapiro e Feinberg. Questi autori suggeriscono che una definizione di vita dovrebbe essere indipendente dai caratteri locali della vita sulla terra. Essi sostengono che la vita è l’attività di un sistema altamente ordinato di materia ed energia caratterizzato da cicli complessi che mantengono o aumentano gradualmente l’ordine. La vita sarebbe quindi innata nella materia. Essi ritengono quindi possibile anche una vita fondata sui silicati. In particolare, poiché a 1000°C i silicati diventano liquidi, in un pianeta vicino al sole o all’interno del nostro pianeta, potrebbe essersi evoluta una vita fondata sui silicati.

Naturalmente non poteva mancare chi congettura ambienti diametralmente opposti. Titano il satellite di Saturno, sembra abbia un oceano di idrocarburi liquidi alla temperatura di -180°C dove galleggiano isole di acqua ghiacciata. Secondo Goldsmith su titano potrebbe essersi evoluta una vita basata su idrocarburi. La ricerca scientifica ha però dimostrato che non può esserci vita senza atmosfera, energia e acqua liquida.

Per rispondere alla seconda domanda partiamo dalla constatazione che tutti gli elementi chimici, di cui sono composti i pianeti e le sostanze fondamentali per la vita, sono stati prodotti dall’evoluzione e dal collasso delle stelle massicce. L’esplosione finale di tali stelle ha disperso gli elementi prodotti nello spazio. Successive aggregazioni e reazioni di tali elementi hanno dato origine a nubi di gas e polveri che hanno dato origine a sistemi solari. Quindi in linea generale possiamo dire che, tutti i sistemi solari dell’universo, hanno a disposizione gli stessi elementi chimici che ha avuto la vita nel nostro sistema solare.

Ebbene, pur avendo a disposizione 92 elementi chimici naturali, gli organismi viventi per il 96% del suo peso ne utilizzano solo 4: H (idrogeno), O (ossigeno), N (Azoto), C (Carbonio), a cui bisogna aggiungere piccole percentuali di P (fosforo) e S (zolfo). Insieme questi 6 elementi vengono detti “elementi biogeni”. Essi danno origine a tutte le molecole fondamentali della materia vivente. Dalla sintesi di queste molecole hanno origine tutti i polimeri necessari all’origine e all’evoluzione della vita.

Ora data la necessità della presenza di una atmosfera e di energia e di acqua liquida è possibile che qualche altro elemento possa sostituire il carbonio?

Nella tavola periodica degli elementi, il silicio (Si) sta sotto il carbonio C e contiene, come il carbonio, 4 elettroni nell’ultima orbita che danno origine a quattro legami. Inoltre il silicio è un elemento abbondante nell’universo e specialmente sul nostro pianeta.

L’argomento, da un punto di vista chimico, è stato ampiamente affrontato nell’articolo: “Noi, gli Alieni, la materia: Ma un’altra vita è possibile?”, etichetta L, a cui vi rimando e di cui riporto le conclusioni:

In riferimento al silicio, Mario Ageno (Lezioni di Biofisica 3 1984) aggiunge: «[…] il silicio è completamente inadatto come materiale di costruzione per organismi viventi […]»

Possiamo quindi concludere che, per le peculiarità delle loro strutture atomiche, gli elementi biogeni sono gli unici che, attraverso i loro composti, sono adatti a svolgere, negli organismi viventi, le numerose funzioni biologiche. La materia non ci fornisce altra soluzione: il passaggio fu obbligato.

Inoltre, poiché le leggi della fisica e della chimica sono universali se, date alcune condizioni, in altri sistemi solari si manifesta la vita, essa utilizza gli stessi elementi biogeni e le stesse macromolecole che utilizzano gli organismi viventi terrestri.

Ma come deve essere un pianeta per dare origine alla vita?

Per rispondere a questa domanda bisognerebbe innanzitutto conoscere come ha avuto origine la vita sul nostro pianeta. Esistono due visioni sull’origine della vita sul nostro pianeta: quella di Jaques Monod “Il caso e la necessità”1979 secondo cui l’origine delle vita sulla terra è stato un fatto casuale, il nostro numero è uscito alla roulette, o per dirla con Crick  quasi un miracolo, e quella di Christian De Duve “Polvere vitale” 1995 secondo cui la vita è il prodotto di forze deterministiche; la vita non poteva non avere origine nelle condizioni allora dominanti e avrà similmente origine dovunque e ogni volta si ripresentano le medesime condizioni.

Ci sono poi delle teorie che sembrano lontane da Monod ma in realtà ricadono nella casualità di Monod. È ormai un fatto accertato e da tutti gli scienziati condiviso che affinché la vita possa avere origine tutte le sostanze ad essa necessarie devono essere selezionate, accumulate e poste nelle condizioni di reagire. Le teorie attualmente più accreditate sono: la teoria del brodo primordiale, la teoria del mondo a “Mondo a RNA” che postula l’origine di molecole autoreplicanti in bacini idrici, la teoria dell’origine della vita nei fondali oceanici in prossimità delle bocche idrotermali. Tutte queste teorie non sono sostenute da conoscenze precise perché non spiegano in che modo le sostanze necessarie all’origine della vita si sarebbero selezionate, accumulate e come avrebbero interagito per dare origine alle macromolecole che costituiscono la vita, esse sono più idee che teorie e sono collegate alla casualità di Monod. In ambiente acquoso solo un miracolo potrebbe aver originato la vita.

Ebbene, queste idee, associate al fatto che sulla Terra l’acqua è necessaria alla vita ha portato molti astronomi e astrobiologi a ritenere che una condizione necessaria, cioè la presenza dell’acqua, fosse anche sufficiente. E allora dove cercare la vita nello spazio? Ovunque c’è acqua illudendosi così che la vita possa essersi originata anche sotto la coltre solida di Europa satellite di Giove dove sembra ci sia acqua liquida.

Ora, non si capisce perché alcuni astronomi, astrobiologi e ricercatori del SETI continuano a cercare la vita oltre la terra e nel contempo accettano le idee collegate alla teoria di Monod. Non si capisce perché sprecare tempo, energie e risorse alla ricerca di un evento la cui probabilità, su 100 milioni di pianeti è praticamente zero.

Se si vuole cercare la vita in altri pianeti bisogna invece appellarsi all’universalità delle leggi della fisica e prendere coscienza del fatto che la vita, in ogni parte dell’universo, è il risultato di forze deterministiche. La visione di De Duve si collega direttamente alla teoria di Bernal la quale postula come l’argilla, in epoca prebiotica, abbia potuto selezionare, accumulare, proteggere e far interagire le sostanze necessarie alla vita. Tale teoria è stata ampiamente esplicitata in “Chimica prebiotica ed origine della vita” 2019.

L’argilla, però, si forma in presenza di rocce, acqua e atmosfera. Allora, se la vita ha bisogno di argilla per emergere bisogna ricercare pianeti che contengono anche una parte rocciosa.

In conclusione i pianeti su cui è possibile che la vita si sia originata devono ricevere energia da una stella, deve contenere un’atmosfera, deve avere una terraferma e deve avere una distanza tale dalla stella da permettere acqua allo stato liquido. Queste condizioni sono ciò che definisce una zona abitabile. Queste sono condizioni minime perché, come suggeriscono gli astrobiologi, il pianeta deve possedere anche un nucleo fuso tale da permettere presenza di un campo magnetico per deviare il vento solare, letale per la vita, e permettere una tettonica a placche per riciclare elementi chimici.

Soddisfatte queste condizioni è possibile che in questi pianeti possa essersi originata la vita?

Come abbiamo detto, le leggi della fisica sono universali e secondo De Duve non solo la vita ma anche l’intelligenza emerge ovunque e ogni volta le circostanze lo permettono.

Quindi le leggi della fisica permettono l’origine della vita in altri pianeti con le caratteristiche già elencate, ma poi la vita in quei pianeti può aver avuto veramente origine?

Peter Ward (geologo e paleontologo) e David Brownlee (astronomo e astrobiologo) hanno condotto approfondite riflessioni sull’argomento e ritengono che sì, la vita può essersi originata in altri pianeti. Nel suo saggio “Fisica dell’impossibile” M. Kaku, 2010, riporta il loro pensiero «Riteniamo che la vita, sotto forma di microbi e altri organismi equivalenti, sia molto diffusa nell’universo». Come abbiamo detto se le leggi della fisica sono universali, allora non si può non condividere le riflessioni di Ward e Brownlee.

Ma dall’evoluzione di questi organismi può, come suggerisce De Duve, emergere anche l’intelligenza? E qui iniziano a serpeggiare seri dubbi.

Secondo alcuni scienziati affinché la vita possa evolvere (oltre alle condizioni già elencate: Energia, atmosfere, acqua, terraferma e nucleo centrale fuso per generare un campo magnetico e la tettonica a zolle) è necessaria anche la presenza di un pianeta gigante come Giove per farci evitare impatti con asteroidi e comete e la presenza di una Luna per stabilizzare l’asse della terra. Infine si sono aggiunti un’adeguata rotazione del pianeta e la giusta distanza dal centro della galassia. Trovare nella Galassia un pianeta che soddisfi queste condizioni è un problema un po’ arduo. E M. Kaku riporta ancora le riflessioni di  Ward e Bronwlee: «È probabile, invece, che le forme complesse, gli animali e le piante superiori, siano molto più rare di quanto si fosse soliti pensare”. In realtà, scrive ancora Kaku, Ward e Brownlee non escludono la possibilità che la terra sia, nella Galassia, l’unico pianeta popolato da forme di vita animale.

Il famoso biologo Ernst Mayr è della stessa opinione, ma guarda il problema da un punto di vita biologico.  Egli ha elencato un dozzina di colli di bottiglia evolutivi che l’intelligenza ha dovuto superare sul nostro pianeta e non è detto che ciò sia possibile in qualche altro pianeta.

Secondo De Duve l’intelligenza emerge ovunque e ogni volta le circostanze lo permettono. Il fatto è che le stringenti condizioni fisiche associate ai processi evolutivi riducono veramente al lumicino tali circostanze e quindi la probabilità dell’emergere dell’intelligenza.

Pur tuttavia molti scienziati continuano però a pensare che visto l’enorme numero di pianeti nella nostra galassia non si può escludere che in alcuni di essi la vita non abbia raggiunto qualche forma di intelligenza.

Sorge però un problema. L’universo agli inizi era costituito principalmente di Idrogeno. Dalla fusione nucleare di questo elemento all’interno delle stelle massicce e dalla loro esplosione hanno avuto origine tutti gli altri elementi che sono stati dispersi nello spazio. Le stelle massicce hanno impiegato circa 5-6 miliardi di anni per fertilizzare lo spazio. In questa prima fase dell’universo, la quantità di carbonio, azoto e ossigeno era scarsa, e non potevano esistere pianeti rocciosi perché non c’era silicio a sufficienza. Quindi i primi sistemi solari con pianeti rocciosi si sono formati circa 7 miliardi

 

it.wikipedia.org/wiki/Formazione_ed_evoluzione_del_sistema_solare


  

 di anni fa, cioè tre miliardi di anni prima della formazione della terra. Certamente in tre miliardi di anni si saranno formati molti sistemi solari con tantissimi pianeti e tanti di questi in zone abitabili. Se la vita fosse comparsa in alcuni di questi pianeti in zone abitabili e si fosse evoluta come sulla terra fino a produrre l’intelligenza, questi esseri, queste forme di vita aliena, avrebbero su di noi un vantaggio tecnologico enorme. Forse non un vantaggio di 3 miliardi di anni e nemmeno di due o di uno, ma almeno di parecchi milioni di anni e con questo vantaggio tecnologico avrebbero avuto anche il tempo di conquistare la galassia. 

Ritorna allora la domanda: dove sono tutti quanti?

E qui gli scienziati si sono sbizzarriti nelle soluzioni più disparate. Le soluzioni che vanno per la maggiore sono

Gli alieni non sono interessati a lasciare i loro mondi e andare in giro per la galassia.

Tutti gli alieni sparsi nei vari pianeti della galassia non vogliono abbandonare i loro mondi?

I loro mondi sono stati distrutti da piogge di meteoriti o comete.

Tutti i mondi possibili distrutti da piogge di meteoriti?

Forse si sono autodistrutti, provocando disastri climatici, pandemici e nucleari.

Saranno stati mica tutti così stupidi come gli umani!

Ma forse la soluzione più credibile è quella di Ward e Brownlee. Probabilmente la vita è molto diffusa nell’universo ma sotto forma di microbi mentre le forme complesse sono molto rare. Se aggiungiamo i colli di bottiglie evolutivi che l’intelligenza deve superare vien voglia di concludere che noi siamo gli unici.

Stephen Awking, in “Le mie risposte alle grandi domande” 2018, non ha perso però la speranza e scrive: «Dal canto mio, preferisco che là fuori ci siano altre forme di vita intelligenti ma che, finora, siamo sfuggiti alla loro attenzione. …Dovremmo però stare attenti a eventuali comunicazioni aliene prima di esserci sviluppati un po’ di più. Al nostro stadio attuale, un incontro con una civiltà più avanzata della nostra sarebbe paragonabile all’incontro degli indigeni America con Colombo: non penso proprio che, col senno di poi, gli indigeni lo abbiano giudicato un evento felice» (*)

Vorrei chiudere questo articolo sintetizzando la conclusione di Stephen Webb in “Se l’universo brulica di alieni… dove sono tutti quanti?” 2018.

Stiamo cercando un pianeta che abbia una fonte di energia, un’atmosfera, acqua allo stato liquido e una terraferma.

Stiamo cercando un pianeta che contenga un nucleo fuso per poter generare un campo magnetico e sostenere una tettonica a zolle.

Stiamo cercando un pianeta nel cui sistema solare ci sia una pianeta gigante come Giove che faccia da scudo alla pioggia di meteoriti e che possegga anche una luna per stabilizzare l’asse del pianeta.

Stiamo cercando un pianeta che abbia un’adeguata rotazione del pianeta e la giusta distanza dal centro della galassia.

Stiamo cercando un pianeta che sia rimasto abitabile per miliardi di anni.

«Stiamo cercando forme di vita intelligente che abbiano sviluppato una consapevole autocoscienza. … Stiamo cercando esseri intelligenti consapevoli, fabbricatori di utensili e comunicativi che vivano in gruppi sociali (in modo da sfruttare i benefici della civiltà) e che sviluppino gli strumenti della scienza e della matematica.

Stiamo cercando noi stessi ...».

                                                                                          Giovanni Occhipinti

 (*) Quando la scienza non accetta la critica e diventa dogmatica.

Nel 2005 scrissi un articolo, nel giornale scolastico Il Magistraccio, “Sull’origine della vita” che si concludeva:

 

«[…] E la vita fuori dal nostro sistema solare esiste?

E perché no, anzi potrebbe essere più diffusa di quel che noi pensiamo.

Il problema è: la vita fuori dal nostro sistema solare che grado di evoluzione ha raggiunto?

La nostra tecnologia avanzata la possiamo far partire dalla scoperta della radio e della fusione nucleare; meno di un secolo. E cosa è un secolo, l00 anni paragonati a oltre 3.000.000.000 di anni data dell’inizio della vita sul nostro pianeta. La probabilità che la vita altrove si trovi al nostro stadio di evoluzione è praticamente nulla.

Noi mandiamo segnali in tutte le direzioni dell’universo: ma chi e il destinatario?

Se la vita in qualche altro pianeta non ha raggiunto il nostro grado di evoluzione e di tecnologia:

non ci capiscono!

Se la vita ha superato il nostro grado di evoluzione, immaginiamo degli alieni un milione di anni più evoluti di noi:

speriamo non ci capiscano!

Perché il rischio è di fare la fine degli indiani d’America, con l’aggravante che noi abbiamo urlato ai quattro venti: .... SIAMO QUI».

 

Per questa conclusione, da qualche collega, sono stato rimproverato di trasmettere un messaggio sbagliato, perché la ricerca scientifica deve essere libera, in tutte le direzioni e senza paletti.

A distanza di anni, mi fa piacere sapere che non sono solo.

  

Prossimo articolo: Origine della vita: prima molecole autoreplicanti (Mondo a RNA), o prima le proteine? La ricerca di un punto di incontro per superare una dicotomia che da oltre mezzo secolo blocca la soluzione del problema.

 


LIFE BEYOND THE EARTH

 Post n. 47 English


                                                               

For thousands of years, humans have been observing the sky to understand where we are and what our place is in the universe. In recent centuries, we have discovered that we live on a planet within a system made up of a star, other planets and a myriad of asteroids. We now know that, together with many other stars and planets, we are part of a cluster of stars that we have called the Galaxy and that there are a huge number of galaxies that make up the universe.  Since, as has already happened, some asteroids could fall on us and annihilate us, astronomical research also becomes a quest for survival. Understanding where we really are, what our place in the universe is, and knowing how to survive, leads us to the study of the formation of our solar system, the search for other solar systems and solar systems in formation.

But how many galaxies are there in the universe, how many stars and how many planets? We don't know, some scientists estimate the galaxies to be around 100 billion others at 500 billion, a huge number anyway. A more realistic estimate made by several scientists considers the universe to consist of about 200 billion galaxies. Our galaxy would contain 200 billion stars and even if not all of them are part of a solar system, these would be a huge number around which an endless number of planets (exoplanets) revolve.

And how many planets could harbour life?

As Alan Boss reports in 'The Crowded Universe' 2009, in 1995 Michel Mayor published the discovery of the first extrasolar planet around a solar-type star 51 Pegasus. The planet, named 51 Pegasus b, had a mass half that of Jupiter and an orbital cycle of 4.2 days compared to Jupiter's 12 years. In the same year, George Wetherill, who had studied the problem of solar system formation for a long time, had come to the conclusion, through computer simulations, that planetary systems can also form on stars with either double the mass or half the mass of the sun. Mayor's discovery and Wetherill's conclusions triggered the worldwide hunt for exoplanets. Within a decade, 120 extrasolar planets were discovered, most of them revolving around red dwarfs, all Jupiter-sized and gaseous planets, others rocky and about 2-10 times the size of the earth and called super-terrestrial

Red Dwarfs are a type of star with a mass between 0.5 and 0.1 solar masses and appear to make up 80% of the stars in the Milky Way. Most of these stars, due to their low luminosity, are invisible to the naked eye.

When Dimitar Sasselov wrote the 2012 essay 'Another Earth', some 600 planets discovered within a 500-light-year circle of our galaxy were already known, all exoplanets of the Jovian or Super Earth type. Sasselov estimated the number of planets that could harbour life at 100 million, and this estimate included Super-Earths. At the time, people were already aware that the technology of the time made it easy to detect large planets, yet many scientists were of the opinion that large planets predominated in solar systems.

 

it.wikipedia.org/wiki/Super_Terra



Sasselov included super-Earths among the habitable planets because he considers them better than Earth in terms of habitability. He noted that life cannot exist in an equilibrium system and therefore needs materials and energy continuously. All of this on Earth is provided by plate tectonics, which causes continental drift that recycles all the material in the Earth's crust over four hundred thousand years: the so-called carbonate-silicate cycle. The emission of CO2 and the presence of water create a powerful thermostat on our planet that keeps the temperature within a range favourable to life. But plate tectonics makes the planet dynamic in continuous renewal and vital. This condition, within our planet, is determined by the presence of a molten core. Mars is too small to have a substantial molten core within it. Rocky super-Earths will undoubtedly have a larger molten core than Earth and thus have more sustained plate tectonics that could recycle more materials and better support life.

With the development of surveying techniques and in particular the use of space telescopes, there are now about 5000 known planets and among them some of Earth size.

Scientists' interest has therefore shifted to planets of terrestrial mass, rekindling a question that mankind has long been asking:

Is there life in space? And if there is life in space, is it similar to our own? And could there be life very different from ours, i.e. based on different chemical elements?

Iris Fly addresses the first question in The Origin of Life on Earth, (2005), when she reports on the ideas of Shapiro and Feinberg. These authors suggest that a definition of life should be independent of the local characteristics of life on earth. They argue that life is the activity of a highly ordered system of matter and energy characterised by complex cycles that gradually maintain or increase order. Life would therefore be innate in matter. They therefore believe that life based on silicates is also possible. In particular, since at 1000°C silicates become liquid, on a planet close to the sun or within our own planet, life based on silicates could have evolved.

Of course, there are those who conjecture diametrically opposed environments. Saturn's satellite Titan apparently has an ocean of liquid hydrocarbons at a temperature of -180°C where islands of frozen water float. According to Goldsmith, hydrocarbon-based life could have evolved on Titan. However, scientific research has shown that there can be no life without atmosphere, energy and liquid water.

To answer the second question, we start from the observation that all the chemical elements, of which planets and the substances essential for life are composed, were produced by the evolution and collapse of massive stars. The final explosion of such stars dispersed the elements produced into space. Subsequent aggregations and reactions of these elements gave rise to clouds of gas and dust that gave rise to solar systems. So in general terms, we can say that all the solar systems in the universe have the same chemical elements as life in our solar system.

Well, even though 92 natural chemical elements are available, living organisms use only 4 of them by 96% of their weight: H (hydrogen), O (oxygen), N (nitrogen), C (carbon), to which small percentages of P (phosphorus) and S (sulphur) must be added. Together these 6 elements are called 'biogenic elements'. They give rise to all the fundamental molecules of living matter. The synthesis of these molecules gives rise to all the polymers necessary for the origin and evolution of life.

Now given the need for an atmosphere and energy and liquid water, is it possible that some other element could replace carbon?

In the periodic table of elements, silicon (Si) is below carbon C and contains, like carbon, four electrons in the last orbital that give rise to four bonds. Furthermore, silicon is an abundant element in the universe and especially on our planet.

The subject, from a chemical point of view, has been dealt with at length in the article: "We, Aliens, Matter: Is Another Life Possible?", label L, to which I refer you and whose conclusions I quote:

With reference to silicon, Mario Ageno (Lezioni di Biofisica 3 1984) adds: "[...] silicon is completely unsuitable as a building material for living organisms [...]"

We can therefore conclude that, due to the peculiarities of their atomic structures, biogenic elements are the only ones that, through their compounds, are suitable for performing the numerous biological functions in living organisms. Matter provides us with no other solution: the transition was obligatory.

Moreover, since the laws of physics and chemistry are universal if, given certain conditions, life occurs in other solar systems, it uses the same biogenic elements and macromolecules as terrestrial living organisms.

But what does a planet have to be like to give rise to life?

To answer this question, one would first have to know how life originated on our planet. There are two views on the origin of life on our planet: that of Jacques Monod, 'Chance and Necessity' 1979, according to which the origin of life on earth was a random event, our number came up at roulette, or in the words of Crick, almost a miracle, and that of Christian De Duve, 'Vital Dust' 1995, according to which life is the product of deterministic forces; life could not but originate under the conditions prevailing at the time and will similarly originate wherever and whenever the same conditions reappear.

Then there are theories that seem far removed from Monod but actually fall under Monod's randomness. It is now an established fact shared by all scientists that in order for life to originate, all the substances necessary for it must be selected, accumulated and placed in a condition to react. The most widely accepted theories at present are: the primordial soup theory, the 'RNA world' theory, which postulates the origin of self-replicating molecules in reservoirs, and the theory of the origin of life in the ocean floor near hydrothermal vents. All these theories are not supported by precise knowledge because they do not explain how the substances necessary for the origin of life would have selected, accumulated and interacted to give rise to the macromolecules that constitute life, they are more ideas than theories and are related to Monod's randomness. In an aqueous environment, only a miracle could have originated life.

Well, these ideas, coupled with the fact that on Earth water is necessary for life, led many astronomers and astrobiologists to believe that a necessary condition, namely the presence of water, was also sufficient. So where to look for life in space? Wherever there is water, thus believing that life could have originated even under the solid blanket of Jupiter's satellite Europa where there seems to be liquid water.

Now, it is unclear why some astronomers, astrobiologists and SETI researchers continue to search for life beyond the earth while accepting the ideas linked to Monod's theory. It is unclear why they would waste time, energy and resources searching for an event whose probability, out of 100 million planets, is practically zero.

If one wants to search for life on other planets, one must instead appeal to the universality of the laws of physics and become aware of the fact that life, in every part of the universe, is the result of deterministic forces. De Duve's view relates directly to Bernal's theory, which postulates how clay, in prebiotic times, was able to select, accumulate, protect and interact with the substances necessary for life. This theory has been extensively expounded in 'Prebiotic Chemistry and the Origin of Life' 2019.

Clay, however, forms in the presence of rocks, water and the atmosphere. So, if life needs clay to emerge, one must look for planets that also contain a rocky part.

In conclusion, planets on which life may have originated must receive energy from a star, it must contain an atmosphere, it must have a landmass and it must be far enough away from the star to allow water in a liquid state. These conditions are what defines a habitable zone. These are minimum conditions because, as astrobiologists suggest, the planet must also possess a molten core to allow a magnetic field to deflect the life-threatening solar wind and allow plate tectonics to recycle chemical elements.

Given these conditions, is it possible that life could have originated on these planets?

As we have said, the laws of physics are universal and according to De Duve not only life but also intelligence emerges everywhere and whenever circumstances permit.

So the laws of physics allow for the origin of life on other planets with the characteristics already listed, but then could life on those planets have really originated?

Peter Ward (a geologist and palaeontologist) and David Brownlee (an astronomer and astrobiologist) have conducted extensive research on the subject and believe that yes, life may have originated on other planets. In his essay 'Physics of the Impossible' M. Kaku, 2010, reports their thoughts "We believe that life, in the form of microbes and other equivalent organisms, is widespread in the universe. As we have said, if the laws of physics are universal, then one cannot but agree with Ward and Brownlee's thoughts.

But can, as De Duve suggests, intelligence also emerge from the evolution of these organisms? And here serious doubts begin to creep in.

According to some scientists, for life to evolve (in addition to the conditions already listed: Energy, atmospheres, water, land and a molten central core to generate a magnetic field and clod tectonics), the presence of a giant planet like Jupiter is also necessary to make us avoid asteroid and comet impacts, and the presence of a Moon to stabilise the earth's axis. Finally, an adequate rotation of the planet and the right distance from the centre of the galaxy were added.

Finding a planet in the Galaxy that satisfies these conditions is a somewhat difficult problem. And M. Kaku again reports Ward and Bronwlee's thoughts: 'It is probable, however, that complex forms, the higher animals and plants, are much rarer than we used to think'. In fact, Kaku further writes, Ward and Brownlee do not rule out the possibility that the earth is, in the Galaxy, the only planet populated by animal life forms.

The famous biologist Ernst Mayr is of the same opinion, but looks at the problem from a biological point of view.  He has listed a dozen evolutionary bottlenecks that intelligence has had to overcome on our planet and it is not certain that this is possible on some other planet.

According to De Duve, intelligence emerges everywhere and whenever circumstances permit. The fact is that the stringent physical conditions associated with evolutionary processes really reduce such circumstances and thus the probability of the emergence of intelligence to almost zero.

Nevertheless, many scientists still think that given the huge number of planets in our galaxy, it cannot be ruled out that in some of them life has not attained some form of intelligence.

A problem arises, however. The universe in its early days consisted mainly of Hydrogen. The nuclear fusion of this element within massive stars and their explosion gave rise to all the other elements that were dispersed in space. The massive stars took about 5-6 billion years to fertilise space. At this early stage of the universe, the amount of carbon, nitrogen and oxygen was low, and rocky planets could not exist because there was not enough silicon. So the first solar systems with rocky planets formed about 7 billion years ago, which is three billion years before the formation of the earth.

 

it.wikipedia.org/wiki/Formazione_ed_evoluzione_del_sistema_solare



 Certainly in three billion years, many solar systems must have formed with many planets and many of them in habitable zones. If life had appeared on some of these planets in habitable zones and evolved as it did on earth to the point of producing intelligence, these beings, these alien life forms, would have an enormous technological advantage over us. Perhaps not an advantage of three billion years or even two or one, but at least several million years, and with this technological advantage they would also have had time to conquer the galaxy. 

The question then returns: where is everyone?

And here scientists have indulged in a variety of solutions. The most popular solutions are

The aliens are not interested in leaving their worlds and wandering around the galaxy.

All the aliens scattered around the various planets in the galaxy do not want to leave their worlds?

Meteor showers or comets have destroyed their worlds.

All possible worlds destroyed by meteor showers?

Perhaps they self-destructed, causing climatic, pandemic and nuclear disasters.

Surely, they were all as stupid as humans!

Perhaps the most credible solution is that of Ward and Brownlee. Life is probably widespread in the universe but in the form of microbes while complex forms are very rare. If we add the evolutionary bottlenecks that intelligence has to overcome, one would like to conclude that we are the only ones.

Stephen Awking, in "My Answers to the Big Questions" 2018, has not lost hope, however, and writes: "For my part, I prefer that there are other intelligent life forms out there but that, so far, we have escaped their notice. ...We should, however, be alert to any alien communication before we have developed a little more. At our present stage, an encounter with a civilisation more advanced than ours would be comparable to the encounter of the indigenous Americans with Columbus: I really do not think that, in hindsight, the indigenous people considered it a happy event.

I would like to close this article by summarising Stephen Webb's conclusion in "If the universe is teeming with aliens... where are they all?" 2018.

We are looking for a planet that has an energy source, an atmosphere, water in a liquid state and a landmass.

We are looking for a planet that contains a molten core so that it can generate a magnetic field and support plate tectonics.

We are looking for a planet in whose solar system there is a giant planet like Jupiter to shield the meteor shower and possess a moon to stabilise the planet's axis.

We are looking for a planet that has adequate planet rotation and the right distance from the centre of the galaxy.

We are looking for a planet that has remained habitable for billions of years.

"We are looking for intelligent life forms that have developed conscious self-awareness. ... We are looking for conscious, tool-making, communicative intelligent beings who live in social groups (so as to reap the benefits of civilisation) and who develop the tools of science and mathematics.

We are looking for ourselves ...”

 

                                                                                          Giovanni Occhipinti

 

(*) When science does not accept criticism and becomes dogmatic.

In 2005, I wrote an article in the school newspaper Il Magistraccio, 'On the origin of life', which concluded:

 

[...] And does life outside our solar system exist?

And why not, indeed it may be more widespread than we think.

The question is: how far has life outside our solar system evolved?

Our advanced technology can be traced back to the discovery of radium and nuclear fusion; less than a century. And what is a century, l00 years compared to over 3,000,000 years when life began on our planet. The probability of life elsewhere being at our stage of evolution is virtually nil.

We send signals in all directions in the universe: but who is the recipient?

If life on some other planet has not reached our stage of evolution and technology:

they don't understand us!

If life has surpassed our level of evolution, imagine aliens a million years more evolved than us:

let's hope they don't understand us!

Because the risk is to end up like the American Indians, with the aggravating circumstance that we have shouted to the four winds: ... WE ARE HERE.

For this conclusion, I have been reproached by some colleagues for conveying the wrong message, because scientific research must be free, in all directions and with no stakes.

Years later, I am glad to know that I am not alone.

 

Next article: Origin of life: first proteins or first self-replicating molecules (RNA world)? The search for common ground to overcome a dichotomy that blocks the solution to the problem for more than half a century.