Post n. 29
Fino alla metà
del secolo scorso, la biologia molecolare era focalizzata principalmente sullo
studio delle proteine. A quell'epoca struttura e funzione degli acidi nucleici
non erano ancora note, mentre erano note il gran numero di funzioni svolte
dalle proteine. Vi sono, per esempio, proteine nelle ossa e nelle cartilagini, esse
sono la sostanza fondamentale dei muscoli e della pelle. Proteine sono gli
ormoni e le sostanze che ci difendono dagli agenti esterni, altre hanno
funzioni di trasporto. All’interno della cellula, nulla si muove senza
l’intervento delle proteine. Alcuni esempi sul loro ruolo nella cellula ci
aiuteranno a comprendere come ogni organismo vivente sia sotto il controllo
costante delle proteine e come senza di loro la vita, sul nostro pianeta, non
avrebbe avuto nessuna origine.
Con la scoperta,
negli anni cinquanta del secolo scorso, della struttura degli acidi nucleici
(DNA e RNA) e del codice genetico, gli studi della biologia molecolare si
orientarono principalmente verso lo studio degli acidi nucleici. Da questi
studi è risultato che il DNA è formato da quantità discrete, cioè di porzioni
ben definite chiamate Geni e tali geni attraverso le regole del codice genetico
esprimono le proteine. L’idea originale era che ogni gene esprimesse per una
proteina. Quest’idea, attraverso la mistica dei geni replicatori di Dawkins,
portò a considerare i geni come regolatori dell’attività cellulare. Quando fu
completato il sequenziamento del DNA cioè la conta dei geni è risultato che
esso contiene circa ventimila geni, ma le cellule umane contengono circa
centomila proteine diverse. Quindi l’idea un gene una proteina non vale più.
Questa conclusione, era già chiara all'inizio del nuovo millennio e infatti già
a quell'epoca Carol Ezzel in “Adesso comandano le proteine”, Le Scienze 2002
scrive: «Applicare semplicemente i dati prodotti dal progetto Genoma umano -
che ha finalmente mandato in soffitta l’obsoleto dogma secondo il quale un gene
codifica per una proteina - non risolve il problema». L’autore ci illustra
anche come già in quegli anni riprende con vigore lo studio delle proteine ed
in particolare delle proteine enzimatiche o Proteomica.
Col proseguo
della ricerca sorge un nuovo quadro teorico esplicitato da Richard C. Francis
in “L’ultimo mistero dell’ereditarietà” 2011, che in riferimento ai geni
afferma: «L’idea tradizionale è che siano una specie di funzionari direttivi
che dirigono il nostro sviluppo. L’idea alternativa è che la funzione
direzionale si trova a livello dell’intera cellula e i geni funzionano più che
altro come risorse a disposizione della cellula stessa». E Steven Rose in “Geni,
cellule e cervello”2013 aggiunge: «Non è il DNA a determinare l’attività
cellulare, bensì è la cellula in cui il DNA è incorporato a sceglier quali
pezzi di DNA usare per costruire determinate proteine quando e come:
epigenetica».
Ma, come abbiamo
detto, la cellula è sotto il controllo costante delle proteine e in particolare
delle proteine enzimatiche o enzimi. All'interno della cellula avvengono
migliaia di reazioni chimiche. Nelle condizioni chimico-fisiche in cui si
trovano le cellule degli organismi viventi, queste reazioni sarebbero
lentissime o non potrebbero avvenire e le cellule non potrebbero sopravvivere.
Gli enzimi sono catalizzatori che accelerano e controllano la velocità delle
reazioni chimiche permettendo alle cellule di sopravvivere. Per avere un’idea
dell’azione di queste sostanze, basti pensare, come scrive Robert M. Stroud in
“Una famiglia di proteasi” Le Scienze 1974, che senza gli enzimi proteolitici
occorrerebbero 50 anni per digerire un pasto.
La caratteristica
principale degli enzimi è la loro specificità, cioè catalizzano una sola
reazione chimica. Una cellula di media grandezza contiene circa tremila enzimi
diversi che controllano altrettante reazioni. Ognuno di questi enzimi è
presente in più copie e per questo motivo all'interno di ogni cellula si
trovano circa due milione di enzimi. Sorge quindi il problema di capire come
realmente funzionano gli enzimi.
Lo studio del
funzionamento della proteine enzimatiche inizia con Emil Fischer nel 1894. Era
già noto a quell'epoca che gli enzimi sono costituiti dai venti amminoacidi diversi
che compongono tutte le proteine. Un enzima medio contiene circa 300
amminoacidi che si ripiegano a formare una struttura globulare, fondamentale
per esplicare la sua funzione. Gli enzimi riconoscono molecole in modo
selettivo, ogni enzima riconosce solo un composto o al massimo due denominati
“substrato” e su di essi agisce. La parte dell’enzima che riconosce il
substrato o i substrati prende il nome di “sito attivo”. Partendo da queste
considerazioni Fischer formulò l’ipotesi della “chiave e serratura”. Secondo
questa teoria il sito attivo avrebbe una tale forma che il substrato si adatta
come una chiave si adatta alla propria serratura.
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Ad ogni chiave la
sua serratura, ad ogni composto il suo enzima.
Senza entrare
troppo nei particolari, questo modello è stato sostituito dal modello
dell’adattamento indotto. Come noto, l‘enzima cambia l’ambiente chimico-fisico
al suo intorno. Quando il substrato entra in questo nuovo ambiente e sotto
l’azione dell’enzima i suoi legami si allentano e assume una forma diversa
chiamata “stato di transizione”. Lo stato di transizione può variare da una
molecola all'altra e l’enzima si adatta a queste piccole variazioni di
struttura.
wikipedia.org |
Gli enzimi
prodotti dall'evoluzione in quasi 4 miliardi di anni sono veramente sostanze straordinarie,
vere e proprie macchine molecolari. Basti pensare che, una sola molecola di
catalasi lega e trasforma circa 100 000 molecole di acqua ossigenata al
secondo e rilascia altrettante molecole di acqua, e una sola molecola anidrasi
carbonica trasforma 600 000 substrati (CO2 e H2O) al
secondo.
Oltre all'aspetto
catalitico gli enzimi presentano ciò che è stato definito “aspetto sociale”.
Come scrive Mike Williamson in ”Come funzionano le proteine” 2013: «L’aspetto
sociale associa l’enzima ad altri componenti, con una membrana o una proteina,
oppure porta alla formazione di grandi complessi attraverso l’interazione con
altri enzimi» E stato accertato che solo poche proteine agiscono da sole, la
maggior parte prende parte a complessi e alcuni operano anche in più complessi.
I componenti proteici di un complesso possono variare da 2 a 100. I complessi
proteici hanno un’organizzazione simile ad efficientissime fabbriche. Per
esempio nelle nostre cellule la metabolizzazione del glucosio avviene
attraverso decine di reazioni chimiche. Queste reazioni non possono avvenire a
caso ma devono essere regolate e programmate alla perfezione perché il prodotto
di una reazione serve per una reazione successiva.
Sono gli enzimi
che regolano ognuna di queste reazioni. Essi l’uno dopo l’altro, in modo
coordinato e con straordinaria efficienza, come in una catena di montaggio,
trasformano il substrato fornendo il prodotto per il successivo enzima. Ogni
prodotto di una reazione trova quindi subito un altro enzima per una successiva
trasformazione e tutto deve funzionare alla perfezione fino ai prodotti finali.
Abbiamo detto che
un enzima medio contiene circa 300 residui di amminoacidi che si ripiegano in
una struttura globulare.
Ma come si è
arrivati a molecole così grandi? E come si forma la struttura globulare?
Intorno al 1970 è
stata avanzata l’ipotesi che le proteine fossero costituite da domini, cioè una
sequenza di amminoacidi che si conserva nel corso dell’evoluzione. Nel 1974
Rossman ha individuato un dominio di circa 70 amminoacidi presente in molti
enzimi e propose che tale dominio fosse addirittura di origine prebiotica. Oggi
molti ritengono che i domini, in epoca prebiotica, fossero più piccoli e
costituiti principalmente da ꭤ-eliche di circa 20 amminoacidi. Le grosse
molecole proteiche avrebbero quindi avuto origine dall'aggregazione ed
evoluzione di piccoli domini. La diversa disposizione di questi domini, o
l’aggregazione di un nuovo dominio ad un enzima già esistente, genera una nuova
funzione. Questo porta a concludere, come scrisse già Russel F. Doolittle nel
1985 in “Le Proteine” Le Scienze: «[…], così la grande maggioranza degli
proteine deve essere derivata da un numero ristretto di archetipi».
La struttura
globulare di una proteina enzimatica viene chiamata struttura terziaria. La
struttura primaria è una lunga catena che indica la posizione di ciascun
amminoacido nella molecola proteica. Se rimasse così l’enzima non avrebbe
nessuna funzione e ben presto si degraderebbe. Prima che avvenga la
degradazione, si forma la struttura secondaria dove parecchi amminoacidi si
organizzano in eliche e foglietti. Infine si forma la struttura globulare, cioè
la struttura terziaria. La struttura globulare di una proteina (fold) è
conseguenza della struttura primaria, ma dalla conoscenza di quest’ultima non
siamo in grado di risalire alla sua struttura terziaria. Nella seconda metà del
secolo scorso, l’analisi ai raggi X ha dato un grosso contributo alla
conoscenza della struttura terziaria. Si pensava che conoscendo la struttura si
potesse risalire alla funzione. Infatti, nel 1985 Russell F. Doolittle (opera
citata) scriveva: «Uno dei maggiori obiettivi delle proteine è stata la
conoscenza approfondita della loro struttura in modo da riuscire a comprenderne
la funzione». Oggi si conoscono migliaia di strutture proteiche ma da queste
risalire alla funzione è impresa ardua. Cionondimeno, come descrive Peter M.
Hoffmann in “Gli ingranaggi di Dio” 2014, moderne apparecchiature con sonde che
operano alle nano scale, sofisticati microscopi ottici che riescono a rilevare
la luce emessa da una singola molecola e le cosiddette pinze Laser, ci hanno
permesso di comprendere in che modo gli enzimi raggiungono la struttura
globulare e come funzionano.
Il processo che
dalla struttura primaria porta alla struttura terziaria è sotto il controllo
termodinamico, cioè le molecole tendono ad assumere una disposizione cui
corrisponde un minimo di energia, lo stato più stabile. Insomma come un sasso
che rotola giù da una collina fino a raggiungere il fondo valle. Ma se il sasso
lungo la sua discesa incontra dei terrazzamenti rischia di fermarsi a metà
strada. In una situazione simile si trovano gli enzimi quando dalla struttura
primaria devono raggiungere la struttura globulare. Infatti una proteina
globulare che comprende circa 150 amminoacidi potrebbe ripiegarsi in
innumerevoli modi. Secondo Anfinsen sarebbe di 1045 il numero delle
possibili conformazioni generate in modo casuale. Anche se la maggior parte di
queste conformazioni sono impossibili, in una singola proteina enzimatica
rimarrebbero comunque un numero enorme di conformazioni a bassa energia, dove
la differenza di energia, tra le diverse conformazioni, è piccola. Come si vede
dal diagramma (denominato diagramma del paesaggio energetico) il processo di
ripiegamento (folding) dovrebbe condurre l’enzima ad avere il minimo di
energia.
Un leggero
cambiamento dell’ambiente circostante potrebbe bloccare l’enzima in un minimo
intermedio, come il sasso bloccato a metà strada da un terrazzamento.
Cosa ha inventato
l’evoluzione per evitare questo rischio? Le guide: Chaperoni e Chaperonine.
Per capire come
funzionano i chaperoni Mike Williamson (opera citata) usa la seguente metafora:
«Nel diciannovesimo secolo, una donna sola in pubblico era spesso accompagnata
da un chaperone, una donna più vecchia o sposata che impediva all'amica di
impegnarsi in contatti inappropriati con l’altro sesso. Per analogia, una proteina chaperone
agisce impedendo alle proteine non strutturate
treccani.jpg |
di impegnarsi in
interazione indesiderate […]». Le chaperonine conducono invece la struttura
primaria alla giusta conformazione. Esse hanno la forma a barile con
all'interno una cavità dove la proteina assume la giusta conformazione e viene
quindi liberata nell'ambiente.
Può succedere
comunque che, malgrado tutto ciò, una proteina risulta ancora non strutturata
correttamente, danneggiata, o non più utile alla cellula. Cosa ti inventa l’evoluzione?
Il controllo qualità e riciclo: ubiquitina
e proteasoma.
L’ubiquitina è
una molecola proteica piccola, stabile e molto abbondante nelle cellule. L’ubiquitina
riconosce e si lega alle proteine da degradare; le proteine risultano così
etichettate. Da questo momento la sorte della proteina da degradare è segnata.
Il complesso proteina ubiquitina viene riconosciuto da un altro complesso
proteico: il proteasoma. Quest’ultimo è una vera e propria macchina molecolare:
un digestore.
HMB-Anderson |
Anch'esso a forma di barile, appena viene a contatto con il complesso
proteina-ubiquitina, stacca quest’ultima che ritorna in circolo nella cellula e
ingoia la proteina da degradare. La degradazione porta a peptidi di circa sette
residui che vengono rilasciati nella cellula per essere riutilizzati.
Non è noto quando
sia iniziato, tra gli umani, il trasporto e lo scambio delle merci. La cellula lo
aveva già inventato 3,5 miliardi di anni fa: microtubuli, chinesine, dineine, miosine e actina.
Che all'interno
della cellula ci fosse un traffico intenso, come ci documenta Robert Day Allen
in “Il microtubulo come motore molecolare intracellulare” Le Scienze 1987, era
già noto fin dal XIX secolo ad opera di Joseph Leidy. Intorno alla metà degli
anni sessanta del secolo scorso furono scoperti i microtubuli, lunghi canali
del diametro di circa 25 nanometri e lunghi circa 100 000 nano metri (alle
dimensioni accessibili ai nostri sensi è come se avessimo tubi del diametro di
1 cm e lunghi 4000 cm, 40 metri). I microtubuli sono costituiti da lunghe
catene proteiche intrecciate: la tubulina. Si è subito compreso che i
microtubuli avevano, all'interno della cellula, funzioni strutturali. Furono
Allen e collaboratori, intorno al 1985, a scoprire che oltre alle funzioni
strutturali i microtubuli erano, di fatto, le vie utilizzate dalle cellule per
il trasporto di materiali con il contributo di due altre proteine: l’actina e
la miosina. Più avanti si è scoperto che altre proteine, dineina e chinesina,
partecipano al trasporto di materiali nella cellula.
I movimenti di
chinesina e dineina sul microtubulo e la miosina che si muove su filamenti
proteici di actina, vere e proprie macchine molecolari, sembrano proprio di
tipo umanoide come raffigura l’immagine tratta dal saggio di Hoffmann già
menzionato.
chinesina.jpg |
La parte
superiore è una vescicola che contiene i nutrienti, il corpo poggia su due
piedi che si spostano microtubulo. Imita il nostro modo di camminare e tiene
sempre un piede a terra cioè sul microtubulo. Per alzare un piede ha bisogno di
energia, ATP. Una specie di mortaretto che esplode sotto il piede, lo stacca
dal microtubulo e lo fa oscillare facendolo avanzare. Ma un’idea più chiara del
suo movimento si può avere guardando i fantastici video presenti su Youtube,
per esempio:
Questi video non
sono animazioni immaginarie o elaborazioni al computer. I video sono stati
certo elaborati ma reali. Essi, come ci conferma Hoffmann nel suo saggio, sono
stati ottenuti con speciali strumenti che riescono a filmare il movimento di
una singola molecola.
Hoffmann, dopo
aver visto il video della miosina muoversi lungo i filamenti di actina come una
piccola creatura a due gambe, scrive: «Possibile che la molecola sia viva? No,
non nel vero senso del termine. Guardandola sfilare davanti a noi, possiamo
renderci conto di come tutte queste macchine, interagendo in maniera
controllata, possano creare un essere vivente. È qui, non c’è dubbio, che
comincia la vita».
Infine, in modo
molto sintetico, vogliamo descrivere altre tre tipi di macchine, le copiatrici
molecolari: Elicasi, Polimerasi e
RNApolimerasi
Il DNA è una
molecola a doppia elica che contiene l’informazione necessarie per la sintesi
delle proteine. Le due eliche sono tenute insieme da deboli legami (legami
idrogeno). Poiché questi legami sono milioni, la molecola del DNA risulta molto
stabile. Inoltre l’intera molecola, per difenderla da eventuali processi di
degradazione, è avvolta da numerose proteine. Durante la divisione cellulare il
DNA deve essere copiato e una copia trasferita alla nuova cellula. Per copiare
il DNA bisogna innanzitutto separare le due eliche. La copiatura del DNA
coinvolge un gran numero di
medimagazine.jpg |
proteine, ma il compito principale è svolto dall’elicasi.
L’elicasi è una proteina ad anello simile a una stella a sei punte. Essa si fa spazio tra le molecole proteiche
che avvolgono il DNA e appena lo raggiunge si apre, lo avvolge al suo interno e
si richiude.
Questa macchina
molecolare apre, innanzitutto, la doppia elica e quindi come un paio di forbici
si sposta lungo il DNA e separa le due eliche. Altre due proteine, polimerasi e
topoisomerasi, sono
incaricate della ricostruzione delle doppie
eliche a partire dagli elementi costitutivi che si trovano nella cellula. Come
motori perfettamente coordinati, man mano che l’elicasi taglia il DNA la
polimerasi la segue e ricostituisce la doppia elica mentre un’altra polimerasi
(la topoisomerasi) ricostituisce un’altra doppia elica nella direzione opposta.
Alla fine avremo due copie identiche una per ogni cellula.
L’RNApolimerasi è
la proteina che trascrive un pezzo di DNA in RNA messaggero per la sintesi
delle
proteine. Essa si
attacca al DNA e quindi si muove lungo la doppia elica fino a quando trova la
sequenza giusta da cui iniziare: il promotore. La RNA polimerasi è un
macchina molecolare formidabile, fa tutto da sola. Appena trova il promotore
questa polimerasi stacca le due eliche, muovendosi lungo i filamenti trascrive
un pezzo di DNA (gene) in RNA messaggero, corregge eventuali errori e concluso
il processo di copia ricuce il DNA e si allontana.
Come abbiamo
illustrato, nelle cellule operano catene di montaggio, guide, controllo qualità
e riciclo, trasporto materiali e potremmo ancora aggiungere pompe proteiche ed
elettromotori. Queste macchine molecolari sicuramente sono esistite da sempre.
Esse erano certamente molto più rudimentali, ma dovevano essere lì fin dalle
origini. Non è immaginabile l’origine della vita senza queste macchine
molecolari.
Anche noi abbiamo
inventato catene di montaggio, controllo qualità e riciclo, pompe,
elettromotori e quanto segue, ma dietro le nostre invenzioni c’è sempre un
pensiero, una mente.
E allora chi c’è
dietro le invenzioni cellulari? Ovvero: ma la vita che cosa è?
Giovanni Occhipinti
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