Post n. 18a
I costituenti di acidi nucleici e proteine hanno
origine extraterrestre?
Tutti gli organismi viventi sono strutture più o meno complesse ma tutti non possono fare a meno di 2 macromolecole fondamentali: gli acidi nucleici o cromosomi costituiti da un gruppo fosfato e due composti organici Ribosio e Basi azotate, depositari dell’informazione genetica, e le proteine, in particolare gli enzimi che controllano le reazioni che avvengono all’interno di tutti gli organismi viventi, i cui costituenti sono gli amminoacidi. I costituenti degli acidi nucleici e delle proteine sono gli stessi, in qualità e quantità, in tutti gli organismi viventi. Ciò ha portato gli scienziati a concludere che tutti gli organismi estinti e viventi sul nostro pianeta discendono da un singolo organismo vivente ancestrale: il progenitore universale. In inglese viene denominato last universal common ancestor, (LUCA), l’ultimo progenitore universale comune. Questo spiegherebbe anche una verità indiscutibile: la vita è unitaria.
Acidi nucleici e proteine sono inoltre
interdipendenti nel senso che l’acido nucleico (spesso identificato come il
software) contiene il programma di come sintetizzare le proteine. Ma l’acido
nucleico da solo non riesce a sintetizzarsi e ha bisogno delle proteine
(hardware) per essere sintetizzato. Ecco perché sono interdipendenti: l’uno ha
sempre bisogno dell’altro.
I primi organismi, anche se molto semplici,
li dovevano contenere entrambi. Dobbiamo andare quindi alla ricerca delle
molecole fondamentali, cioè i costituenti, che hanno dato origine a queste
macromolecole.
Ma
questi costituenti, hanno un’origine extraterrestre?
Che cosa sia successo veramente 13,6
miliardi di anni fa non lo sappiamo, sappiamo però che è successo e lo abbiamo
chiamato Big Bang. Sappiamo anche che, dopo 380 mila di anni dal Big Bang,
quando la temperatura dell’universo di allora scese intorno a duemila gradi,
gli elettroni(-) e i protoni (+) si legarono dando origine all’idrogeno (H),
elio (He), e piccole quantità di Litio (Li). L’attrazione gravitazionale tra
gli atomi di questi elementi diede origine alle prime stelle. Fu all’interno
delle stelle massicce, ad una temperatura di centinaia di milioni di gradi
attraverso la fusione nucleare che, partendo
dall’idrogeno, si formarono altri elementi chimici e tra questi il Carbonio
(C), l’Azoto (N), e l’Ossigeno (O) cioè quegli elementi che costituiscono il
99% del nostro corpo. Il collasso gravitazionale di queste stelle, a migliaia
di milioni di gradi, completò il quadro dando origine a tutti gli altri
elementi naturali. E allora, per quanto riguarda gli elementi, non c’è alcun
dubbio: siamo “figli” delle stelle.
Ma
siamo anche figli dello spazio? Cioè le sostanze fondamentali per l’origine
della vita, amminoacidi, zuccheri e basi organiche, provengono dallo spazio?
L’idea, lanciata per la prima volta da Juan
Orò nel 1961 e ripresa negli anni settanta da F. Hoyle e C. Wickramasinghe, in
sé ha un suo fascino.
Sappiamo che il nostro sistema solare ha
avuto origine 4,6 Miliardi di anni fa dalla condensazione di una nube di gas e
polveri. Il nostro pianeta era all’inizio martoriato dagli impatti di meteoriti
e asteroidi. Gli impatti, nel tempo, si
sono diradati ma non sono mai cessati. Alcuni di questi meteoriti, precipitati
negli ultimi due secoli, sono stati raccolti e studiati. In totale sono
conservati oltre un migliaio di meteoriti ma solo alcuni, denominate condriti
carbonacee, presentano un interesse per i nostri scopi. Questi meteoriti datati
4,5 miliardi di anni fa, hanno avuto origine durante la formazione del sistema
solare. L’analisi chimica, condotta agli inizi degli anni settanta in questi
frammenti extraterrestri, ha evidenziato la presenza di amminoacidi,
costituenti delle proteine. Questi amminoacidi si presentano nelle due forme
Destro e Levo, come esamineremo ampiamente più avanti, e quindi di sicura
provenienza extraterrestre e non biologica. Inoltre sono stati individuati
anche idrocarburi (costituiti da H e C) di peso molecolare anche elevato e la
presenza di tracce di purine e pirimidine. Queste ultime sostanze hanno
struttura molecolare abbastanza vicina a quella delle basi azotate. In nessuno
caso è stata però individuata la minima traccia di zuccheri e basi azotate,
cioè i costituenti degli acidi nucleici, mentre è ormai accertata la presenza
di amminoacidi. Quindi dalle profondità dello spazio ci arrivano testimonianze
di processi chimici che hanno dato origine a sostanze fondamentali per
l’origine della vita. Rimane però ancora da chiarire se le molecole organiche
dei meteoriti facevano già parte della nube di gas e polveri che ha dato
origine al sistema solare o se esse si siano formate durante la fase di
condensazione della nube stessa attraverso apporti di energia.
Intorno alla fine degli anni settanta,
l’idea di una origine extraterrestre delle sostanze fondamentali per l’origine
della vita ricevette un forte impulso. Nelle nubi interstellari di gas (più o
meno ionizzati) e polveri, i radioastronomi hanno individuato diversi sostanze
organiche semplici e tra questi aldeide formica (HCHO) e acido cianidrico
(HCN). Un elenco completo di tutte le sostanze organiche (circa 40) individuate
nello spazio fino agli inizi degli anni ottanta è contenuto in un articolo di
Leo Blitz: Complessi giganti di nubi
molecolari nella Galassia, Le Scienze 1982. Però di molecole un po’ più
complesse, importanti per l’origine della vita, nessuna traccia.
Si pensava di poterle individuare in un
prossimo futuro, ma non era ancora chiaro in che modo queste molecole sarebbero
arrivati dallo spazio sul nostro pianeta. Come singole molecole sarebbero state
distrutte dall’ultravioletto solare, letale non solo per gli organismi viventi
ma anche per le molecole fondamentali per l’origine della vita. Se le molecole
fossero state contenute all’interno di asteroidi caduti sul nostro pianeta,
sarebbero state distrutte dall’enorme calore sprigionato dall’impatto o rimasti
imprigionati all’interno dei frammenti.
Comunque, intorno alla metà degli anni
ottanta, la maggior parte degli scienziati impegnati nella ricerca in chimica
prebiotica, era dell’opinione che l’origine extraterrestri di sostanze
organiche dimostrasse solo la facilità con cui queste molecole possono essere
sintetizzate in presenza di carbonio, idrogeno, azoto e ossigeno.
Tale opinione fu anche ben sintetizzata da
Mario Ageno, allievo di Enrico Fermi e collaboratore di Edoardo
Amaldi, attento e profondo studioso di Biofisica che in “Lezioni di Biofisica 3”, 1984
concludeva: «Anche se una minima frazione di esse riuscisse alla fine a
sopravvivere e a raggiungere in qualche modo l’idrosfera del pianeta,
difficilmente l’evoluzione chimica potrebbe procedere oltre, fino alla comparsa
di organismi viventi, senza un apporto continuo e di ben altro ordine di
grandezza di sostanze di nuova sintesi di provenienza locale».
La scoperta di molecole organiche nello
spazio, pose però una riflessione. Se le nubi interstellari contengono molecole
organiche prebiotiche, esse dovevano essere presenti anche nella nube che ha
dato origine al sistema solare. Si è pensato quindi che, durante la formazione
del sistema solare, nei pianeti in prossimità del sole, per l’enorme calore,
queste molecole fossero state distrutte. Esse si salvarono però nelle zone più
fredde, cioè ai confini del sistema solare, dove vennero inglobate nelle
comete. Si è diffusa quindi, tra gli scienziati, la convinzione che le comete
fossero un residuo della nebulosa che ha dato origine al sistema solare e che
in esse fossero contenute le sostanze organiche necessarie per l’origine della
vita.
Inizia
la caccia alle comete.
Intorno
alla metà degli anni novanta nella chioma delle comete Hyakutake e Hale-Bopp
sono state individuate composti organici e tra questi aldeide formica (HCHO) e
acido cianidrico (HCN). Però di molecole un po’ più complesse, importanti per
l’origine della vita, ancora nessuna traccia.
Intanto si è osservato che, quando nello
spazio interstellare molecole di acqua, metanolo, ammoniaca e idrocarburi si
depositano su polvere silicea, si formano dei grani gelati. Secondo alcuni
scienziati, all’interno di questi granuli, si sarebbero potuto accumulare
sostanze organiche anche complesse e lo strato di ghiaccio li avrebbe protetti
dall’ultravioletto. Altri ricercatori ritengono che, se lo strato di ghiaccio
non fosse stato sufficientemente spesso, le sostanze organiche sarebbero state
spezzate dai raggi ultravioletti. I residui, non potendosi disperdere nello
spazio, avrebbero potuto prima o poi reagire dando origine a molecole più
complesse. Entrando nell’atmosfera le sostanze organiche, contenute nelle cavità
del granulo, sarebbero state protette dal surriscaldamento. Granuli gelati sono
stati riprodotti in laboratorio, denominati “analoghi di granuli gelati”. In
questi “analoghi” sono stati individuati sostanze organiche semplici come
chetoni, eteri ed alcoli.
Comunque a rileggere l’articolo di M.
Bernstein, A. Sandford e J. Allamandola: “Dallo spazio le molecole della vita”, Le Scienze, 1999, tolta l’enfasi,
comprensibile per chi lavora alla NASA, non c’è traccia di molecole importanti
per l’origine della vita.
Nel 2002,
dopo vent’anni dalla pubblicazione dell’articolo di Leo Blitz e quindi dopo
altri vent’anni di ricerche di radioastronomia, viene pubblicato da P.
Ehrenfreund e al.: “Astrophysical and astrochemical insights into the origin of
life” Rep. Prog. Phys. 65
2002 1427–1487 un elenco aggiornato, circa 70, di sostanze organiche
individuate dalla radioastronomia nello spazio. Tra queste sostanze Ehrenfreund
include la Glicina, un amminoacido molto semplice che fa parte delle nostre
proteine, ma aggiunge un punto interrogativo. Anche in questo nuovo elenco, non
c’è ancora traccia di molecole complesse importanti per l’origine della vita.
Nello stesso articolo Ehrenfreund pubblica
l’elenco delle sostanze individuate nelle comete Hyakutake e Hale-Bopp, ca 35,
un numero addirittura inferiore alle 70 sostanze della radioastronomia, e tutte
già individuate nello spazio interstellare. Non sembra, quindi, che all’interno
delle comete avvengano particolari reazioni di sintesi. Nella tabella Ehrenfreund
include ancora la Glicina ma stavolta senza il punto interrogativo; però a
commento della tabella scrive: «Glycine, the simplest amino acid, has not yet
been detected, […]».
Nel 2006 sono stati riportati a terra le
polveri della cometa Wild 2, prelevati con la missione Stardust. L’analisi ha
evidenziato la presenza di ammine e molecole costituite da lunghe catene di
atomi di carbonio. Nel 2009, dopo tre anni dalla pubblicazione dei primi dati,
la NASA annuncia con grande enfasi che nelle polveri di Wild 2, rifatte le
analisi, sono state trovate tracce di Glicina.
Che
dire; finalmente, ce l’hanno fatta.
È
opportuno per concludere fare qualche precisazione partendo da alcuni
parametri. Le stelle massicce, che si formano all’interno delle immense nubi di
gas e polveri, hanno una vita media di circa 3 milioni di anni e la maggior
parte della loro energia la emettono sotto forma di raggi ultravioletti. Anche
il nostro sole emette raggi ultravioletti che distruggerebbero amminoacidi e
basi azotate fino ai confini del sistema solare. Quando il sole ebbe origine
l’intensità delle radiazione era diecimila volte superiore a quella odierna. Lo
spazio è quindi permeato da raggi letali non solo per gli organismi viventi, ma
anche per molecole importanti per l’origine della vita.
Nelle nubi interstellari la materia è
estremamente rarefatta. Alla temperatura di -260°C la densità media è di 100
molecole di idrogeno per cm3 e piccole frazioni di azoto, ossigeno e
carbonio. Questi elementi, atomizzati o ionizzati dai raggi ultravioletti,
attraverso urti casuali hanno dato origine a sostanze molto semplici come
aldeide formica, acido cianidrico e ammine. Parte di queste sostanze vengono
distrutte dai raggi ultravioletti per poi magari riformarsi più tardi in altri
luoghi. Ora, le molecole fondamentali per l’origine della vita come
amminoacidi, zuccheri e basi azotate, anche se sono molecole di peso molecolare
relativamente basso, non sono così semplici ma hanno una loro complessità. Qual
è la probabilità che molecole di questo tipo possano essersi formate nello
spazio, da atomi e ioni estremamente rarefatti, per urti casuali e a
temperature così basse; e quale la probabilità che possano aver resistito ai
raggi ultravioletti. Il buon senso di cartesiana memoria ci suggerisce che tale
probabilità è praticamente zero.
E poi, anche se qualche molecola utile
all’origine della vita si dovesse formare quale potrebbe essere la sua utilità.
La quantità di molecole necessarie all’origine della vita è di un tale ordine
di grandezza che lo spazio ne dovrebbe essere permeato e invece lo spazio è
permeato di raggi che distruggono tali molecole. E allora, per quanto riguarda
le sostanze fondamentali per l’origine della vita, non siamo “figli” dello
spazio.
Lo spazio con i suoi raggi ultravioletti è
la dimora della morte. Ne sapevano qualcosa i primi organismi viventi sulla
terra, che erano costretti a ripararsi nel fango o, come vedremo più avanti, in
acque oltre la profondità di 10 metri. Soltanto dopo circa due miliardi di anni
la concentrazione dell’ossigeno, prodotto dai microorganismi autotrofi e
liberato nell’atmosfera ha dato origine allo scudo di Ozono (O3), ha
bloccato i raggi ultravioletti e la vita è riuscita a strappare alla morte
qualche chilometro di spazio e occupare la superfice e l’atmosfera del pianeta.
Però, gli organismi viventi esistono grazie
al fatto che lo spazio è la dimora della morte. La vita è stata possibile sulla
terra, grazie al fatto che lo spazio è stato sterilizzato dai raggi
ultravioletti.
Le sostanze organiche a noi note sono ormai,
sulla terra, oltre un milione e mezzo. Immaginate se nello spazio, attraverso
urti casuali e in assenza di raggi ultravioletti, si fossero originate le
sostanze fondamentali per l’origine della vita e centinaia di migliaia di altre
sostanze organiche la maggior parte dannose per l’origine della vita. Arrivati
sulla terra, in un calderone oceanico, da queste sostanze solo un miracolo
potrebbe aver dato origine alla vita.
E
allora, le molecole organiche che la radioastronomia individua nello spazio
altro non sono che ceneri di una perenne cremazione, grazie alla quale la vita
ha potuto avere origine sulla terra.
Quanto sopra esposto porta a concludere che
lo spazio non è la sede dell’origine delle sostanze fondamentali per l’origine
della vita.
Gli impatti cometari sul nostro pianeta
hanno, probabilmente, ripristinato in epoca prebiotica l’atmosfera primitiva,
aggiunto acqua al nostro pianeta e probabilmente anche qualche sostanza
organica semplice tipo aldeide formica e acido cianidrico. È anche probabile
che durante la fase di contrazione della nube primitiva, da composti presenti
nella nube come metano, ammoniaca, idrogeno e acqua, attraverso apporti di
energia sono stati prodotti parecchie sostanze organiche e tra questi gli
amminoacidi. Alcuni di questi amminoacidi sono stati imprigionati nei
meteoriti, altri devono essere stati distrutti dall’ultravioletto solare e
dall’elevata temperatura di contrazione della nube.
È quindi sempre valida la conclusione cui erano
giunti gli scienziati negli anni ’80: i processi naturali, in condizioni
prebiotiche, sul nostro pianeta, devono essere stati capaci di produrre le
sostanze fondamentali per l’origine della vita e che il contributo di sostanze
organiche semplici, proveniente dallo spazio, semmai c’è stato, è da
considerarsi ininfluente.
I
costituenti di acidi nucleici e proteine hanno un origine terrestre? La teoria
del brodo prebiotico.
Le proteine
costituiscono tessuti e organi, permettono alle cellule di comunicare,
controllano ciò che deve entrare e uscire dalla cellula, fungono da anticorpi.
Tutti gli organismi viventi hanno anche una
complessità di funzioni interdipendenti che permette loro: la nutrizione, la
crescita, la riproduzione, l’evoluzione, la reazione agli stimoli, la morte.
Tutte queste funzioni vitali hanno in comune il metabolismo; cioè quel processo
di reazioni chimiche coadiuvate da proteine (enzimi) che permettono agli
organismi viventi di funzionare. All’interno della cellula si trovano migliaia
di enzimi che regolano e programmano migliaia di reazioni chimiche, nessuna
reazione biologica e nessuna delle funzioni sopra elencate può avvenire senza
il loro intervento, nemmeno la sintesi degli acidi nucleici. Le proteine sono
macromolecole i cui costituenti sono gli amminoacidi.
Ma gli amminoacidi,
in epoca prebiotica, erano presenti sul nostro pianeta? E poi, i costituenti
organici degli acidi nucleici, Ribosio e Basi azotate erano anch’essi presenti?
Intorno al 1870 in una lettera ad un amico Darwin scriveva: «Se (ed è un
se bello grosso) potessimo immaginare che in una piccola pozza calda, ricca di
ammoniaca, sali fosforici, luce, calore, elettricità, ecc., si fosse formato
chimicamente un composto proteico, pronto a passare attraverso cambiamenti
ancor più complessi [...]». Ma la posiziona ufficiale di Darwin era ferma e
chiara: allo stato attuale delle conoscenze non è possibile (ultra vires) formulare un teoria
sull’origine della vita.
Nel 1924 A. I. Oparin, che allora ricopriva la cattedra di Biochimica
vegetale all’università di Mosca traduce quest’idea in una sorta di teoria
scientifica e la pubblica in un libro: “Origine della vita”1924. Secondo Oparin
sul nostro pianeta il carbonio era legato ai metalli sotto forma di carburi.
Questi venendo a contatto con vapore acqueo hanno reagito dando origine a
idrocarburi e per successive reazioni a tanti altri composti organici. Quando
la temperatura sulla superficie della terra scese sotto i 100°C, l’acqua iniziò
a condensare e tutti questi composti, contenuti nell’atmosfera, vennero
trascinati in un “primitivo oceano bollente” dove iniziarono a reagire formando
molecole sempre più grandi. L’aggregazione successiva di queste macromolecole avrebbe
dato origine a particelle di gel, “coacervati”. I coacervati organici avrebbero
assorbito e assimilato sostanze dall’ambiente e successivamente, dividendosi,
avrebbero dato origine a “organismi primitivi” alcuni capaci di metabolizzare.
Il processo evolutivo e la selezione naturale avrebbero dato origine, alla
fine, a tutti gli organismi viventi.
Secondo Mario Ageno (opera citata): «L’idea fondamentale è certamente
molto brillante e non perde il suo interesse neppure oggi. Ciò tuttavia non
deve far dimenticare che una simile «teoria» passa sotto silenzio tutti i
grossi problemi, tutte le più grosse sfide che l’idea di una origine della vita
dalla materia inorganica per cause naturali pone alla nostra mente».
Nel 1929 J. B. S. Haldane, senza conoscere le idee di Oparin, pubblica
un breve articolo sull’ origine della vita. Secondo Haldane l’atmosfera
primitiva non conteneva Ossigeno ma, probabilmente, idrogeno (H2),
acqua (H2O), ammoniaca (NH3), e biossido di carbonio (CO2).
Molecole più complesse si sarebbero formate nell’atmosfera per effetto delle
radiazioni solari. Questi composti organici, trascinati dalle piogge si
sarebbero accumulati in un oceano primitivo dove reagendo avrebbero formato
molecole complesse dando origine ad un “brodo caldo diluito” e qui avrebbero
avuto origine i primi organismi. Il brodo caldo diluito fu subito tradotto in
“Brodo Primordiale”; nata la metafora, inizia la teoria.
Intanto nelle atmosfere di Giove,
Saturno e Urano furono scoperte metano (CH4) e ammoniaca.
Intorno al 1950 con H. Urey e S. Miller inizia un programma operativo di
ricerche. In particolare, utilizzando una miscela di idrogeno (H2),
acqua (H2O), ammoniaca (NH3), e metano (CH4),
S. Miller con apporto di energia (scariche elettriche), riuscì a produrre
amminoacidi, che sono componenti delle proteine, e molte altre sostanze
organiche. Nasce in questo periodo la chimica prebiologica che si propone di
individuare, oltre agli amminoacidi già scoperti, la formazione delle molecole
fondamentali per l’origine della vita e la loro sintesi in un ambiente simile a
quello della terra all’epoca della comparsa della vita. La scoperta sollevò un
grande entusiasmo tra gli scienziati e sembrava che, ben presto, si sarebbe
riusciti a svelare il mistero della vita.
Negli anni che seguirono furono compiute diverse verifiche che
confermarono i risultati dell’esperimento di Miller. Inoltre diversi
ricercatori hanno eseguito esperimenti sia variando la composizione della
miscela gassosa sia le fonti di energia. Tutti questi lavori hanno confermato
che in epoca prebiotica, sul nostro pianeta, era possibile la sintesi di un
grande numero di sostanze organiche e tra queste spesso erano presenti
amminoacidi. Attraverso questi esperimenti è stata dimostrata la presenza, in
epoca prebiotica, di circa 60 amminoacidi diversi. Inoltre è stata dimostrata
anche la presenza di acido cianidrico, (HCN), precursore delle purine, di
aldeide formica, (HCHO), precursore del ribosio e di altre importanti sostanze
organiche tra cui l’urea. Non bisogna
sottovalutare l’importanza di queste piccole molecole in quanto esse potrebbero
essere state i precursori di zuccheri, basi azotate, e amminoacidi. Infatti il
Ribosio, molecola fondamentale per RNA, è un pentamero dell’aldeide formica
(HCHO) nel senso che cinque molecole di aldeide formica potrebbero dare origine
a una molecola di ribosio. E l’adenina, base azotata fondamentale per gli acidi
nucleici, è un pentamero dell’acido cianidrico (HCN). In questi esperimenti
però Ribosio e Basi azotate, costituenti degli acidi nucleici, non sono stati
mai individuati. Essi comunque dovevano essere presenti e come vedremo si sono
probabilmente formate per altre vie. Tutto ciò porta a concludere che sul
nostro pianeta i processi naturali possono aver prodotto le sostanze
fondamentali necessarie all’origine della vita.
È rimarchevole il fatto che le stesse sostanze, in particolare gli
amminoacidi, come abbiamo già illustrato, siano stati trovati anche nei
meteoriti risalenti all’epoca della formazione del nostro sistema solare. La
scoperta degli amminoacidi negli esperimenti di Miller e la loro presenza nei
meteoriti dimostra, secondo gli scienziati, la facilità di sintesi di questi
composti. Manfred Eigen in riferimento agli esperimenti alla Miller (opera citata),
afferma: «Ciò che rende significativi questi esperimenti è non tanto il fatto
che si formino in generale amminoacidi, ma che le loro frequenze relative
corrispondano a quelle che si riscontrano in natura, e in particolare nei
composti organici scoperti nei meteoriti.»
Agli inizi degli anni ’90, alcuni ricercatori hanno messo in dubbio la
presenza di un’atmosfera primordiale costituita da CH4, NH3,
H2O e H2. Questi ricercatori hanno ipotizzato
un’atmosfera primordiale costituita da CO2, N2, e H2O,
e in tali condizioni la formazione degli amminoacidi con apporti di energia non
si verifica. Miller ha definito questi lavori ipotesi senza dati a sostegno.
Nessuna ricerca seria ha mai messo in dubbio la presenza di amminoacidi in
epoca prebiotica.
Possiamo
concludere che numerosi e forti indizi dimostrano la presenza degli amminoacidi
in epoca prebiotica sul nostro pianeta. Dalla sintesi di queste molecole hanno
origine le proteine.
Siamo figli della terra.
Malgrado queste importanti scoperte negli anni a seguire non si sono
fatti altri passi avanti. Il motivo è stato che gli esperimenti alla Miller
sembravano confermare la teoria di Haldane nella sua totalità cioè, di un
atmosfera primitiva priva di O2, della formazione nell’atmosfera
delle sostanze fondamentali per l’origine della vita e la loro raccolta in un
“Brodo Primordiale” dove si sarebbe originata la vita. La quasi totalità degli
scienziati ha accettato l’ipotesi dell’origine della vita in un oceano
primitivo. Ma ormai da oltre mezzo secolo è stato dimostrato che l’origine
della vita in un oceano primordiale, pone, fondamentalmente quattro problemi
insormontabili. La metafora del “Brodo primordiale” è però talmente potente
che, ancor oggi, la scienza non riesce a liberarsene.
Ma quali sono, infine, questi
quattro problemi insormontabili, e quali sono le soluzioni proposte e i
commenti di autorevoli scienziati?
1) Le nostre mani sono una l’immagine speculare dell’altra, destra e
sinistra, e non sono sovrapponibili. Forme che sono immagini speculari e non
sovrapponibili vengono dette chirali. Le molecole degli amminoacidi, componenti
delle proteine, esistono sotto due forme, Destro e Levo, e sono una l’immagine
speculare dell’altra. Se si preparano gli
amminoacidi in laboratorio, per esempio l’Alanina, ciò che si ottiene è 50% di
Alanina Destro e 50% di Alanina Levo. Anche gli amminoacidi scoperti da Miller
nel suo ormai famoso esperimento erano metà Destro e metà Levo, e così anche
gli amminoacidi trovati nei meteoriti. Quindi nel mondo prebiotico gli
amminoacidi dovevano essere metà D e metà L. Queste due forme viaggiano sempre
assieme ed è impossibile la loro separazione spontanea in ambiente acquoso.
L D
Poiché sia la forma D che la forma L, in epoca prebiotica, erano
sicuramente disciolte in acqua, il disordine molecolare avrebbe prodotto
reazioni incrociate tra amminoacidi D e L e dato origine a proteine contenenti
le due forme, ma di nessun interesse biologico.
La questione è che le proteine di tutti gli organismi viventi sono
costituite soltanto di amminoacidi Levo, la vita è asimmetrica.
L
Poiché gli attuali organismi viventi discendono per evoluzione di
organismi primitivi, anche le proteine degli organismi primitivi dovevano
essere costituite da amminoacidi L. Ma allora, se le due forme molecolari
presentano le stesse proprietà chimico-fisiche ed erano inseparabili, come è
avvenuta la loro separazione e che fine ha fatto il Destro?
Secondo Dickerson (articolo citato): «[…] può darsi che, in un certo
periodo vi sia stata una vita primitiva, o dei precursori di questa, basata sia
sugli Amminoacidi D sia su quelli L con una probabilità del 50% e che, alla
fine, prevalessero sugli altri gli amminoacidi L».
È già difficile immaginare
l’origine di una vita primitiva, immaginarne due, una Destro e l’altra Levo, è
veramente arduo.
2) Le reazioni tra amminoacidi per la
sintesi delle proteine avvengono tutte con eliminazione di H2O.
In
condizioni prebiotiche, in ambiente acquoso, questa reazione non può avvenire
spontaneamente perché va contro il secondo principio della termodinamica.
Sarebbe come vedere un sasso che spontaneamente risale una collina.
Secondo S. Fox le proteine si sarebbero
formate in prossimità dei coni vulcanici a temperatura di 200°C e solo
successivamente sarebbero state dilavate dalla pioggia e raccolte nel brodo
dove si sarebbero formate microsfere resistenti all’azione demolitrice
dell’acqua. In alternativa si è immaginato che il brodo primordiale fosse in
realtà una pozza d’acqua in prossimità dell’oceano e soggetta a continua
evaporazione. Si è anche pensato di risolvere il problema immaginando reazioni
secondarie tra amminoacidi con composti ricchi di energia, ma questi passaggi
moltiplicano enormemente il numero delle reazioni. Per ottenere una sola
molecola di un polimero di 40 amminoacidi sarebbero state necessarie centinaia
di reazioni consecutive, e questo appare poco credibile.
In definitiva, per gli scienziati la questione è
ancora aperta.
3) In epoca prebiotica erano sicuramente disponibili un gran numero di
amminoacidi diversi. Nell’esperimento di Miller, per esempio, sono stati
trovati circa 60 amminoacidi diversi e altrettanti nei meteoriti. Ma negli
attuali organismi viventi solo 20 amminoacidi concorrono alla formazione delle
proteine.
Come
è avvenuta la scelta dei 20 amminoacidi?
La spiegazione prevalente è quella
più ovvia: vi furono false partenze che si estinsero perché non poterono
competere con le linee che invece sopravvissero.
4) L’atmosfera primitiva sicuramente non conteneva O2
(Ossigeno) e quindi lo scudo di O3 (Ozono) era assente. I raggi
ultravioletti, in quantità maggiori di quelli attuali, raggiungevano la
superfice della terra. In un primitivo oceano, essi raggiungevano la profondità
di 10 metri. Diffusione, agitazione termica e correnti, avrebbero prima o poi
portato tutte le sostanze organiche in questa fascia e sarebbero state
distrutte.
Per risolvere questo problema si immagina che i primi organismi si siano
originati ancorati al fondo di lagune poco profonde non inferiori ai 10 metri.
Per alcuni ricercatori il problema non esiste, in quanto la vita avrebbe avuto
origine nei fondali oceanici in prossimità delle bocche idrotermali.
Ora, è evidente a chiunque che tutte le ipotesi fatte per colmare queste
lacune sono in realtà delle modificazioni ad
hoc, spesso anche in contraddizione tra di loro e senza alcuna possibilità
di verifica sperimentale. A conferma del fallimento della teoria del brodo
primordiale Mario Ageno in “Le radici della biologia”1986, scrive: «Possiamo
quindi dire che all’inizio degli anni ’80 la ricerca sull’origine della vita è
entrata in crisi».
Come già detto, gli acidi nucleici
e le proteine (enzimi) sono macromolecole fondamentali per gli organismi
viventi e senza dubbio in un primitivo organismo essi non potevano mancare.
Ora, mentre gli acidi nucleici contengono l’informazione genetica per il
montaggio delle proteine, queste ultime sono necessarie per il montaggio degli
acidi nucleici. Acidi nucleici e proteine sono cioè interdipendenti, gli uni
hanno bisogno degli altri. È ciò che in Biofisica viene denominato “Il problema
dell’uovo e della gallina”, chi è comparso per prima?
Quando alla fine degli anni `60 divenne
evidente il fallimento della sintesi delle proteine nel brodo prebiotico, i
ricercatori iniziarono a guardare con interesse agli acidi nucleici. Fu in
quegli anni che inizia a nascere l’idea del “Mondo a RNA”. L’idea originale era
che, nel brodo primordiale, fossero comparse per prima molecole di RNA con le
due funzioni in una: contenere l’informazione genetica e svolgere funzione di
enzimi catalizzando inizialmente la loro stessa sintesi e successivamente la
sintesi delle proteine; cioè essere uovo e gallina contemporaneamente.
Esperimenti condotti da Sol Spiegelman dell’università dell’Illinois e da
Manfred Sumper del Max Planck Institut (“L’origine dell’informazione genetica”,
Manfred Eigen e al. 1981) diedero un
grande impulso a questa idea. Ben presto fu però chiaro che la sintesi
spontanea di molecole di RNA in un mondo primordiale è praticamente
impossibile.
Nel 1983 una grande scoperta ridiede un temporaneo vigore al “(Mondo a RNA)
e alla teoria del brodo prebiotico. Thomas R. Cech e Albert Altmann scoprirono
che alcuni tipi di RNA (Acido Ribonucleico) sono capaci di comportarsi sia come
acidi nucleici che come enzimi (cioè sono uovo e gallina insieme) e li hanno
chiamati “Ribozimi”.
Anche il “mondo a RNA” sollevò un grande
entusiasmo, ma dopo circa un decennio e malgrado i contributi di tanti eminenti
ricercatori il “mondo a RNA” si rivelò, per la teoria del brodo prebiotico, un
altro fallimento. Verso la metà degli anni ’90 Christian De Duve in “Polvere
vitale”,1998 sintetizza: «È onesto dire che non è stato ancora trovato alcun
meccanismo in grado di spiegare in modo soddisfacente la sintesi prebiotica
dell’RNA, nonostante sforzi considerevoli compiuti da alcuni fra i migliori
chimici del mondo. Persino i più fedeli difensori del mondo a RNA hanno
espresso opinioni pessimistiche sulle future prospettive di questa linea di
ricerca». E dopo un decennio
in “Alle origini della vita” (2008) aggiunge: «Nonostante tutti quegli sforzi,
i tentativi di riprodurre la sintesi dell’RNA in condizioni prebiotiche hanno
conseguito solo successi limitati. I ricercatori hanno assemblato brevi catene
simili all’RNA per mezzo di catalizzatori minerali, per lo più argille, con
nucleotidi attivati artificialmente come precursori e con alcuni stampi scelti.
I precursori naturali si sono però rivelati meno efficaci, e la loro sintesi in
condizioni plausibili ha finora frustrato l’ingegnosità dei ricercatori».
La teoria del brodo prebiotico, malgrado il
contributo di tanti ricercatori, presenta quindi un bilancio fallimentare e
così dopo oltre sessant’anni siamo ancora agli esperimenti di Miller.
All’inizio del nuovo millennio, dopo aver analizzato se sono comparse prima le
proteine o gli acidi nucleici, Paul Davis (opera citata) scrive: «Tutte le
teorie hanno in comune una medesima idea: una volta che la vita è nata, in
qualunque forma, il resto è venuto quasi da sé, perché l’evoluzione darwiniana
ha potuto prendere il via. Quindi è naturale che gli scienziati cerchino di
ricorrere al darwinismo a partire dalla primissima fase della storia della
vita: con il suo ingresso in campo, sono possibili enormi miglioramenti
sospinti solo dalla forza trainante del caso e della selezione. Purtroppo,
però, perché l’evoluzione darwiniana possa aver inizio è necessario un livello
minimo di complessità. Come si è arrivati a questa complessità iniziale? Messi
alle strette, la maggior parte degli scienziati si torce le mani e mormora la
parola magica: il caso».
A introdurre il concetto di casualità
nell’origine della vita, sembra sia stato, nel 1914, Leonard Thompson
Troland, fisico e psicofisiologo americano, come riporta Iris Fly nel suo saggio
(opera citata). Dai tempi di Troland e fino ai nostri giorni il caso
risorge come un’Araba Fenice ogni volta che una teoria sull’origine della vita
mostra i suoi limiti.