Post n.27
L’origine del codice genetico è stato
definito: l’enigma universale.
Per rendere comprensibile il ragionamento a
chi non avesse letto gli articoli precedenti, e per non perdere l’unità dell’argomento,
è utile riproporre cosa si intende per codice genetico, cioè la legge di
corrispondenza tra l`mRNA e gli amminoacidi per la
sintesi delle proteine.
L’mRNA è l’acido nucleico messaggero che
trasporta l’informazione per la sintesi delle proteine ed è costituito da
nucleotidi. I costituenti dei nucleotidi sono:
il gruppo fosfato: (H2PO4)-.
Uno zucchero, il Ribosio, il quale esiste in
due forme Destro e Levo una l’immagine speculare dell’altra. Nei nucleotidi
entra a far parte solo il destro: il D-Ribosio.
Quattro basi azotate: A (Adenina) e G
(Guanina) appartenenti alla famiglia delle Purine, U (Uracile) e C (Citosina)
appartenenti alla famiglia delle Pirimidine.
Legando insieme alcune centinaia di nucleotidi diversi si ottiene
un macromolecola: l’mRNA
(Figure da: “Lezioni di biofisica)” di
Mario Ageno
Nell’mRNA ai tre
nucleotidi adiacenti si dà il nome di “tripletta” e si indicano con le lettere
delle basi. Per esempio, nella figura i tre nucleotidi che espongono le basi UAC
costituiscono una tripletta. Se a seguire, nella figura, ci fossero GUA,
saremmo in presenza di un’altra tripletta e così via. A partire da questa
macromolecola di RNA, attraverso un processo, oggi abbastanza complesso,
vengono assemblate le proteine. Ad ogni tripletta (detta anche codon) corrisponde
uno specifico amminoacido, uno e uno solo, e tale legge di corrispondenza,
rappresentata con 3:1, viene chiamata: codice
genetico. Anche se negli ultimi decenni sono state scoperte alcune
eccezioni, si può affermare che tutti gli organismi viventi sul nostro pianeta
utilizzano lo stesso codice genetico, esso è quindi universale.
Avendo a disposizione
quattro nucleotidi i modi in cui li possiamo disporre tre a tre, cioè il totale
delle triplette che possiamo ottenere, sono 43 = 64. Tre di queste
triplette sono utilizzate come segnale di termine (t.), quindi, in teoria, l’mRNA
contiene l’informazione per 61 amminoacidi. Poiché gli amminoacidi a
disposizione di tutti gli organismi viventi sono solo 20, il codice genetico è degenere nel senso che più triplette
codificano per lo stesso amminoacido.
Per esempio le triplette che presentano in 1a,
2a, e 3a posizione GUU, GUC, GUA, GUG, codificano tutte
lo stesso amminoacido: la Valina (Val).
Vediamo adesso, in modo molto sintetico, come funziona oggi la sintesi delle proteine negli organismi viventi.
(Figura elaborata: da Mario Ageno "Lezioni di biofisica")
Una particolare sequenza di nucleotidi
dell’DNA (gene), contenente l’informazione per la sintesi di una ben
determinata proteina, viene trascritta in mRNA. Tale molecola, come il nastro
perforato di un vecchio elaboratore elettronico, scorre all’interno di un
organello, il Ribosoma. Quest’ultimo, legge l’informazione contenuta nell’mRNA
e ad ogni tripletta di basi consecutive dell’mRNA (codon) fa corrispondere
l’amminoacido specifico. L’amminoacido, però, non entra direttamente nel
ribosoma, ma viene trasportato da un particolare tipo di acido nucleico, il
tRNA. Quest’ultimo contiene ad una estremità una tripletta di basi (anticodon),
complementare al codon, e all’altra estremità l’amminoacido specifico. Tramite
la partecipazione di enzimi gli amminoacidi Pro, Phe, Ala, Ser e seguito,
vengono così legati (come nella figura), nell’ordine giusto, a formare la
proteina.
Come abbiamo detto questa è una rappresentazione
estremamente semplificata del processo. Basti pensare che il ribosoma batterico,
consiste di due sub unità: la prima è legata a trentaquattro proteine e la
seconda a ventuno proteine; entrambe contengono acidi nucleici. Una macchina
così elaborata sicuramente non era presente in epoca prebiotica. Inoltre, nella cellula, per ogni amminoacido è
presente un adattatore, un tRNA, con un enzima specifico, cioè altre 40
molecole e se si aggiungono gli enzimi che partecipano a tutto il processo
raggiungiamo la cifra di circa 50 composti. Un sistema così complesso è
inimmaginabile agli albori della vita. Tutti gli scienziati che si occupano del
problema, ritengono che alle origine doveva sicuramente esistere un processo di
sintesi delle proteine molto più semplice e rudimentale.
Il primo ad elaborare una teoria sull’origine
del codice genetico, un anno dopo la scoperta della doppia elica del DNA, fu
George Gamow nel 1954. Egli propose una interazione diretta tra tripletta di
acido nucleico e amminoacido. In verità a quell’epoca non era stato ancora
scoperto il ruolo dell’mRNA. Inoltre Gamow non propose nessun meccanismo
chimico-fisico alla legge di corrispondenza tra tripletta e amminoacido e fu quindi
facile demolire la sua teoria. Se infatti si considera la sequenza di quattro
basi UUCG, UUC codifica un amminoacido mentre UCG codifica un altro amminoacido,
come avverrebbe la scelta. Senza un meccanismo chimico-fisico date quattro basi
si può saltare da una tripletta ad un’altra e dare origine a proteine
completamente diverse. La teoria di Gamow rimase comunque un’idea attraente.
Nel 1966 Woese, con altri ricercatori,
pubblica: “The molecular basis for the genetic code”. Il lavoro riguarda una
ricerca di cromatografia su carta per studiare l’interazione tra tripletta e
amminoacido. Non potendo utilizzare direttamente né il trinucleotide né le basi,
Woese e collaboratori scelsero come solvente la Piridina, un composto vicino
alla Pirimidina capostipite delle basi Uracile e Citosina. Gli autori
concludono che esiste una gerarchia nelle basi della tripletta, rispetto alla
scelta degli amminoacidi, definibile in termini di interazione polare o non
polare. In particolare la scelta dell’amminoacido è determinato principalmente
dalla base in 2a posizione. La base in 1a posizione è
vista come una perturbazione che sceglie tra amminoacidi simili, mentre la 3a
posizione interagisce debolmente sulla scelta dell’amminoacido e gioca quindi
un ruolo minore.
Analizzando la questione, Jaques Monod in “Il
caso e la necessità” 1970 conclude con questa alternativa:
«a) La struttura del codice genetico è
spiegabile in termini chimici o più esattamente stereochimici; se un certo codone
è stato scelto per rappresentare un determinato amminoacido, vuol dire che, tra
essi, esisteva una certa affinità stereochimica;
b) La struttura del codice è arbitraria dal
punto di vista chimico; Il codice come noi lo conosciamo oggi, deriva da una
serie di scelte casuali che lo hanno gradualmente arricchito.
La prima ipotesi sembra di gran lunga la più
attraente, perché spiegherebbe l’universalità del codice e poi perché
consentirebbe di immaginare un meccanismo di traduzione primitivo in cui
l’allineamento sequenziale degli amminoacidi nella struttura polipeptidica
sarebbe dovuta ad una interazione diretta tra gli amminoacidi e la stessa
struttura replicativa».
Monod riporta quindi una conclusione di F.
Crick del 1968: «Numerosi tentativi in questo senso sono stati effettivamente
compiuti ma presentano un bilancio almeno per ora negativo». F. Crick già da
tempo aveva proposto come ipotesi “l’accidente congelato”. L’origine del codice
genetico, secondo questa ipotesi, sarebbe stato un evento casuale che una volta
avvenuto si è congelato, cioè non è più potuto tornare indietro.
Nel 1984 Mario Ageno in “Lezioni di
biofisica”, esamina la struttura formale del codice genetico da cui emerge,
come vedremo più avanti, una certa centralità delle basi in 1a e 2a
posizione nell’assegnazione dell’amminoacido. Egli riporta anche una proposta
di Orgel: «All’inizio, U in 2a posizione avrebbe voluto dire
amminoacido idrofobico, A amminoacido idrofilo, mentre C e G sempre in 2a
posizione avrebbero significato amminoacidi intermedi tra i primi due gruppi». Comunque, egli dopo aver preso in esame i
lavori prodotti fino a quel periodo conclude che dopo le conclusioni di Crick
del 1968 non si sono fatti passi avanti.
Nei lavori, successivi al 1984, si sono
privilegiati processi metabolici o coevolutivi che prevedono comunque la
presenza di altre molecole, principalmente tRNA, come adattatori. Tra questi
ultimi lavori hanno destato qualche iniziale interesse i lavori di Yarus M. (RNA-ligand chemistry: a testable source for the
genetic code, 2000) e di Yarus M1, Caporaso JG, Knight (Origins of the genetic code:
the escaped triplet theory, 2005). In essi si ipotizza, almeno per alcuni
amminoacidi, una qualche interazione stereochimica diretta tra codone e
amminoacido e che successivi processi evolutivi abbiano portato il codice a
minimizzare gli errori di traduzione. Sembra che tali errori di traduzione
dovuti ad errata lettura stiano nel rapporto di 10:1:100 per errori relativi
rispettivamente alla 1a, 2a e 3a posizione. L’ipotesi,
già avanzata da C. R. Woese nel 1965 per la tripletta UUU, è stata estesa dagli
autori a tutte le triplette contenete un pirimidina 2a posizione.
È accertato il fatto che, una
volta iniziato il processo di evoluzione cellulare, il codice genetico abbia
subito qualche modifica. Come riportano Eugene V. Koonin e Artem S. Novozhilov in “Origin and evolution of the genetic code: the
universal enigma” 2009: «Oggi, ci sono ampie prove che il codice standard
non è letteralmente universale, ma è soggetto a modifiche significative, pur
senza cambiamenti alla sua organizzazione di base».
La questione è
che i processi evolutivi presuppongono già l’esistenza di una vita cellulare. Ma
in presenza di cellule, se l’evoluzione avesse contribuito all’origine del codice
genetico, ogni specie vivente avrebbe elaborato un proprio codice genetico ed
esso non sarebbe universale. L’origine del codice deve necessariamente precedere
la vita cellulare e l’evoluzione Darwiniana. L’epoca dell’origine del codice
genetico è l’epoca prebiotica.
In definitiva, dopo oltre sessant’anni di ricerche, sembra accertata la
centralità delle basi in 1a e 2a
posizione nella scelta degli amminoacidi con la 2a
base predominante, ma non conosciamo ancora l’origine del codice genetico.
Ma com’è stato
possibile?
Forse alla base
di tutto c’è un errore di fondo.
Come abbiamo visto il termine “tripletta” illustra
molto bene la struttura del codice genetico, ma nasconde un fatto fondamentale
da tutti trascurato: noi conosciamo le proprietà degli amminoacidi ma non
conosciamo le proprietà della tripletta. Così, alla fine, ci siamo ritrovati a
confrontare le proprietà chimico-fisiche degli amminoacidi con alcune lettere
dell’alfabeto (U, A, C, G). Ma c’è di più: ogni base della tripletta è legata
(come da immagine sopra) ad un Ribosio ed il Ribosio ad un gruppo fosfato a
formare tre nucleotidi. Il legame, attraverso i gruppi fosfato, dei tre
nucleotidi forma un trinucleotide che espone le tre basi, cioè la tripletta. Quindi
le proprietà della tripletta non sono della tripletta stessa ma sono le
proprietà di tutto il trinucleotide. Possiamo esprimere la questione in questo
modo: i trinucleotidi, hanno proprietà specifiche che variano al variare della
tripletta. È tutto il trinucleotide a specificare l’amminoacido e non la sola
tripletta. Il rapporto 3:1, tre basi un amminoacido è concettualmente errato.
La rappresentazione giusta sarebbe: un trinucleotide un amminoacido, 1:1. Possiamo
lasciare, per comodità, la rappresentazione 3:1 ma esso deve essere inteso in
questo modo: Il trinucleotide che espone quelle tre basi codifica uno specifico
amminoacido. Ed è anche errato dire che i costituenti degli acidi nucleici sono
i nucleotidi, perché il nucleotide non rappresenta nulla; i costituenti degli
acidi nucleici sono i trinucleotidi. Il trinucleotide, può essere considerato
una entità a sé, che interagisce con gli altri trinucleotidi nell’mRNA ma che deve
presentare già di suo una peculiarità.
Ma abbiamo almeno un indizio dell’esistenza
di questa peculiarità.
Come abbiamo già visto altrove, in
riferimento alla legge di corrispondenza, Mario Ageno si chiede se il codice
genetico sia stato fin dalle origini 3:1; è possibile che in epoca primitiva
esso fosse diverso per esempio 2:1? Egli, in “Lezioni di Biofisica” 1984,
esclude una simile eventualità, perché, in tal caso, tutti i processi
metabolici realizzati con un codice 2:1 sarebbero andati persi nel passaggio ad
un codice 3:1 e l’evoluzione avrebbe dovuto cominciare da capo, ma aggiunge: «È
tuttavia ammissibile che all’inizio non tutte le tre posizioni venissero lette:
forse le prime due mentre la terza aveva la funzione di spaziatura».
Se venissero lette solo le prime due
posizioni, lasciando la terza come spaziatura, cioè se ordiniamo i quattro nucleotidi due a due, sarebbero
stati sufficienti 42 = 16 amminoacidi. Secondo Paul Davis, (Da dove
viene la vita,2000), raggruppare i quattro nucleotidi in coppie anziché in
triplette e utilizzare 16 amminoacidi sarebbe stato molto più semplice per
l’origine della vita.
La vita avrebbe potuto funzionare altrettanto
bene con un numero di amminoacidi inferiore a 20. Probabilmente la vita non
avrebbe raggiunto il grado di complessità di oggi, ma avrebbe funzionato.
Perché non è stata fatta questa scelta?
Ma possiamo anche chiederci: avendo a
disposizione 4 basi perché non è stato scelto un codice 4:1? Certo, con un
simile codice si possono codificare 44 = 256 amminoacidi, con il
rischio aumentare gli errori di traduzione; e come facevano le molecole a sapere
di tale rischio. D’altra parte, la scelta del codice non può essere stata un
processo evolutivo perché la vita non esisteva ancora e quindi neanche
l’evoluzione.
C’erano quindi tre possibilità: un codice
2:1, 3:1 o 4:1, ha predominato il codice a tripletta 3:1. Ma questo significa
che il trinucleotide che espone la tripletta deve possedere una sua
peculiarità. Il trinucleotide deve cioè possedere almeno una proprietà che la
distingue dagli altri codici.
Fatta questa precisazione, se alle origini non
esistevano processi evolutivi, se non poteva esistere un sistema di adattatori
a tRNA con enzima specifico per ciascun amminoacido perché troppo complesso, allora
doveva esistere un’affinità stereochimica non tra triplette (codoni) e
amminoacido ma tra trinucleotidi e amminoacidi; un’interazione chimico-fisica
diretta che codificasse immediatamente l’informazione dell’acido nucleico.
E allora, andiamo innanzitutto alla ricerca di
qualche indizio di una tale affinità stereochimica e, successivamente, quale
proprietà distingue il trinucleotide dagli altri codici.
Come abbiamo
già ampiamente illustrato in altri articoli, il quarzo cristallino a contatto
con soluzioni dà origine, sulla sua superficie, a doppi strati elettrici
paragonabili a micro condensatori. Attraverso la misura dei potenziali di
flusso si evince che gli amminoacidi si accumulano sulla superficie del quarzo a
ben determinati potenziali, potenziali specifici.
Ebbene, tra la struttura del codice genetico e
i potenziali specifici degli amminoacidi sembra esistere un corrispondenza
reciproca, in particolare:
1) Otto amminoacidi su venti vengono
codificati già dalle prime due lettere (la terza viene indicata con un puntino),
cioè ciascun amminoacido, come si vede dalla tabella del codice genetico, è già
codificato da una sola coppia di basi
in 1a e 2a posizione. E sono:
Leu – CU∙ Val – GU∙ Ser – UC∙ Pro – CC∙ Thr – AC∙ Ala – GC∙ Arg – CG∙ Gly - GG∙
Di questi
amminoacidi, i tre a nostra disposizione presentano ciascuno un solo potenziale specifico.
Pro 10,10 mV Val 9,90 mV Ala 9,70 mV
2) Otto
coppie di amminoacidi vengono codificati già dalle prime due lettere, cioè in
otto casi, due amminoacidi vengono codificati dalla stessa coppia di basi in 1a e 2a
posizione. E sono:
(Phe, Leu) – UU∙, (Ileu, Met) –AU∙, (His, Gln) – CA∙, (Asn,
Lys) –AA∙,
(Asp, Glu) –
GA∙, (Cys, Trp) –UG∙, (Ser, Arg) –AG∙, (Tyr, t) –UA∙, con t segnale di
termine.
Di questi i
quattro a nostra disposizione:
Due
amminoacidi, Phe e Leu, presentano lo
stesso potenziale specifico 9,50;
E altri due,
Ileu e Met, presentano lo stesso
potenziale specifico 9,30.
3) Inoltre due coppie di basi UU∙ e CU∙ codificano
la Leu, la Leu presenta due potenziali specifici,
9,50 e 8,10.
Riportiamo il Grafico già esposto nel post n.
19 “origine delle proteine: parte terza” che riporta i potenziali specifici
degli amminoacidi a nostra disposizione:
È evidente
una corrispondenza tra la coppia di basi in 1a e 2a
posizione della tripletta e il potenziale specifico degli amminoacidi.
Una sola coppia di basi riconosce
un amminoacido: un solo potenziale
per un amminoacido.
Una sola coppia di basi riconosce due
amminoacidi: un solo potenziale per i
due amminoacidi.
Due coppie di basi riconoscono
un amminoacido: due potenziali per
tale amminoacido.
Tale corrispondenza
è reciproca nel senso che: i potenziali generati dai doppi strati elettrici confermano
la centralità delle basi in 1a e 2a posizione, ma la
centralità di tali basi conferma il suo collegamento con i doppi strati
elettrici. Ma allora, la centralità di tali basi deve risultare della stessa
natura, cioè di tipo elettrochimico, altrimenti ci ritroviamo a confrontare
nuovamente proprietà degli amminoacidi con lettere dell’alfabeto. C’è quindi un
indizio di un’affinità stereochimica, che potrebbe essere la traccia di un
rudimentale meccanismo di sintesi delle proteine che, “fossilizzata”,
dall’epoca prebiotica è giunta fino a noi.
Ma come possiamo
spiegare tale affinità stereochimica?
Abbiamo già
detto che il quarzo a contatto con una soluzione dà origine, sulla sua
superfice, a un doppio strato elettrico che ci ha permesso di conoscere i
potenziali specifici. Tale meccanismo lo abbiamo infine esteso anche alla
silice colloidale. E allora, ricordando che non esistono proprietà delle basi
ma del trinucleotide, estendiamo tali concetti ad una molecola di RNA in epoca
prebiotica.
L’RNA e una grande molecola che a contatto
con una soluzione dà origine, sulla sua superficie, a doppi strati elettrici. Ogni
trinucleotide, rappresentato infine da una tripletta, ha la proprietà di generare
un suo campo elettrico specifico. All’interno di tale campo elettrico le linee
di forza devono avere un andamento elicoidale determinate dalla presenza della
forma Destro del Ribosio, cioè dal D-Ribosio, e sono paragonabili al foro di
una vite. Se il potenziale di tale campo elettrico è specifico per un
amminoacido, quest’ultimo, a struttura sinistrorsa, il cui campo elettrico
presenta un dipolo molecolare assimilabile ad una vite, lo riconosce, ed
essendo ad esso complementare si attacca alla trinucleotide abbassando
l’energia del sistema.
All’interno di questo doppio strato
elettrico, come abbiamo ampiamente illustrato nell’articolo precedente, (L’origine delle proteine: la sintesi dei polipeptidi), gli
amminoacidi, trascinati dalla “freccia del tempo”, hanno trovato le condizioni
necessarie per la loro sintesi in proteine.
Esisterebbe quindi una legge di corrispondenza tra trinucleotide e
amminoacido specifico, un sistema chimico-fisico di riconoscimento e
complementarietà. Questo tipo di riconoscimento elettrochimico diretto,
rappresentato con 3:1 una tripletta un amminoacido, potrebbe aver funzionato in
epoca prebiotica. Esso si è traferito, attraverso processi evolutivi, nell’attuale
meccanismo, molto elaborato, che comporta la partecipazione di RNA di
trasporto, ribosomi ed enzimi.
È probabile che ogni trinucleotide, rappresentato
dal codice 3:1, ha la proprietà, che lo distingue dagli altri codici, di
delimitare un proprio campo elettrico ad andamento elicoidale paragonabile al
foro di una vite. Tale campo elettrico è fissato principalmente dai nucleotidi
che espongono le basi in 1a e 2a posizione, con la 2a
posizione dominante, e in misura minore dal nucleotide che espone la base in 3a
posizione. Questo significa che non è possibile prendere una parte di un trinucleotide
e un’altra parte di un trinucleotide adiacente per costituire un nuovo
trinucleotide e codificare un nuovo amminoacido. Il campo elettrico di un trinucleotide
non è saltabile.
Da queste
considerazioni risulta che la terza base non ha avuto veramente la funzione di
spaziatura come suggerito da Ageno. Come abbiamo sopra esposto, le quattro
triplette con le prime due lettere UU codificano la Leu e Phe mentre la terza
base li distingue. Analogamente le quattro triplette che iniziano con AU
codificano Ileu e Met mentre la terza base li distingue. Alcune ricerche, come
abbiamo già illustrato, hanno evidenziato un ruolo minore della terza base nel
codice genetico. Probabilmente il nucleotide che contiene la terza base completa
e perfeziona il campo elettrico del trinucleotide, ma il suo contributo al
potenziale è debole e l’apparecchio per la misura dei potenziali non è riuscito
a rilevare.
Ora, è
possibile che l’ipotesi sopra esposta abbia lasciato delle tracce
cristallizzate nelle attuali strutture molecolari dell’mRNA e delle proteine,
tracce provenienti da quel lontano passato?
Esistono
dati certi che possiamo prendere come indizi per avvalorare questa ipotesi?
Dobbiamo
partire da una premessa: se un amminoacido riconosce un trinucleotide nella
molecola dell’mRNA, un trinucleotide riconosce un amminoacido nella struttura dell’ꭤ-Elica delle proteine.
1° Indizio.
Come abbiamo
evidenziato in articoli precedenti, la silice colloidale ruota il piano della
luce polarizzata e sembra dare origine a strutture del tipo quarzo Levo. Ma le
strutture del Quarzo levo, all’analisi dei raggi X, sono risultate eliche
Destrorse e quindi, anche le strutture della silice colloidale devono essere
eliche Destrorse. Inoltre abbiamo ipotizzato altrove che la silice colloidale
ha trattenuto sulla sua superficie gli amminoacidi Levo dove si possono
sintetizzare i polipeptidi. Ma se la silice colloidale presenta eliche
Destrorse anche i polipeptidi formati sulla sua superfice devono essere Destrorse.
E
infatti una
delle strutture secondarie delle proteine è l’ꭤ-Elica Destrorsa.
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Ora, se un
trinucleotide riconosce un amminoacido dell’ꭤ-Elica Destrorsa e immaginiamo che
su di essa si è sintetizzato un RNA, anche quest’ultimo deve essere Destrorso.
E infatti l’RNA è un’elica Destrorsa. Questa analogia potrebbe suggerire che l’RNA
è
Destrorso perché ha utilizzato come stampo l’ꭤ-Elica Destrorsa, la quale è
Destrorsa perché ha utilizzato come stampo la silice colloidale Destrorsa.
L’andamento Destrorso di queste molecole potrebbe rappresentare una prima
traccia cristallizzata nelle loro strutture, un indizio di un loro lontano
legame.
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Un famoso
detective avrebbe detto: il primo indizio è solo un caso.
2° Indizio.
Ma esiste
qualche riscontro per ipotizzare che, in epoca prebiotica, l’RNA ha utilizzato l’ꭤ-Elica
Destrorsa come stampo?
La struttura
elicoidale delle proteine, l’ꭤ-Elica Destrorsa, è una struttura periodica,
costituita da amminoacidi, che dopo un giro torna sulla retta della sua
posizione iniziale. Ogni giro d’elica comprende 3,6 amminoacidi. Per
riconoscere 3,6 amminoacidi necessitano 3,6 Trinucleotidi. Ogni trinucleotide è
formato da tre nucleotidi, quindi 3,6x3=11. Per riconoscere i 3,6 amminoacidi
di un giro dell’ꭤ-Elica ci vogliono 11 nucleotidi.
La struttura
elicoidale dell’RNA è anch’essa una struttura periodica, costituita da
nucleotidi, che dopo un giro torna sulla retta della sua posizione iniziale. E
quanti nucleotidi comprende un giro d’elica dell’RNA? 11 nucleotidi, cioè 3,6
trinucleotidi che servono a riconoscere 3,6 amminoacidi.
Forse è più
efficace una illustrazione geometrica. Se proiettiamo su un piano un giro
d’elica dell’ꭤ-Elica otteniamo un cerchio. Dividendo l’angolo giro per il
numero degli amminoacidi per ogni giro d’elica avremo, 360°:3,6=100°.
Ogni molecola
di amminoacido copre un arco di cerchio di 100° dove sono racchiuse le
proprietà dell’amminoacido.
Se
proiettiamo su un piano un giro d’elica dell’RNA otteniamo un cerchio. Un giro
d’elica dell’RNA contiene 11 nucleotidi, cioè 3,6 trinucleotidi. Dividendo
l’angolo giro per il numero dei trinucleotidi per ogni giro d’elica avremo,
360°:3,6=100°. Ogni trinucleotide copre un arco di cerchio di 100° dove sono
racchiuse le proprietà del trinucleotide come entità a sé.
Quindi, 3,6 Amminoacidi
e 3,6 trinucleotidi ciascuno nella propria elica coprono un arco di cerchio
uguale, 100°; questa uguaglianza si può ascrivere ancora al caso?
Ma il nostro
famoso detective avrebbe aggiunto: il secondo indizio è solo coincidenza.
3° Indizio
Tutti gli
amminoacidi contengono un atomo di carbonio cui sono legati un atomo di H, un
gruppo NH2, un gruppo carbossilico –COOH e una catena laterale R. A
distinguere un amminoacido dall’altro è proprio questa catena laterale R. L’ꭤ-Elica
è una struttura stabilizzata da legami idrogeno che la compattano, e al suo
interno non c’è spazio libero. Tutte le catene laterali R, che distinguono
l’amminoacido, sono disposti all’esterno dell’elica cioè nella parte convessa
(vedi immagine ꭤ-Elica).
La struttura
elicoidale dell’RNA è anch’essa stabilizzata da legami idrogeno tra le basi
azotate. Nell’elica dell’RNA le basi stanno però all’interno dell’elica, cioè
nella parte concava (vedi immagine elica RNA). Questo vuol dire che l’arco di
cerchio dell’RNA, che contiene nella parte concava il trinucleotide e quindi la
tripletta, si può sovrapporre all’arco di cerchio dell’ꭤ-Elica che, nella parte
convessa, contiene l’amminoacido. Trinucleotide e amminoacido si trovano,
quindi, nelle condizioni geometriche di interagire, le due eliche si possono
sovrapporre.
E cosa avrebbe detto il
nostro detective in merito al terzo indizio? A voi la risposta.
4° Indizio.
Immaginiamo
un arco di cerchio di 100° dell’RNA che contiene, nella parte concava, un
trinucleotide.
Avviciniamo questo
arco alla parte convessa di un arco di cerchio di 100° dell’ꭤ-Elica che
contiene la catena laterale dell’amminoacido. Trinucleotide e amminoacido
possono interagire ma i loro atomi non si possono toccare, anzi stanno ad una
distanza mediamente di circa 4 Å (angstrom). Ma allora, il raggio (in rosso)
che sottende l’arco di cerchio di 100° dell’RNA deve essere necessariamente
maggiore del raggio (in nero) dell’arco di cerchio di 100° dell’ꭤ-Elica. E così
è: il raggio dell’elica dell’RNA è di circa 10 Å mentre il raggio dell’ꭤ-Elica
risulta circa 6 Å. Questo significa che l’elica dell’RNA si può avvolgere all’ꭤ-Elica
facendo corrispondere ogni trinucleotide ad un amminoacido.
Mentre al
nostro detective sarebbero bastate tre indizi noi ne abbiamo fornito un quarto.
La teoria
sopra esposta evidenzia una correlazione tra dati sperimentali, struttura del
codice genetico e struttura molecolare di proteine e RNA.
In chimico-fisica si
definisce fase una porzione omogenea
di materia limitata da superfici di separazione definite. Così per esempio:
ghiaccio in acqua, particelle di grasso nel latte, sabbia in acqua sono
costituite da due fasi, solida e liquida; sono cioè sistemi bifasici.
Le soluzioni colloidali
sono costituite da un fase liquida in cui sono disperse particelle le cui
dimensioni variano da 10 Å a 1000 Å. Esse sono caratterizzate da una notevole
superficie e sono quindi sistemi bifasici. Le macromolecole fondamentali della vita,
proteine, acidi nucleici ecc., rientrano nelle caratteristiche dei colloidi e quindi,
in soluzione, anch’esse danno origine a sistemi bifasici.
Già H. v. Helmholtz, nel
1879, aveva proposto che alla superficie di separazione tra due fasi si forma
sempre un doppio strato elettrico. I fenomeni che si osservano per effetto
della presenza del doppio strato elettrico furono chiamati, a quell’epoca,
effetti elettrocinetici. Poiché la teoria sopra esposta si fonda sulle
proprietà del doppio strato elettrico alla superficie delle suddette macromolecole
possiamo denominare tale teoria: Origine
elettrocinetica del codice genetico.
L’origine elettrocinetica
del codice genetico postula una interazione chimico-fisica diretta tra
amminoacidi dell’ꭤ-Elica e trinucleotidi, e tra amminoacidi e trinucleotidi
dell’mRNA. Essa
rappresenta un meccanismo di traduzione primitivo che collega il
codice genetico ai principi della fisica e della biologia ed è attraverso tali
principi che si spiega l’universalità del codice genetico.
Giovanni Occhipinti
Prossimo articolo: Asimmetria molecolare e campo magnetico terrestre; analisi di un nuovo esperimento.(fine giugno)
Prossimo articolo: Asimmetria molecolare e campo magnetico terrestre; analisi di un nuovo esperimento.(fine giugno)