domenica 31 ottobre 2021

A CHE PUNTO SIAMO CON DARWIN (parte prima)


Post n. 45

e Post n. 45 English 

Etichetta Zn, English Etichetta Zna


Il darwinismo fu una vera e propria rivoluzione dei pensiero umano e una indescrivibile spinta alla ricerca scientifica per tutto lo scibile della vita e della sua origine. Dalla pubblicazione dell’origine delle specie, che ha rivoluzionato la nostra visione del mondo, sono passati oltre 160 anni. Durante questo lasso di tempo la ricerca scientifica ha prodotto una enorme quantità di lavori che se da un lato hanno confermato la teoria nelle sue linee generali dall’altro ha apportato alcune modifiche.

Origine della vita e microorganismi non erano argomento di studio di Darwin purtuttavia alcuni suoi suggerimenti hanno anticipato alcuni risultati che la ricerca scientifica ha raggiunto dopo oltre un secolo.

Intorno al 1870 in una lettera ad un amico Darwin scriveva: «Se (ed è un se bello grosso) potessimo immaginare che in una piccola pozza calda, ricca di ammoniaca, sali fosforici, luce, calore, elettricità, ecc., si fosse formato chimicamente un composto proteico, pronto a passare attraverso cambiamenti ancor più complessi [...]». Ma la posiziona ufficiale di Darwin era ferma e chiara: allo stato attuale delle conoscenze non è possibile (ultra vires) formulare un teoria sull’origine della vita.

Purtuttavia nel 1924 A. I. Oparin, che allora ricopriva la cattedra di Biochimica vegetale all’università di Mosca traduce quest’idea in una sorta di teoria scientifica e la pubblica in un libro: “Origine della vita”. Secondo Oparin sul nostro pianeta il carbonio era legato ai metalli sotto forma di carburi. Questi venendo a contatto con vapore acqueo hanno reagito dando origine a idrocarburi e per successive reazioni a tanti altri composti organici. Quando la temperatura sulla superficie della terra scese sotto i 100°C, l’acqua iniziò a condensare e tutti questi composti, contenuti nell’atmosfera, vennero trascinati in un “primitivo oceano bollente” dove iniziarono a reagire formando molecole sempre più grandi.

Nel 1929 J. B. S. Haldane, senza conoscere le idee di Oparin, pubblica un breve articolo sull’origine della vita. Secondo Haldane l’atmosfera primitiva non conteneva Ossigeno ma, probabilmente, H2 (idrogeno), H2O (acqua), NH3 (ammoniaca), e CH4 (metano) come le atmosfere di Giove, Saturno e Urano. Molecole più complesse si sarebbero formate nell’atmosfera per effetto delle radiazioni solari. Questi composti organici, trascinati dalle piogge si sarebbero accumulati nell’oceano primitivo dove reagendo avrebbero formato molecole complesse dando origine ad un “brodo caldo diluito” e qui avrebbero avuto origine i primi organismi.

La “piccola pozza calda” di Darwin diventa brodo caldo diluito, subito tradotto in “Brodo Primordiale”. Intorno al 1950 con H. Urey e S. Miller utilizzando una miscela di gas simili a quella suggerita da Haldane, S. Miller con apporto di energia (scariche elettriche), riuscì a produrre amminoacidi, che sono componenti delle proteine, e molte altre sostanze organiche.

Sembrava quindi confermata la teoria di Haldane della formazione, nell’atmosfera, delle sostanze fondamentali per l’origine della vita e la loro raccolta in un “Brodo Primordiale” dove si sarebbe originata la vita.

Ma, come ampiamente illustrato in “Chimica prebiotica ed origine della vita” Nuova Edizione 2019, in un brodo primordiale non è possibile la formazione di composti proteici. E anche se qualcuno vuole sostituire i caldi fondali dell’antica dorsale oceanica alla pozza calda, la formazione di composti proteici in ambienti acquosi presenta problemi insormontabili.

In conclusione sulla spinta dell’idea darwiniana della piccola pozza calda la ricerca ha scoperto che, tra le molecole fondamentali per l’origine della vita, è molto probabile che siano comparsi per primi gli amminoacidi con la conseguente comparsa di composti proteici, anche se non in una pozza calda.

Avviandosi a concludere “L’origine delle specie” (VI edizione) Charles Darwin scrive: «Pertanto, basandomi sul principio della selezione naturale con differenziazione dei caratteri, non mi sembra incredibile che, da alcune di queste forme inferiori ed intermedie, si possano essere sviluppate tanto gli animali che le piante; e se ammettiamo questo, dobbiamo ammettere similmente che tutti gli organismi che sono vissuti sulla terra possono essere discesi da una sola forma primitiva. Ma questa deduzione si basa essenzialmente sull’analogia per cui poco importa se venga o meno accettata. Sicuramente è possibile, come afferma G. H. Lewes, che, ai primi inizi della vita si sono evolute molte forme differenti; ma, se è così, possiamo dedurre che solo pochissime hanno lasciato discendenti modificati».

Ma “una sola forma primitiva” risultò più attraente per gli scienziati e presto venne tradotta in LUCA (Last Universal Common Ancestor) che rappresentava il tronco di un enorme numero di alberi della vita che numerosi evoluzionisti si affrettarono ad illustrare.


 

Ma con la pubblicazione, nel 1999, dell’albero reticolare di W.F. Doolittle svanisce il concetto di progenitore universale per lasciare il posto, ad un’aggregazione comune ma alquanto flessibile di cellule primitive che si evolveva come un’unità e che infine raggiunse una fase nella quale si spezzettò in varie comunità distinte.


    

O, come Darwin aveva suggerito “...solo pochissime hanno lasciato discendenti modificati” anticipando, come già evidenziato, la ricerca scientifica di oltre un secolo e mezzo.

 

La teoria di Darwin nelle sue linee essenziali, in riferimento all’origine delle specie, si basa su tre fatti fondamentali:

1)    Nascono più individui di quanto ne possano sopravvivere.

2)    Gli individui non sono tutti uguali ma presentano delle variazioni.

3)    La selezione naturale: sopravvive l’individuo che presenta la variazione più adatta in un determinato ambiente.

Tale selezione naturale procede secondo Darwin in modo lento e progressivo.

Intorno alla metà del secolo scorso, la scoperta degli acidi nucleici ha riconosciuto il ruolo fondamentali dei geni come unità fondamentali di controllo dell’organismo. A seguito di queste scoperte la teoria di Darwin venne ampliata alla genetica col nome di neodarwinismo, oggi nota come “teoria sintetica”. Tale teoria, estesa a tutti gli organismi viventi, afferma che la selezione naturale opera sui geni e che le variazioni di cui parla Darwin sono mutazioni casuali che compaiono in modo continuo nei geni e vengono trasmesse ai discendenti. Come la teoria di Darwin anche la teoria sintetica ha una visione lenta e progressiva della selezione naturale.

Come riportano G. L. Stebbins e F. J. Ayala in “L’evoluzione del darwinismo” Le Scienze 1985, alcuni studi condotti negli anni settanta e ottanta avvalorano l’ipotesi che lo sviluppo di variazioni nel DNA sia stimolato da un tipo di determinismo molecolare, e non solo dal puro caso. Inoltre secondo la teoria della neutralità di M. Kimura il caso controlla non solo la comparsa iniziale delle variazioni genetiche ma anche la loro successiva affermazione in una popolazione. Sempre all’interno di una visione evoluzionistica Telmo Pievani in “Ripensare Darwin?” le Scienze 2015 evidenzia come alcune scoperte degli ultimi vent’anni abbiano spinto alcuni evoluzionisti a sostenere la necessità di costruire una “sintesi evoluzionistica estesa” ovvero una teoria che non si limiti a spiegare l’evoluzione solo attraverso geni e selezione.

Sono argomenti che riguardano gli addetti ai lavori, che provocano spesso roventi polemiche e che non hanno ancora trovato una sintesi. In questo articolo non ci occupiamo di questi argomenti né di piccole popolazioni, ma vogliamo trattare solo quegli eventi macroscopici della storia della vita, ormai universalmente accettate dagli evoluzionisti, che sono sicuramente non darwiniani o non neodarwiniani.

Intorno agli anni settanta e ottanta sono state scoperte quattro eventi non darwiniani, argomenti di cui Darwin non poteva essere a conoscenza:

L’endosimbiosi, la teoria degli equilibri punteggiati, la trasmissione laterale, l’epigenetica.

Endosimbiosi

La vita ebbe origine sotto forma di organismi unicellulari simili agli odierni batteri, chiamati procarioti. Le cellule dei procarioti sono costituite da una membrana cellulare, o membrana plasmatica, che separa la cellula dall’ambiente esterno. All’interno della cellula si trova un fluido, il citoplasma, che contiene il materiale genetico, un organello per la sintesi delle proteine (Ribosoma), enzimi, e piccole molecole. La cellula eucariote dalla cui evoluzione discendiamo anche noi, è più grande della cellula dei procarioti e il suo cromosoma è contenuto in un nucleo centrale distinto. Gli eucarioti si distinguono dai procarioti perché contengono organelli in particolari i mitocondri, che attraverso ossigeno e nutrienti producono energia, e nelle cellule vegetali anche i plastidi noti come cloroplasti nelle piante verdi.

Come illustra David Quammen in “L’albero intricato” 2020, l’ipotesi di un’origine endosimbiotica degli eucarioti nasce nel 1907 ad opera di Konstantin Merezkovskij, il quale aveva suggerito che organelli cellulari come i cloroplasti fossero ciò che restava di batteri catturati da batteri più grandi e dai quali si erano evoluti. Merezkovskij fu considerato per lungo tempo un pazzo, anche per la sua turbolenta vita, e la sua idea fu bollata come “una fantasia divertente”.

Per più di mezzo secolo quest’ipotesi fu quasi del tutto dimenticata, ma nel 1967 fu ripresa da una giovane e tenace ricercatrice, Lynn Margulis che pubblicò un articolo sul “Journal of Theoretical Biology dove esplicitò meglio la teoria anche con disegni che ne illustravano il processo. In un articolo Pubblicato nel 1971 “Simbiosi ed evoluzione” Le Scienze, sostenne che le cellule prive di nucleo furono le prime a evolversi; quelle con nucleo non sono, tuttavia, semplici discendenti mutanti del tipo più antico di cellula, ma il prodotto di un diverso processo evolutivo: un'unione simbiotica di parecchie cellule prive di nucleo. In altre occasioni ebbe modo di affermare che il neodarwinismo si sbagliava riguardo alla principale fonte di variazione genetica che dà impulso all’innovazione evolutiva. Con un chiaro riferimento a Darwin ha aggiunto che la vera novità evolutiva deriva dalla simbiosi e che la vita sulla terra ha seguito la via della cooperazione e non della lotta per la sopravvivenza.

Malgrado in quegli anni, attraverso la microscopia elettronica, fosse stato scoperto che mitocondri e cloroplasti contenessero DNA, il mondo scientifico dell’epoca considerava la Margulis una scienziata intelligente, caparbia, ma in preda ad un’idea balorda e da qualcuno anche detestata. Nei decenni successivi Lynn Margulis non smise di pubblicizzare le sue idee, ma si è dovuto attendere il 1992, dopo il sequenziamento del loro DNA, per avere la conferma che questi organelli erano discendenti di batteri catturati in epoche remote. Konstantin Merezkovskij e Lynn Margulis avevano visto giusto, la cellula eucariote aveva avuto origine per endosimbiosi: un Archea ha ospitato un proteo batterio che successivamente si è evoluto in mitocondrio.

Gli equilibri punteggiati.

Natura non facit saltus; principio utilizzato anche da Darwin nell’origine delle specie per sottolineare che l’evoluzione delle specie è lenta e graduale. Poiché la documentazione fossile non confermava una tale evoluzione, Darwin concluse che essa era incompleta.

La Sintesi Moderna Tradusse questa idea affermando che i cambiamenti che si osservavano nelle specie erano riconducibili a piccole mutazione che in modo graduale si accumulavano nel corredo genetico.

Ne 1972 Stephen J. Gould e Niels Eldredge iniziarono a pubblicare i primi articoli su tale problematica compendiate in, “Gli equilibri punteggiati” 2008 (Ed. Italiana) di S. J. Gould e “Rivedere Darwin” di N. Eldredge. Come scrive S. J. Gould nel suo saggio «[…] provavo un grande disagio a causa della convinzione Darwiniana per cui ogni testimonianza non inseribile in una sequenza gradualistica andava attribuita a imperfezione nella documentazione fossile» E N. Eldredge: «La semplice estrapolazione non esiste. L’ho scoperto nel lontano 1960, quando tentai invano di documentare esempi di quel genere di cambiamento lento e costante che tutti noi pensavamo dovesse esistere, sin da quando Darwin disse che la selezione naturale dovrebbe lasciare proprio tale segnale rivelatore nei fossili che raccoglievamo nelle pareti scoscese. Scoprii invece che una volta comparse nei reperti fossili, le specie non tentano affatto a cambiare granché, ma rimangono imperturbabilmente e implacabilmente resistenti al cambiamento, com’è naturale, spesso per milioni di anni».

In definitiva, secondo i due ricercatori non era la documentazione fossile ad essere incompleta ma la teoria ad essere sbagliata. Non c’è un’evoluzione lenta e graduale. Le specie appaiono e in pochi millenni raggiungono le loro caratteristiche principali dopodiché   per milioni di anni entrano in una fase di “stasi” durante la quale si ha un’evoluzione lenta e graduale con variazioni quasi impercettibili.

 

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Ma S. J. Gould aggiunse: «La proposizione centrale dell’equilibrio punteggiato afferma che la grande maggioranza delle specie, così come ci sono presentate nella documentazione fossile attraverso la ricostruzione della loro variazione anatomica e geografica, compare in istanti geologici (punteggiature) e rimane poi immutata (stasi) durante la loro lunga esistenza. […]. L’equilibrio punteggiato non si limita ad asserire l’esistenza di un fenomeno, ma si arrischia a fare un’affermazione ben più forte, cioè quella della sua predominanza come modello macroevolutivo su scala geologica».

Apriti cielo, si scatenò una valanga di polemiche e di accuse; I Darwinisti ortodossi, con Richard Dawkins in primis, accusarono in particolare Gould di minare alle fondamenta la teoria di Darwin e di favorire le argomentazione dei creazionisti. Quando dogma e ideologie cristallizzano le idee. Nei vent’anni successivi alla pubblicazione del primo articolo sulla teoria degli equilibri punteggiati diede origine ad una grande mole di dibattiti. Altri dati aggiunti da numerosi ricercatori hanno confermato la teoria che corregge ma non nega la teoria di Darwin. 

 

                                                                                  Giovanni Occhipinti

 

 Prossimo Articolo fine Gennaio 2022 (A che punto siamo con Darwin 2a parte)

 


sabato 30 ottobre 2021

WHERE DO WE STAND WITH DARWIN (Part one)

 

Post n. 45 English

Etichetta Zna

 

Darwinism was a revolution in human thinking and an indescribable boost to scientific research into all that is known about life and its origins. More than 160 years have passed since the publication of The Origin of Species, which revolutionised our worldview. During this time, scientific research has produced an enormous amount of work that has confirmed the theory in its general outline, but has also made some changes.

The origin of life and microorganisms were not Darwin's subjects of study, but some of his suggestions anticipated some of the results that scientific research has achieved over a century later.

Around 1870, in a letter to a friend, Darwin wrote: "If (and that is a big if) we could imagine that in a small hot pool, rich in ammonia, phosphoric salts, light, heat, electricity, etc., a protein compound was chemically formed, ready to go through even more complex changes [...]". But Darwin's official position was firm and clear: in the present state of knowledge it is not possible (ultra vires) to formulate a theory of the origin of life.

However, in 1924  A. I. Oparin, who was then Professor of Plant Biochemistry at Moscow University, translated this idea into a kind of scientific theory and published it in a book: 'Origin of Life'. According to Oparin, carbon on our planet was bound to metals in the form of carbides. When these came into contact with water vapour, they reacted to form hydrocarbons and then many other organic compounds. When the temperature on the surface of the earth dropped below 100°C, water began to condense and all these compounds, contained in the atmosphere, were drawn into a 'primitive boiling ocean' where they began to react, forming larger and larger molecules.

In 1929, J. B. S. Haldane, without knowing Oparin's ideas, published a short article on the origin of life. According to Haldane, the primitive atmosphere did not contain oxygen but probably H2 (hydrogen), H2O (water), NH3 (ammonia), and CH4 (methane) like the atmospheres of Jupiter, Saturn and Uranus. More complex molecules would have been formed in the atmosphere by solar radiation. These organic compounds, carried away by the rainfall, would have accumulated in the primitive ocean where they would have reacted to form complex molecules, giving rise to a 'dilute hot soup' where the first organisms would have originated.

Darwin's 'small hot puddle' became diluted hot soup, which was immediately translated into 'primordial soup'. Around 1950, with H. Urey and S. Miller, using a mixture of gases similar to the one suggested by Haldane, S. Miller, with the addition of energy (electrical discharges), succeeded in producing amino acids, which are components of proteins, and many other organic substances.

Haldane's theory of the formation in the atmosphere of substances fundamental to the origin of life and their collection in a 'primordial soup' where life originated seemed to be confirmed.

But, as is amply illustrated in 'Prebiotic Chemistry and the Origin of Life' New Edition 2019, the formation of protein compounds is not possible in a primordial soup. And even if someone wants to substitute the warm depths of the ancient oceanic ridge for the hot pool, the formation of protein compounds in aqueous environments presents insurmountable problems.

In conclusion, in the wake of the Darwinian idea of the small warm pool, the research found that, among the molecules fundamental to the origin of life, it is very likely that amino acids appeared first, with the consequent appearance of protein compounds, even if not in a warm pool.

In concluding "The Origin of Species" (6th edition) Charles Darwin wrote: "Therefore, on the basis of the principle of natural selection with differentiation of characters, it does not seem incredible to me that, from some of these lower and intermediate forms, both animals and plants may have developed; and if we admit this, we must likewise admit that all the organisms that have ever lived on earth may have descended from one primitive form. However, this deduction is essentially based on analogy, so that it matters little whether it is accepted or not. It is certainly possible, as G. H. Lewes states, that, in the earliest beginnings of life, many different forms evolved; but, if so, we may infer that only a very few have left modified descendants.

However, “one primitive form” proved more attractive to scientists and was soon translated into LUCA (Last Universal Common Ancestor), which represented the trunk of a huge number of trees of life that numerous evolutionists rushed to illustrate.


 

But with the publication in 1999 of W.F. Doolittle's lattice tree, the concept of a universal ancestor vanished, making way, as C. R. Woese puts it, for an aggregation of the universal ancestor. R. Woese, a common but somewhat flexible aggregation of primitive cells that evolved as a unit and eventually reached a stage where it broke up into several distinct communities.

 


 Or, as Darwin suggested '...only a very few have left modified descendants' anticipating, as already pointed out, scientific research by over a century and a half.

Darwin's theory in its essentials, with reference to the origin of species, is based on three fundamental facts:

1) More individuals are born than can survive.

2) Individuals are not all the same but have variations.

3) Natural selection: the individual with the most suitable variation in a given environment survives.

This natural selection, according to Darwin, proceeds slowly and progressively.

Around the middle of the last century, the discovery of nucleic acids recognised the fundamental role of genes as the basic control units of the organism. Following these discoveries Darwin's theory was extended to genetics under the name of Neo-Darwinism, now known as “synthetic theory”. This theory, extended to all living organisms, states that natural selection operates on genes and that the variations Darwin refers to are random mutations that appear continuously in genes and are passed on to descendants. Like Darwin's theory, the synthetic theory also takes a slow and progressive view of natural selection.

As G. L. Stebbins and F. J. Ayala report in "The Evolution of Darwinism" Le Scienze 1985, studies conducted in the 1970s and 1980s support the hypothesis that the development of variations in DNA is stimulated by a type of molecular determinism, and not just pure chance. Furthermore, according to M. Kimura's neutrality theory, chance controls not only the initial appearance of genetic variations but also their subsequent establishment in a population. Still within an evolutionary vision, Telmo Pievani in "Ripensare Darwin?" le Scienze 2015 points out how some discoveries of the last twenty years have led some evolutionists to support the need to build an "extended evolutionary synthesis", i.e. a theory that does not limit itself to explaining evolution only through genes and selection.

These are arguments that concern insiders that often provoke heated controversy and that have not yet found a synthesis. In this article, we are not concerned with these topics or with small populations, but want to deal only with those macroscopic events in the history of life, now universally accepted by evolutionists, that are definitely non-Darwinian or non-neodarwinian.

Around the 1970s and 1980s, four non-Darwinian events were discovered of which Darwin could not have been aware:

Endosymbiosis, the theory of punctuated equilibria, lateral transmission, and epigenetics.

Endosymbiosis

Life originated in the form of single-celled organisms similar to today's bacteria, called prokaryotes. The cells of prokaryotes consist of a cell membrane, or plasma membrane, which separates the cell from the external environment. Inside the cell is a fluid, the cytoplasm, which contains the genetic material, an organelle for protein synthesis (ribosome), enzymes, and small molecules. The eukaryotic cell, from whose evolution we also descend, is larger than the prokaryotic cell and its chromosome is contained in a distinct central nucleus. Eukaryotes differ from prokaryotes in that they contain organelles in particular the mitochondria, which produce energy through oxygen and nutrients and in plant cells also the plastids known as chloroplasts in green plants.

As David Quammen illustrates in “The Tangled Tree” 2020, the hypothesis of an endosymbiotic origin of eukaryotes originated in 1907 by Konstantin Merezkovsky, who suggested that cell organelles such as mitochondria and chloroplasts were the remnants of bacteria that had been captured by and evolved from larger bacteria. Merezkovsky was long regarded as a madman, not least because of his turbulent life, and his idea was branded “an amusing fantasy”.

For more than half a century this hypothesis was almost completely forgotten, but in 1967, it was revived by a young and tenacious researcher, Lynn Margulis, who published an article in the Journal of Theoretical Biology in which she explained the theory in more detail, including drawings illustrating the process. In an article published in 1971 "Symbiosis and evolution  in “Le Scienze”, she argued that cells without a nucleus were the first to evolve; those with a nucleus are not, however, simple mutant descendants of the oldest type of cell, but the product of a different evolutionary process: a symbiotic union of several cells without a nucleus. On other occasions, he argued that neo-Darwinism was wrong about the main source of genetic variation that drives evolutionary innovation. With a clear reference to Darwin, he added that the real evolutionary innovation came from symbiosis and that life on earth followed the path of cooperation and not of struggle for survival.

Despite the fact that at that time it had been discovered through electron microscopy that mitochondria and chloroplasts contained DNA, the scientific world of the time considered Margulis to be an intelligent, stubborn scientist, but in the grip of a crazy idea and even detested by some. In the decades that followed, Lynn Margulis continued to publicise her ideas, but it was not until 1992, after the sequencing of their DNA, that it was confirmed that these organelles were descendants of bacteria captured in ancient times. Konstantin Merezkovsky and Lynn Margulis had been right; the eukaryotic cell had originated by endosymbiosis: an Archaea hosted a bacterial protein that subsequently evolved into a mitochondrion

Punctuated equilibria.

Natura non facit saltus; a principle also used by Darwin in the Origin of Species to emphasise that the evolution of species is slow and gradual. Since the fossil record did not confirm such an evolution, Darwin concluded that it was incomplete.

The Modern Synthesis translated this idea by stating that the changes observed in species were due to small mutations that gradually accumulated in the genetic makeup.

In 1972 Stephen J. Gould and Niels Eldredge began to publish the first articles on this problem, summarised in "Gli equilibri punteggiati" 2008 (Italian edition) by S. J. Gould and "Rivedere Darwin" by N. Eldredge. As S. J. Gould writes in his essay "[...] I felt a great discomfort because of the Darwinian conviction that any evidence that did not fit into a gradualistic sequence should be attributed to imperfections in the fossil record" and N. Eldredge: "Simple extrapolation does not exist. I discovered this back in the 1960s, when I tried in vain to document examples of the kind of slow and steady change that we all thought must exist, ever since Darwin said that natural selection should leave just such a detector sign in the fossils we collected in the cliffs. Instead. I discovered that once species appeared in the fossil record, they no attempted to change much at all, but remained unflappably and relentlessly resistant to change, as is natural, often for millions of years.

Ultimately, according to the two researchers, it was not the fossil record that was incomplete but the theory that was wrong. There is no slow and gradual evolution. Species appear and in a few millennia reach their main characteristics, after which they enter a phase of "stasis" for millions of years, during which there is a slow and gradual evolution with almost imperceptible variations.

 

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But S. J. Gould added: "The central proposition of punctuated equilibrium states that the vast majority of species, as presented to us in the fossil record through the reconstruction of their anatomical and geographical variation, appear at geological instants (punctuations) and then remain unchanged (stasis) during their long existence. [...]. The punctuated equilibrium does not merely assert the existence of a phenomenon, but dares to make a much stronger assertion, namely that of its predominance as a macro evolutionary model on a geological scale".

Open up heaven! The orthodox Darwinists, with Richard Dawkins in the forefront, accused Gould in particular of undermining Darwin's theory and favouring the arguments of creationists. When dogma and ideology crystallise ideas. In the twenty years since the publication of the first article, the theory of punctuated equilibria has given rise to a great deal of debate. Other data added by numerous researchers have confirmed the theory, which corrects but does not deny Darwin's theory. 

 

                                                                                  Giovanni Occhipinti


Next article, end January 2022 (Where do we stand with Darwin, 2nd part)

lunedì 31 maggio 2021

LA VITA, LE ESTINZIONI DI MASSA, L’ANTROPOCENE: 5a parte (L’Antropocene, la sesta estinzione?)


Post n. 44

e post n. 44 English

1° parte etichetta Zg, 2° parte etichetta Zh, 3° parte etichetta Zi. 4° parte etichetta Zl

 

Con la scomparsa dei dinosauri, 65 milioni di anni fa, inizia l’era dei mammiferi. Come i rettili, per garantirsi la sopravvivenza, da piccoli animali alcuni evolvono lentamente verso il gigantismo e intorno a 30 milioni di anni fa appaiono i mastodonti. Nello stesso periodo tra i primati apparvero le scimmie antropomorfe, animali onnivori che vivevano principalmente sugli alberi ma camminavano anche su quattro zampe. Quando erano a terra su quattro zampe vedevano più un mondo bidimensionale con la terza dimensione abbastanza ridotta e nella savana avevano una visione molto limitata. Sugli alberi sicuramente avevano un visione più ampia ma si riducevano le dimensioni di prede e predatori, non proprio l’ideale per la sopravvivenza. Ma intorno a cinque milioni di anni fa, da una ramificazione dei primati, almeno uno si sollevò sulle due zampe posteriori e vide e comprese un mondo diverso, un modo reale, un mondo in 3D più utile per la sopravvivenza.

I primi ominidi, progenitori dell’uomo, comparvero circa 4,5 milioni di anni fa, l’Australopithecus. Circa 2 milioni di anni fa comparve l’Homo abilis, capace di produrre utensili di pietra e 1,8 milioni di anni fa comparve l’Homo erectus che imparò ad utilizzare il fuoco. L’Homo Neanderthalensis 200.000 anni fa, sviluppò sentimenti sociali e seppelliva i morti. Intorno a 80000 anni fa comparve l’Homo sapiens che sviluppò il senso artistico e la capacità di astrazione, e subito dopo l’Homo sapiens sapiens, l’uomo moderno, l’Homo Sapiens 2.0. Durante il Pleistocene, l’epoca delle glaciazioni dove il livello dei mari, fino a 18000 anni fa, era sceso di 120m rispetto al livello attuale, l’uomo viveva di caccia e pesca. Con la fine delle glaciazioni inizia l’epoca dell’Olocene che comprende gli ultimi 11700 anni, con un clima piacevolmente mite. Il livello dei mari lentamente si rialzò e circa 5000-6000 anni fa raggiunsero quasi il livello attuale. Intorno a 10000 anni fa, l’uomo passa all’agricoltura e all’allevamento, e 4500 anni fa compaiono le prime grandi città del Medioriente e in Egitto. Con fasi di decadenza e crescita le città furono e sono le protagoniste della storia umana. Ma negli ultimi tempi la crescita demografica che ha portato la popolazione mondiale a raggiungere i 7,5 miliardi, le attività umane e la vertiginosa espansione delle città, con un maggior bisogno di energia proveniente principalmente da combustibili fossili, di cibo e di acqua, stanno alterando velocemente l’equilibrio chimico-fisico del nostro pianeta. Queste alterazioni lasciano tracce indelebili nei tempi geologici e per questo che secondo molti scienziati è iniziata una nuova epoca, l’epoca dell’uomo: l’Antropocene, cioè un’epoca della storia della terra caratterizzata dalla presenza dell’uomo.

Ma siamo veramente in un’epoca che possiamo chiamare Antropocene?

In realtà non dovremmo essere noi a stabilire se la nostra presenza sul pianeta ha dato origine ad un’epoca geologica, ma geologi e paleontologi del lontano futuro. Ciò che noi possiamo fare è immaginare che la nostra civiltà domani scompaia, immaginare ciò che resta di noi nei depositi sedimentari e come fossili in modo che una nuova civiltà, tra 10000 o 100000 anni o milioni di anni, analizzando depositi sedimentari e fossili, trovando prove della nostra presenza possa dire: qualcuno era già qui.

Sugli effetti delle attività umane sul nostro pianeta esiste una sterminata letteratura composta da saggi ma soprattutto di articoli scientifici che parlano di cambiamenti climatici, inquinamento atmosferico, perdita di habitat, estinzione di specie. È una letteratura frammentaria che tratta singoli argomenti di avvenimenti moderni, di secoli o di millenni passati. Ma per non perdere il quadro generale forse è utile ripercorre la storia dell’Homo sapiens 2.0 ovvero l’Homo con tutte le caratteristiche dell’uomo moderno. E allora, partiamo dai dati e dalle conclusioni di questo percorso tratti al saggio “Il pianeta umano” di Simon L. Lewis e Mark A. Maslin convinti sostenitori dell’Antropocene.

Partì dall’Africa intorno a 50000 anni fa e 40000 mila anni fa aveva invaso tutto il pianeta. A quell’epoca in tutti i continenti viveva una popolazione di grandi animali, chiamata megafauna: castori giganti di oltre 40 Kg e bradipi giganti, mammut e mastodonte americano. L’uomo ha iniziato subito a cacciare questi animali e diventò un superpredatore mondiale perché aveva ormai la capacità di pianificare, coordinare e adattare le strategie in funzione della preda. Questa megafauna si è estinta e dai reperti fossili sappiamo che l’estinzione è iniziata 50000 anni fa in coincidenza della diffusione dei nostri antenati. Secondo Paul Martin dell’università dell’Arizona che elaborò la “ipotesi di sovracaccia del Pleistocene” fu l’uomo a causare l’estinzione della megafauna. Poiché in quel periodo iniziava la fine dell’ultima glaciazione, molti ricercatori addebitarono ai cambiamenti climatici della deglaciazione la scomparsa della megafauna. Ma tra 15000 e 10000 anni fa l’epoca glaciale era finita, il clima si era stabilizzato e la megafauna era sopravvissuta sia in America del nord che in America del sud. L’uomo arriva nelle Americhe 15000 anni fa e dopo qualche migliaio di anni la megafauna scompare. «Prendiamo l’esempio del mammut lanuto, che alla fine dell’ultima glaciazione, o era glaciale, circa 10000 anni fa, era quasi estinto. L’eccezione era costituita da una popolazione di qualche centinaio di mammut sull’isola di Wrangel, a circa 140 Km a nord-est della costa siberiana orientale. Anche in questo caso, gli esseri umani erano assenti e i mammut presenti. L’innalzamento dei livelli del mare creò l’isola e ne protesse i mammut dai cacciatori umani per circa 6000 anni. Quando gli esseri umani sbarcarono sull’isola, 4000 anni fa, il mammut lanoso si estinse.

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Le zanne trovate sull’isola hanno fornito materiale genetico e prove del fatto che l’estinzione non fu causata né dalle piccole dimensioni della popolazione né dall’inincrocio. Quasi certamente, i colpevoli furono gli esseri umani appena arrivati. In definitiva per ciò che riguarda la megafauna, usando approssimazioni del numero di animali che vivevano in ciascuno di questi habitat, possiamo stimare che i pochi milioni di persone esistenti alla fine del Pleistocene, incredibilmente, uccisero un miliardo di animali di grossa taglia».  Come prova all’ipotesi di sovracaccia di Martin possiamo aggiungere la scomparsa dell’uccello bianco mansueto il “solitario di Rodrigues” e del dodo, incapaci di volare, e della foca monaca caraibica che coincise con l’arrivo del marinai europei che ne apprezzarono la carne.

La scomparsa della megafauna sconvolse anche l’ecosistema. «Essendo costituita da animali di grossa taglia, la megafauna modella gli ecosistemi. Questi animali modificano la vegetazione spezzandola e calpestandola e consumandola in grandi quantità. Ciò favorisce la crescita di prati. […] La presenza di megafauna erbivora di solito impedisce che predominino le foreste o le zone densamente boscose, producendo un aumento complessivo della biodiversità locale e regionale. […] La scarsità di megafauna durante l‘attuale interglaciale significa che il paesaggio è dominato dalla tundra di muschio, a bassa diversità, dalla tundra arbustiva e dalle foreste. L’assenza di megafauna può ristrutturare interi ecosistemi».

L’Homo sapiens portò quindi all’estinzione la megafauna sulle terre emerse, modificò l’ambiente ma non diede origine a nessuna estinzione di massa, nulla di paragonabile alle grandi estinzioni di massa della terra. Intanto che la megafauna diminuiva l’uomo ha dovuto inventarsi nuovi modi per sopravvivere: nasce l’agricoltura

«La Terra ha attraversato più di cinquanta cicli glaciale-interglaciale negli ultimi 2,6 milioni di anni, ciascuno dei quali ha prodotto un effetto profondo sul sistema Terra, anche sul clima. Al culmine dell’ultima era glaciale, appena 21000 anni fa, l’America del Nord era attraversata da uno strato di ghiaccio quasi ininterrotto dalle coste del Pacifico a quelle dell’Atlantico. Nella regione in cui era più profondo, sopra la baia di Hudson, il ghiaccio aveva uno spessore di più di 3 km e si estendeva verso sud fino a New York e a Cincinnati».

 

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Uno dei motivi di questi cicli glaciali-interglaciali fu proposto nel 1941 dal matematico e climatologo Milutin Milankovic, le oscillazione dell’orbita terrestre modificano l’insolazione della superficie terrestre facendo entrare ed uscire la terra da un’epoca glaciale. La teoria fu più avanti verificata da diversi studi, secondo i quali la terra ha oggi una configurazione orbitale simile a quella di 21000 anni fa, cioè il periodo di massima espansione degli strati di ghiaccio. Quindi noi dovremmo essere oggi in piena epoca glaciale con tutta l’Europa del nord coperta di ghiaccio fin quasi a lambire le Alpi e gli Urali e invece ci troviamo in pieno periodo interglaciale.

Ma allora dov’è il ghiaccio?

«Le bolle d’aria intrappolate negli strati di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide ci danno informazioni sulla variazione dei gas serra in passato. L’analisi delle bolle mostra che i Iivelli di gas serra erano più bassi durante i periodi glaciali freddi e più alti durante i periodi interglaciale caldi: l’anidride carbonica variò all’incirca tra 180 e 240 ppm (parti per milione) e il metano all’incirca tra 350 e 700 ppb (parti per miliardo). I livelli di gas serra sono una parte essenziale dei circuiti autorinforzanti di feedback positivo che fanno entrare o uscire il sistema Terra da un’era glaciale.  […] i dati delle carote di ghiaccio coprono gli ultimi otto periodi interglaciali caldi. In ciascuno, i gas serra iniziano a livelli molto alti e poi diminuiscono lentamente. Studiandoli. Il paleoclimatologo Bill Ruddiman si è reso conto che l’attuale periodo interglaciale, l’Olocene, è differente: in questo caso, dopo diverse migliaia di anni di calo, circa 7000 anni fa hanno iniziato a risalire i livelli di anidride carbonica e circa 5000 anni fa anche quelli di metano. L idea di Ruddiman è che i primi agricoltori abbiano causato un’inversione dell’usuale andamento discendente dell’anidride carbonica atmosferica con la deforestazione a scopi agricoli e un’inversione dell’andamento discendente del metano atmosferico con la coltivazione del riso. Questa idea ha provocato molte controversie, però è stata messa alla prova più e più volte, come si dovrebbe fare con tutte le ipotesi promettenti, e ne è emersa ancora più forte. Altri dati raccolti nell’ultimo decennio hanno corroborato I’ipotesi che gli esseri umani abbiano influenzato clima della Terra migliaia di anni fa».

In definitiva dall’inizio dell’olocene 11700 anni fa la concentrazione di 280 ppm di CO2 avrebbe dovuto diminuire e dare inizio ad una nuova era glaciale. Ma la glaciazione non si è verificata a causa dei gas serra rilasciati dai primi agricoltori che hanno trasformato enormi superfici coperte di foreste, che immagazzinavano la CO2, in terreni agricoli a basso accumulo di CO2. E Lewis e Maslin concludono: «ln modo lento e impercettibile, e senza che gli esseri umani ne fossero consapevoli, il nuovo stile di vita emerso 10500 anni fa è riuscito a differire un nuovo evento di glaciazione, producendo un impatto ambientale realmente globale».

Con la comparsa e la diffusione dell’agricoltura il clima, invece di procedere verso la glaciazione, rimase mite per parecchie migliaia di anni, iniziarono i commerci, la popolazione mondiale dai circa 10 milioni inziali passa a 500 milioni, sorgono imperi e grandi città. 

Il supercontinente Pangea si separò 200 milioni di anni fa. I continenti che si formarono andarono alla deriva e costituiscono i continenti come li conosciamo oggi. Assieme ai continenti andarono alla deriva anche tutti i viventi che si trovavano su quelle terre. I viventi rimasti intrappolati su ciascuno dei continenti seguirono percorsi evolutivi diversi. Attraverso lo stretto di Bering, 15000 anni fa, gli uomini raggiunsero le attuali Americhe e nell’arco di 3000 anni si diffusero in tutto il continente. Nel 1492 Colombo sbarca in America. Da allora iniziò la navigazione intercontinentale. Quindi, dopo 12000 anni gli europei incontrano i nativi americani e dopo un secolo i nativi americani stimati in circa 60 milioni, decimati dalle malattie trasmesse dagli europei e dalla carestia si ridussero a circa 5 milioni. Crollarono i grandi imperi e con essi l’agricoltura. Enormi distese di terreni agricoli, nell’arco di circa un secolo, furono invase da foreste che immagazzinarono enormi quantità di anidride carbonica sottraendola all’atmosfera. I dati ricavati dai carotaggi dell’Antartide di quel periodo ci indicano una diminuzione dell’anidride carbonica iniziò dal 1520 fino al 1610 causando un raffreddamento del pianeta rilevabile nei depositi geologici di tutto il mondo.

In realtà come Lewis e Muslin evidenziano, intorno al 1350 iniziò la cosiddetta “piccola era glaciale” causata forse dalla variabilità interna fra le parti interagenti del sistema Terra. La diminuzione dell’anidride carbonica provocata dal crollo dell’agricoltura nelle Americhe causò un abbassamento della temperatura che si sommò e amplificò un fenomeno già in atto.

Con i viaggi intercontinentali iniziati nel Cinquecento oltre agli uomini e i loro patogeni viaggiarono anche piante e animali da e per le Americhe e i processi evolutivi di molte specie cambiarono radicalmente.

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 Attraverso questi scambi, che Lewis e Muslin chiamano “Globalizzazione 1.0”, cambiò quindi non solo la storia umana ma anche la storia della Terra. L’accelerazione degli scambi commerciali dal Novecento ai nostri giorni, sempre secondo gli autori ha determinato una “Globalizzazione 2.0” riunificando di fatto, dopo 200 milioni di anni, i continenti in un nuova Pangea.

Un secolo più tardi, con l’avvento della rivoluzione industriale, aumentò il benessere e la popolazione raggiunse un miliardo all’inizio dell’ottocento e all’inizio del novecento era già 2 miliardi. Con il progredire della rivoluzione industriale e l’aumento della popolazione, oggi a 7,5 miliardi, aumenta il fabbisogno di energia. Inizia lo sfruttamento massiccio dei combustibili fossili che libera nell’atmosfera enormi quantità di anidride carbonica che fa aumentare l’effetto serra e con esso la temperatura creando un periodo superintergalaciale.

In conclusione, il periodo interglaciale Olocene, iniziato 11700 anni fa avrebbe già essersi concluso e noi dovremmo essere sotto una coltre di ghiaccio. Tra 7000 e 5000 anni fa l’avvento dell’agricoltura, con la trasformazione delle foreste in aree agricole e l’allevamento (che producono Metano, un gas serra 20 volte più potente dell’anidride carbonica) furono immesse nell’atmosfera grandi quantità di gas serra che bloccò il percorso dell’Olocene stabilizzò la temperatura del pianeta dando origine ad un clima mite. L’avvento dell’era industriale con il massiccio l’utilizzo dei combustili e il conseguente aumento dei gas serra ha invertito il percorso dell’Olocene spingendolo fino ad una deglaciazione e dando origine a ciò che Lewis e Muslin chiamano periodo superinterglaciale. (Per inciso Lewis e Maslin scrivono: «Per quanto inverosimile nello scenario politico odierno, in teoria potremmo ridurre l’anidride carbonica atmosferica e poi mantenere un clima interglaciale costante, […]  la composizione chimica dell’atmosfera, l’acidità degli oceani, l’equilibrio energetico nelle nostre mani».)

E allora, per ritornare alla domanda iniziale: siamo in un epoca che possiamo definire Antropocene?

Stiamo sottoponendo la Terra a colossali sconvolgimenti ambientali, dal cambiamento del ciclo del carbonio alle microplastiche, dai residui dei metalli dovuti all’estrazione minerarie, ai residui dei manufatti. A tutto ciò bisogna aggiungere il full out radioattivo rilasciato dalle esplosioni nucleari che si sono succeduti dal 1945 fino al 1960, in particolare Carbonio 14, che durerà almeno per 50000 anni e Cesio 137e plutonio 239 e 240, che dureranno per milioni di anni. Il risultato delle attività umane si conserverà nel ghiaccio dei ghiacciai, e nei sedimenti marini e dopo qualche milione di anni nelle rocce sedimentarie. L’Homo sapiens ha dato origine ad una nuova economia globale e portato la Terra verso un nuova traiettoria evolutiva. I futuri geologi troveranno nelle rocce sedimentarie e nei fossili evidenti tracce della nostra presenza e sicuramente potranno concludere che qualcuno era già li prima di loro. La maggior parte degli scienziati ammette che stiamo vivendo in un’epoca dove le attività umane stanno sconvolgendo il nostro pianeta e come per Lewis e Maslin: «Possiamo concludere con certezza che viviamo nell’Antropocene».

Alcuni scienziati pur essendo sostenitori dell’Antropocene hanno sollevato dubbi su punti specifici. Per esempio nel 2002 su Scienze on line in: “Il ruolo dei gas serra nelle glaciazioni” viene messo in evidenza uno studio di alcuni scienziati dell’Università di Sheffield pubblicato sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences. I ricercatori, guidati da David Beerling, hanno utilizzato le foglie fossili per determinare quanta anidride carbonica era presente nell'aria durante i vari periodi dell'era glaciale. Le foglie presentano sulla superficie dei pori, chiamati stomi, che si aprono e chiudono a seconda dei livelli di anidride carbonica. «Con grande sorpresa – commenta Beerling – abbiamo scoperto che i livelli di anidride carbonica non sono saliti in modo significativo quando le calotte polari iniziarono a sciogliersi. Questo suggerisce che un altro fattore, oltre al riscaldamento globale, fu responsabile della fine dell'era glaciale. Forse il Polo Sud si è semplicemente spostato verso un clima leggermente più caldo».

Nel 2012 è stato pubblicato sulla rivista “Science”, da Alan Cooper del South Australian Museum di Adelaide, in Australia, e colleghi uno studio su registrazioni paleoclimatiche. Secondo i dati raccolti da questi scienziati, 41.000 anni fa si verificò un’inversione del campo magnetico terrestre che provocò un profondo cambiamento della concentrazione e della circolazione dell'ozono in atmosfera, influendo sul clima globale in coincidenza con l'estinzione della megafauna e la scomparsa dei Neanderthal. Questi studi dimostrerebbero inoltre che l'intensità del campo magnetico terrestre è andata affievolendosi di circa il 9 per cento negli ultimi 170 anni, con un rapido movimento del polo nord magnetico, alimentando le ipotesi che una sua inversione sia imminente. Questa previsione ha suscitato molta preoccupazione, perché un nuovo evento d’inversione dei poli potrebbe causare una maggiore esposizione alle tempeste solari, con danni stimati in molti miliardi di dollari al giorno.

Ma l’Antropocene sta determinando la sesta estinzione di massa?

La maggior parte degli scienziati è d’accordo nel ritenere che l’Antropocene sta avendo un impatto devastante sulla Biosfera e molti parlano addirittura di sesta estinzione di massa, l’estinzione dell’Antropocene.

Si calcola che normalmente scompaiono almeno 10 specie l’anno per cause naturali. La causa di queste scomparse è da addebitarsi, alla deriva dei continenti, a variazioni climatiche locali, ad esplosioni di vulcani cioè ad una naturale scomparsa del loro habitat.

Secondo molti scienziati già da oltre un secolo il tasso di estinzioni è aumentato passando a circa 1000 specie estinte ogni anno. Responsabile di questa accelerazione di estinzioni di specie, definita da molti la sesta estinzione, sono le attività umane che modificano continuamente l’habitat”.

Anche se nei secoli scorsi diversi intellettuali avevano già messo in evidenza i guasti causati all’ambiente e agli animali dalle attività umane, il campanello di allarme a livello planetario è squillato per la prima volta intorno al 2000.

Come riportato da Le Scienze, “Una nuova estinzione di massa”. Sei grandi insiemi di dati riguardanti piante, uccelli e farfalle, raccolti in Gran Bretagna negli ultimi 20-40 anni, sono stati usati per confrontare il destino dei tre gruppi. Le informazioni sugli uccelli sono riassunte in due pubblicazioni ("The Atlas of Breedings Birds in Britain and ireland", per il periodo 1968-1972, e "The New Atlas of Breeding Birds of Britain and Ireland 1", per il periodo 1988-1991) curate dal British Trust for Ornithology (BTO). «Abbiamo eccellenti informazioni sui cambiamenti nella distribuzione e nel numero di uccelli in Gran Bretagna e in Irlanda, - spiega Jeremy Greenwood del BTO - e l'informazione globalmente è migliore di quella su ogni altro gruppo di animali o piante. L'analisi dei dati comprensivi su tutte le 201 specie di uccelli native in Gran Bretagna e Irlanda mostra che, nell'arco di vent'anni, la distribuzione del 56 per cento delle specie è diminuita, dato che va confrontato con un declino del 71 per cento delle specie di farfalle (nell'arco di vent'anni) e del 28 per cento delle specie di piante (nell'arco di quarant'anni). Il fatto che le perdite si osservino anche nelle farfalle e nelle piante, oltre che negli uccelli, dimostra come le attività umane presentino un impatto a 360 gradi sulla flora e sulla fauna selvatica». Lo studio, presentato in due articoli di Jeremy Thomas del Natural Environment Research Council (NERC) Centre for Ecology and Hydrology di Dorchester pubblicati sulla rivista "Science", sostiene l'ipotesi secondo cui il mondo sta sperimentando un'estinzione di massa paragonabile alle cinque grandi estinzioni precedenti.

Nel 2002 Mick Frogley, dell'Universitá del Sussex in “L’uomo più distruttivo delle glaciazioni” in Le Scienze 2002, ha esplorato un sito vicino al lago Ioannina, nella parte nordoccidentale della Grecia Frogley ha messo in evidenza come la deforestazione e il pascolo selvaggio degli ultimi 5000 anni hanno distrutto importanti specie di alberi che erano sopravvissute all'ultima era glaciale. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista "Science".  Dice Frogley «Durante l'era glaciale, piante e animali dei climi temperati si rifugiarono in aree protette, soprattutto nelle regioni meridionali dell'Europa, dove le condizioni climatiche erano meno estreme. Quando i ghiacci si ritirarono, queste specie poterono ricolonizzare le regioni settentrionali. Abbiamo analizzato i pollini fossili dei sedimenti del fondo del lago, possiamo vedere chiaramente quali specie di alberi furono capaci di sopravvivere a lunghi periodi glaciali in questa area, e quali sono state poi distrutte dall'uomo."

Nel 2017 Scienze on line in “Sull’orlo della sesta estinzione di massa” Due ecologi della Stanford University e dell'Università del Messico Paul R. Ehrligh e Gerardo Ceballos, In un articolo pubblicato su “Proceedings of the National Academy of Sciences” hanno presentato uno studio sulle estinzioni delle popolazioni dei mammiferi di medie e grandi dimensioni. «A causa della diversità e varietà degli habitat utilizzati dai mammiferi, essi possono servire come un indicatore di ciò che sta avvenendo globalmente agli animali e alle piante,» dice Ehrlich. I ricercatori hanno confrontato la distribuzione geografica storica di 177 specie di mammiferi tra il 1990 e il 2015 con la loro distribuzione attuale. I risultati hanno mostrato che queste specie hanno collettivamente perso più del 50 per cento del loro areale storico. Si è visto anche che le estinzioni delle popolazioni erano concentrate dove le attività umane sono più dense. Secondo gli autori, anche le stime più conservative che derivano dal loro studio indicano che circa il 2 per cento delle popolazioni mondiali di mammiferi è già stato perso. Il pericolo di un'estinzione di massa, forse peggiore di quelle del passato, potrebbe quindi essere reale.

 Si potrebbe continuare a lungo a elencare il numero impressionante di lavori pubblicati negli ultimi vent’anni che riguardano il declino o scomparsa di specie di animali, insetti e piante. Nella maggior parte dei casi questi lavori sono rimasti materia di confronto tra gli esperti. Alcuni anni fa è emerso che il rischio di estinzione coinvolgeva anche le api e altri impollinatori con conseguenze catastrofiche per l’approvvigionamento del nostro cibo.

 

Animali volanti
 

 In quella occasione, l’allarme per la sorte delle api si diffuse rapidamente con forte preoccupazione in tutto il mondo. In altre parole, non siamo molto coinvolti se alcune specie si estinguono, se non viene intaccata la nostra sopravvivenza.

Naturalmente alcuni scienziati non sono preoccupati della scomparsa di specie perché, come le grandi estinzioni del passato ci insegnano, le nicchie lasciate libere verranno colonizzate da altre specie. E inoltre, essi aggiungono, che diritto abbiamo noi di decidere quali specie devono sopravvivere e quali specie non hanno diritto di emergere.

Eppure, una riflessione si impone perché come scrive Massimo Sandal in “La malinconia del Mammut” 2019, quando è scomparso l’ultimo dinosauro non è scomparso solo un dinosauro ma è scomparso l’unico dinosauro dell’universo.

E allora possiamo concludere questo lungo cammino riguardante “la vita, le estinzioni di massa, l’Antropocene” con le parole di Lewis Dartnell tratte dal capitolo “Apocalisse” del saggio di Jim Al-Khalili in “Il futuro che verrà”: «Fare delle previsioni esatte sul ritmo del cambiamento climatico, e dei suoi effetti locali, è estremamente difficile, in presenza di un sistema complesso come quello costituito da atmosfera terrestre, oceani e masse continentali, con tutti i cicli di retroazione implicati. […] Il rischio è che il cambiamento climatico possa verificarsi così rapidamente che le nostre infrastrutture si rivelino incapaci di adattarsi, portando al collasso la civiltà moderna».

Ma questa è una storia che deve essere ancora scritta.

 

                                                                                  Giovanni Occhipinti

 

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