Post n. 30
Prima d affrontare l'argomento, forse, vale la pena fare una brevissima
premessa.
La definizione del concetto di vita e di vivente è naturalmente una impresa
molto ardua e sono sempre possibili imprecisioni e fraintendimenti. A volte,
nell'intento - magari lodevole di essere precisi e rigorosi - si
finisce per correre il rischio di essere dogmatici e di cadere in conclusioni
paradossali, quali quelli che portano a dubitare della qualifica di vivente del
mulo soltanto perché è sterile e non può riprodursi.
Quelle che seguono sono dunque considerazione che hanno un fine
prevalentemente terminologico (quello di evitare che nella discussione si
faccia uso di termini uguali, attribuendo loro significati diversi) e
metodologico (quello di circoscrivere la trattazione dell'argomento all'ambito
strettamente scientifico-sperimentale).
Se si
osservano un cane che abbaia e un sasso sappiamo subito riconoscere cosa è vivo
e cosa inanimato. Dare però una definizione scientifica conclusiva che
distingua i viventi dal mondo inanimato cioè come definire la vita, per mezzo
di osservazioni macroscopiche e di senso comune, è un’impresa difficile. Intorno
agli anni settanta del secolo scorso, si inizia a fare una lista delle
caratteristiche del vivente. Così, organismo vivente era considerato un sistema
capace di nutrirsi, crescere, riprodursi e reagire agli stimoli. La questione è
che queste funzioni si riscontrano, singolarmente, anche nel mondo inanimato.
Il granulo di un cristallo si “nutre” delle particelle in soluzione e cresce,
può spezzarsi e riprodurre un altro cristallo. Si conoscono anche diversi
sistemi meccanici che reagiscono ad uno stimolo termico o elettrico. Si è
pensato allora di mettere come condizione, per definire un vivente, la presenza
simultanea di tutte le caratteristiche sopra elencate. Ma poi, se il cane è
gravemente malato e non riesce più a nutrirsi? E gli ibridi, come il mulo che
non si riproducono?
La questione
fu quindi spostata sulle popolazioni e infatti Maynard Smith in “La teoria
dell’evoluzione” 1975, scrive: «Una lista così arbitraria ci serve a poco. Per
fortuna la teoria della selezione naturale di Darwin ci dà, invece, una
definizione soddisfacente. Noi consideriamo vivente una popolazione formata da
entità che hanno la proprietà di moltiplicazione, di ereditarietà e di
variabilità». Rimane ancora il problema degli ibridi che non si riproducono.
Agli inizi
degli anni `80, come scrive Alessandro Minelli in “Gli albori della vita” Le
Scienze”1984, si preferisce lasciare da parte la tentazione di definire il
fenomeno “vita”. Verso la fine dello stesso decennio Manfred Eigen, in “Gradini
verso la vita” 1987, dedica tutto il primo capitolo a questo argomento e infine
conclude: «La domanda: “Che cos’è la vita?” ha molte risposte possibili,
nessuna delle quali è soddisfacente […]. Troppo grande è la massa dei fenomeni
complessi, troppo diversificati sono i caratteri e i comportamenti dei viventi
perché una definizione generale possa avere senso». Nel 2000, in “Da dove viene la vita”, Paul
Davies tenta di dare una chiara idea di che cosa sia la vita e ritorna a
proporre una lista. Egli elenca dieci caratteristiche essenziali per definire un
vivente e conclude: «Posso riassumere questo elenco di qualità affermando che,
in senso lato, la vita sembra coinvolgere due fattori
cruciali: il metabolismo e la riproduzione». E gli ibridi?
Con Iris Fly
ritorna la futilità di qualsiasi tentativo di “definire” la vita. L’autrice, in
“Origine della vita sulla terra” 2002, dopo avere ripercorso alcuni tentativi
di definire la vita da parte degli scienziati, conclude: «Chi ha tentato almeno
una volta di produrre una definizione della vita ha fatto l’esperienza
frustrante di accorgersi che o l’elenco delle sue proprietà è troppo ampio e si
applica a sistemi non viventi, oppure è troppo ristretto escludendo alcuni
esseri viventi. Una definizione funzionale che si concentri sulla nutrizione,
il metabolismo e l’escrezione, potrebbe applicarsi anche ad un automobile, ma
non ad un seme dormiente».
Ernst Mayr,
in riferimento alla ricerca della vita nello spazio, in “L’unicità della
biologia”2004, ritorna sulla necessità di dare una definizione di “vita” e scrive:
«Personalmente accetto una definizione ampia: la vita deve essere capace di replicarsi
e di usare l’energia ricavata dal sole o da alcune molecole disponibili, come i
composti solforati presenti nelle fumarole oceaniche».
Rimane
ancora il problema del seme e degli ibridi.
Anche Pier
Luigi Luisi in “Sull’origine della vita e della biodiversità” 2013 ritiene
utile isolare e definire un denominatore comune che accomuna tutti i viventi.
L’autore, come egli stesso scrive, utilizza una metafora semi-seria. Egli
immagine un Omino verde, proveniente
da un sistema stellare molto lontano con una lista di cose terrestri contenente
viventi e non viventi. L’Omino verde
incontra un contadino al quale chiede di separare nella lista i viventi dai non
viventi. Dopo una serie di obiezioni e chiarimenti finalmente si raggiunge
un’intesa e l’Omino verde conclude:
«Un sistema da voi è definito vivo se è capace di trasformare il nutrimento
esterno in un processo interno di auto-mantenimento e produzione dei propri
componenti». Pier Luigi Luisi evidenzia come si è raggiunto una definizione di
vivente senza scomodare la biologia molecolare. La definizione comunque non
contempla la riproduzione, anche perché nella lista che l’Omino verde mostra al contadino è presente il mulo, che non si
riproduce.
deposiphotos |
In
conclusione, lista o non lista, da un punto di vista scientifico non esiste una
chiara e condivisa definizione di che cosa è la vita. Così, per alcuni il seme
è vita mentre per altri non lo è, e lo stesso vale per il cane ammalato che non
riesce a nutrirsi e auto mantenersi. Alcune definizioni portano infine
all’assurda conclusione di considerare il mulo non vivente.
Ma perché
non si riesce a dare una definizione alla vita?
Perché ogni
volta che in una lista compaiono metabolismo, riproduzione ed evoluzione, esse
vengono proiettate sempre verso il futuro, ma la selezione naturale non conosce
il futuro.
Non ha senso
una definizione di vita che guarda al futuro se il futuro non si conosce.
E allora,
utilizziamo anche noi una metafora e vediamo, senza nessuna pretesa, se il
senso comune ci suggerisce una definizione di vita.
In una calda
sera d’estate una coppia siede in veranda illuminata da una debole luce. La
moglie dice al marito: “È da un po’ che non vedo più il gatto, è sempre venuto
tutti i giorni a chiedermi qualcosa”. Il marito conferma: “È vero, anch’io non
lo vedo da almeno tre o quattro giorni, pensi che sia morto?” “Non so, risponde
la moglie, avrà certamente i suoi anni. E poi, è stato sempre un randagio imprudente,
continuamente in giro per tutto il quartiere attraverso le strade qui intorno,
di giorno e di notte, e tu sai come queste strade sono ormai trafficate”. La
coppia rimane a lungo in silenzio, ma ciascuno si domanda: qual è lo stato del gatto,
è vivo o morto? Dopo un po’, dal buio appare il gatto che, con passi felpati, attraversa
la veranda e si immerge nuovamente nel buio. Moglie e marito si guardano con
soddisfazione, il gatto è vivo. Come hanno fatto a decretare lo stato del gatto?
Attraverso l’osservazione. Quindi per decidere cosa è vita ci vuole un
osservatore. Ma l’osservatore è un elemento
soggettivo, aleatorio ed è per questo motivo che non c’è accordo sugli ibridi, i
semi e il cane ammalato. Per definire il vivente, siamo quindi costretti a
fornire all’osservatore qualche elemento in più.
E allora,
continuiamo con la nostra metafora.
Come abbiamo
descritto, il gatto attraversa la veranda e ritorna nel buio oltre le siepi.
La moglie
dice al marito: “Perché è andato via, se aveva fame avrei potuto dargli io
qualcosa da mangiare”. “È il suo istinto-risponde il marito-per sopravvivere
deve cacciare per nutrirsi”. Ma nutrirsi vuol dire saper utilizzare il
nutrimento, cioè trasformarlo in energia e componenti utili all’organismo, in
definitiva possedere un sistema metabolico. Noi però non sappiamo se il gatto
troverà il nutrimento, potrà non trovarlo e morire di stenti. Sappiamo però che
il gatto ha la capacità di nutrirsi e metabolizzare, che ci riesca o no
riguarda il futuro, ma nessuno conosce il futuro. Poiché non ha senso un
metabolismo senza nutrimento, con il termine metabolismo si deve intendere anche
la capacità di nutrirsi.
Il metabolismo,
deve necessariamente appartenere alla definizione di vivente.
Ora, noi sappiamo
che già milioni di anni fa gli antenati del gatto attraversavano quei luoghi e per
arrivare fino ai nostri giorni hanno dovuto riprodursi. Noi però non sappiamo
se il nostro gatto avrà la possibilità o la capacità di riprodursi. Sappiamo tuttavia
con certezza, che egli è un prodotto della riproduzione e questa certezza deve
contribuire a definire il vivente.
Ma la
riproduzione contiene una copia del genoma del genitore. Il genoma del genitore
ha dovuto quindi replicarsi poco prima della riproduzione. Non ha senso parlare
di riproduzione senza la replicazione del genoma. Il termine riproduzione deve
quindi contenere la replicazione.
Sulla riproduzione
ha agito la selezione naturale che ha permesso agli antenati del gatto di
evolvere. Ma la selezione naturale non conosce il futuro e noi non sappiamo in
che modo evolverà il gatto. Sappiamo tuttavia, con certezza, che i viventi sono
prodotti dell’evoluzione dei propri antenati e questa certezza deve contribuire
a definire il vivente.
E allora: la
vita è uno stato della materia. Poiché esistono solo due stati, vita e morte, la
vita è vita fino a quando non passa allo stato di morte, cioè fino a quando non
si riconosce il “nuovo” stato, lo stato di materia inanimata.
Lo stato
della materia che noi chiamiamo “vita” si regge su tre proprietà fondamentali: deve
possedere un sistema metabolico ed essere un prodotto della riproduzione e un
prodotto dell’evoluzione. La materia che non presenta simultaneamente queste
tre proprietà fondamentali è materia inerte.
Nessuno in
un automobile o in un cristallo riconosce un sistema metabolico ed essere il
prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. I cristalli di sale che si
formano sugli scogli dopo l’evaporazione dell’acqua sono identici a quelli che
si formavano miliardi di anni fa, nessuna differenza, nessuna evoluzione.
Il cane
ammalato è temporaneamente impedito, ma possiede un sistema metabolico. È un
prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. Il cane ammalato è un vivente.
enroquedeciencia.blogspot |
Il mulo sopravvive
per mezzo del metabolismo. È ininfluente se si riproduce o no, è però un
prodotto della riproduzione e dell’evoluzione dei suoi antenati, la cavalla e l’asino.
Il mulo è un vivente.
E i semi cui
possiamo aggiungere anche le spore? Come i predatori che nascosti tra erbe e
cespugli aspettano il momento giusto per attaccare la preda e sopravvivere,
semi e spore protetti all’interno dei loro gusci aspettano pazientemente il
loro momento per sopravvivere. Semi e spore hanno un sistema metabolico sono prodotti
della riproduzione e dell’evoluzione delle piante, e di funghi e batteri. Semi e
spore sono viventi.
Riassumendo:
La vita è uno stato della materia che si regge su tre proprietà fondamentali:
deve possedere un sistema metabolico ed essere un prodotto della riproduzione e
dell’evoluzione.
La definizione
di vita non può essere una percezione dell’osservatore ma far parte della
teoria della selezione naturale di Darwin.
La cellula batterica
è capace di metabolismo, è un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione,
essa è l’entità minima vitale, il primo stadio della vita su cui può agire la
selezione naturale ed è quindi soggetta ad evoluzione.
Esistono
però degli organismi che sono più piccoli dei batteri: i Virus. Si apre spesso
il dibattito se i Virus siano da considerare organismi viventi o non viventi.
Luis P.
Villareal esperto di virologia in “I Virus sono vivi?”, Le Scienze 2005,
paragona i Virus ai semi in quanto a potenziale da cui può sgorgare la vita.
Dorothy Crawford microbiologa tra i massimi esperti di virus è di parere
opposto e nel suo saggio, “Il nemico invisibile. Storia naturale dei virus”
2002, scrive: «Diversamente dai batteri i virus non possono fare niente da
soli. Non sono cellule ma particelle, e non hanno una fonte di energia né alcuno
degli apparati cellulari necessari a produrre le proteine. Ciascuno di essi è
composto semplicemente da materiale genetico circondato da un guscio proteico
protettivo denominato “capside”. […] Ma per riuscire ad utilizzarlo devono
penetrare in una cellula vivente e assumerne il controllo. […] Non appena un
virus riesce a introdursi in una cellula, questa legge il codice genetico del
virus che ordina “riproducimi”, e si mette al lavoro. In questo modo i virus
invadono gli esseri viventi, ne requisiscono le cellule, e le trasforma in fabbriche
per la produzione di virus». Inoltre, come ci informa ancora Crawford, fuori
dalla cellula ospite i Virus non possono sopravvivere a lungo perché non
dispongono dei processi metabolici di una cellula e quindi non sono capaci di
nutrirsi.
La
definizione di vita sopra esposta chiude definitivamente questo dibattito. I Virus
non sono organismi viventi perché non presentano uno dei fattori che definisce
la vita: il metabolismo.
Ma se i
Virus non sono viventi ma particelle, sono simili ai sassi? Come scrisse il
virologo Norman Pirie già nel 1934, sono sistemi che non sono né chiaramente
viventi né chiaramente inanimati.
Se per
indicare tali sistemi il termine Virus non è soddisfacente bisogna coniare un
altro termine.
Abbiamo dato
una definizione macroscopica della vita e individuato nella cellula batterica
l’entità minima vitale, ma all’interno della cellula a livello molecolare, che
cosa è la vita?
Nessuno scienziato
ha mai avuto la pretesa di poter dare una risposta a questa domanda. La vita
non si può identificare con una o con un gruppo di molecole. La vita è “emergenza”.
Il termine emergenza si deve intendere nel significato dato da Ernst Mayr
(opera citata): «La comparsa di caratteristiche impreviste in sistemi
complessi». «Essa non racchiude nessuna implicazione di tipo metafisica».
«Spesso nei sistemi complessi compaiono proprietà che non sono evidenti (né si
possono prevedere) neppure conoscendo le singole componenti di questi sistemi».
Quindi, la vita emerge da
sistemi complessi, ma già a livello di sistemi semplici il mondo inanimato
presenta delle analogie con il comportamento dei viventi.
La miosina è
una delle proteine che partecipa al trasporto di materiali nella cellula.
Vedere la miosina muoversi lungo i filamenti di actina, all’interno della
cellula, sembra una piccola creatura a due gambe. Se la miosina viene portata
fuori dalla cellula è immobile, ma se gli si fornisce il combustibile inizia a
muoversi. La miosina non è vivente e non ha nessuno scopo, è una macchina
molecolare, svolge solo funzioni come la catalasi che decompone l’acqua
ossigenata e come migliaia di altre proteine.
Pier Luigi
Luisi nel suo saggio “Origine della vita e della biodiversità” 2013, ha messo
in evidenza come vescicole prodotte da acidi grassi possono riprodursi con
meccanismi tipici degli organismi viventi.
Nell’articolo
“L’ORIGINE DELLE PROTEINE: 3) La sintesi dei polipeptidi” abbiamo visto come
gocce di composti diversi situati nelle vicinanze sembrano avere comportamenti
a noi familiari. L’acqua sembra scappare alla presenza di alcool etilico e
l’acido solforico circondato da gocce d’acqua sembra alla ricerca di una via di
fuga. Questi fenomeni sono stati
denominati “Chemiotassi del non vivente”. Il termine chemiotassi indica la
risposta dei batteri alla presenza di nutrienti o di repellenti. Ma già dalla
metà del secolo scorso Oparin aveva messo in evidenza come vescicole di
polimeri (coacervato) divenute troppe grosse tendevano a dividersi. Anche
Sydney Fox ha prodotto coacervati di proteinoidi termici e osservato che questi
ingrossando si dividono in modo simile ai batteri. I coacervati proteinoidi di
Fox hanno inoltre deboli capacità enzimatiche.
Ci sono insomma, in molecole e aggregati,
alcune analogie che richiamano processi vitali, ma tutti questi fatti hanno una
spiegazione scientifica. E allora, è sempre valida la conclusione di Richard E.
Dickerson già espressa nel 1976 in “L’evoluzione chimica e l’origine della
vita” Le Scienze: «Gli esperimenti di Oparin e Fox sono solo analogie di
processi vitali, ma sono suggestivi. Dimostrano la misura in cui il
comportamento di tipo vitale è radicato nella chimica fisica e illustrano il
concetto di selezione chimica per la sopravvivenza».
Concludendo, non esiste un “Èlan Vital”,
uno spirito vitale, il comportamento di tipo vitale, l’origine dei processi
vitali è radicato nella chimica fisica.
Esistono però dei fatti inspiegabili, veri misteri, che sono al di fuori di
possibili spiegazioni chimico-fisiche.
A livello molecolare metabolismo vuol dire migliaia di reazioni
chimiche, che provvedono alla trasformazione del nutrimento in energia e
componenti necessari al mantenimento e alla crescita. Ma metabolismo vuol dire
fondamentalmente proteine enzimatiche.
Come abbiamo illustrato nell’articolo “Proteine: le macchine molecolari”, le
proteine enzimatiche costituiscono catene di montaggio, guide, controllo
qualità e riciclo, trasporto materiali pompe proteiche ed elettromotori. Queste
macchine molecolari sono il motore della vita, controllano anche il genoma e
sicuramente sono esistite da sempre. Esse erano certamente molto più
rudimentali, ma dovevano sicuramente far parte di un “proto organismo”. Ma chi
c’è dietro queste macchine, di che cosa sono costituiti queste macromolecole
eccezionali?
Di
costituenti eccezionali, unici e universali: gli amminoacidi. (Vedi post 11 e
12)
I composti della chimica organica
sono circa 1,5 milioni e ordinati in gruppi. Si dà il caso che solo il gruppo
degli amminoacidi presenta simultaneamente sette proprietà che abbiamo
evidenziato come “sette colpi di fortuna” e che possiamo riassumere:
1) Semplici e facili da
sintetizzare
2) Solubili e stabili in acqua.
3) Non devono reagire in acqua.
4) Si devono legare tra di loro
dando origine ad un legame peptidico in risonanza
5) Devono essere chirali.
6) Devono contenere un -Hδ+
residuo sull’atomo di azoto.
7) Il residuo R non è casuale.
Nessun altro gruppo di composti
organici possiede caratteristiche simili, e se fosse mancata solo una di queste
proprietà, non sappiamo come sarebbe stata la vita, e forse non esisterebbe.
Ma chi ha dato origine agli
amminoacidi? La materia inanimata.
Insomma, la materia inanimata ha fornito il materiale, gli amminoacidi,
con tutte le proprietà giuste per la vita. Essa tutt’intorno ha creato un vuoto
chimico in modo che la vita in formazione non abbia da sbagliare. Ed è da qui,
dagli amminoacidi che inizia un particolare tipo di materia: la materia
organica, la materia della vita.
Il segreto della vita, se esiste,
sta negli amminoacidi, nella loro origine e in questi “sette colpi di fortuna”.
Rimane allora la domanda: ma come ha
fatto la materia inanimata a dare origine ad amminoacidi con tutte queste
proprietà, giusto quelle proprietà necessarie alla vita, mentre la vita è
ancora in divenire?
A questa domanda la scienza non ha
nessuna risposta perché esula dal suo dominio.
Giovanni Occhipinti
Prossimo articolo: Ma infine la vita come ha avuto origine? (fine aprile)