martedì 11 febbraio 2025

IL PROBLEMA DELLA DENATALITÀ

 Post n. 55


Introduzione

La questione della denatalità, accanto a quella del sovrappopolamento si è posta in termini pressanti all’attenzione della pubblica opinione politica e accademica del mondo occidentale industrializzato intorno alla seconda metà del secolo scorso per affermarsi nel giro di pochi decenni come una problematica ad altre aree del mondo. Nell’ambito di un sensibile interesse per le tematiche demografiche personalità della politica, del giornalismo, dell’imprenditoria hanno manifestato le loro preoccupazioni per i rischi connessi al fenomeno della denatalità e per le conseguenze che esso comporta per la crescita e lo sviluppo del pianeta. Fra le numerose specie di inquietudini manifestate registriamo quella di un impoverimento della ricchezza delle società sviluppate e del loro tasso di benessere a meno di ovviare al decremento demografico con un massiccio flusso immigratorio da parte delle popolazioni in crescita nel resto del mondo, in particolare dell’Africa e dall’Oriente Asiatico. Ma di fronte a tale eventualità si sono presto paventate la perdita di identità e il venir meno della sicurezza civile della civiltà occidentale. Di qui le proposte di misure legislative e amministrative volte a favorire la propensione delle famiglie a procreare, quali misure fiscali di detassazione e di incentivazione monetarie accanto ad una serie di misure infrastrutturali tese a rendere meno oneroso il compito di assistenza alla prole, quali asili nido, consultori per l’infanzia, misure di flessibilità nell’orario di prestazione lavorativa e di congedi per genitori di figli in età infantile. A fronte di proposte interessanti e convincenti le realizzazioni dei propositi manifestati non sono state soddisfacenti quanto si era sperato che lo fossero. Intanto alla realizzazione delle misure ricordate ha fatto da ostacolo la crisi finanziaria degli Stati che non hanno potuto sostenere il finanziamento degli interventi proposti. È anche da registrare che laddove le politiche di sostegno alle famiglie sono state generose ed hanno visto una concreta realizzazione, la risposta da parte delle categorie sociali interessate non è stata alla altezza delle aspettative, segno che la rinuncia a procreare non è causata soltanto dalle difficoltà economiche in cui si trovano le famiglie che devono crescere la prole, ma che vi sono altre cause di ordine diverso, non solo culturale e sociale, ma di altra natura.

1° Parte

In effetti il tema è finora stato trattato secondo un’ottica economica. Ciò ha significato affrontare la questione secondo un’ottica che si ispira a discipline che genericamente possiamo ascrivere alle scienze umane. Non si vuol con questo sostenere che tale prospettiva non sia convincente e plausibile. Rimane però esclusa la prospettiva propria delle scienze naturali e nello specifico quella biologica. Si tratta di considerare la tematica inquadrandola in un ambito ancora più generale e preliminare rispetto a quello adottato finora.

Ernst Mayr in L’unicità della biologia, 2005, fa propria la nota affermazione del grande biologo evoluzionista Christian Tehodosius Dobzhanski: “in biologia nulla ha senso se non nell’ottica dell’evoluzione”. Ora, se si assume la dimensione biologica dell’uomo non è disdicevole considerare la procreazione nel suo aspetto materiale come un processo biologico. Ne segue che il problema della denatalità sia innanzitutto una questione evolutiva e che vada ricondotto, in primo luogo, all’interno della teoria darwiniana. E allora, per affrontare il problema alla luce dell’evoluzione forse è utile partire da una domanda: quale è lo scopo principale degli organismi viventi? La maggior parte degli scienziati è d’accordo nel ritenere che lo scopo principale degli organismi viventi sia sopravvivere e riprodursi. Ora, se la sopravvivenza è un principio di per sé evidente e plausibile, non altrettanto è quello della riproduzione. Riprodursi, perché? Perché gli animali fanno figli? Perché tutti gli organismi viventi, invece di “esercitare un risparmio energetico personale”, danno origine, per istinto, a discendenti e spesso anche a spese della propria vita? È lecito supporre che la riproduzione come fenomeno generale del sistema biologico trovi la sua ragione d’essere nella sua funzione strumentale rispetto alla sopravvivenza. Niels Eldridge in “Ripensare Darwin” 2008, discute una tesi di George Williams (a suo parere tra i difensori più rigidi della tradizione darwiniana) scrivendo: «Williams, continuando a ripetere che la selezione non può ‘prevedere’ il futuro, ne conclude - non irragionevolmente - che non è possibile che gli organismi si riproducano con lo scopo di perpetuare la popolazione o la specie di cui fanno parte. La selezione naturale non può sapere in alcun modo che cosa vi è in serbo per una specie man mano che il tempo passa». Se la riproduzione non ha lo scopo di perpetuare la specie perché tutti gli organismi viventi si riproducono? La riproduzione si presenta come un comportamento degli esseri viventi dettato loro da un istinto incomprimibile? Ora, poiché tutti gli organismi viventi sono discendenti delle prime cellule comparse circa 3,6 miliardi di anni fa, l’istinto di dare origine ad una prole deve necessariamente risalire alle prime cellule. È ormai opinione abbastanza condivisa che la vita abbia avuto più origini. È allora da presumere che all’inizio siano comparse cellule che non erano in grado di dare origine ad una discendenza e altre capaci di dare alla discendenza. Delle prime non è rimasta traccia, si sono estinte. Le cellule che sono riuscite a dare origine ad una discendenza generando copie di sé stesse formando colonie, sono sopravvissute alle terribili condizioni dell’ambiente primordiale.

Sembra quindi che la riproduzione consenta la sopravvivenza dei genitori.

Poiché tutti gli organismi viventi discendono dalle prime cellule, tutti gli organismi viventi hanno ereditato l’istinto alla riproduzione.

Essendo gli animali discendenti dei primi organismi questa conclusione è valida anche per loro? Un esempio può aiutare a chiarire meglio quanto detto. Immaginiamo di trovarci in Africa dove vivono gruppi di antilopi. Se questi animali, per conseguire un risparmio energetico, non facessero più figli, in poco tempo i leoni li sbranerebbero e le antilopi scomparirebbero dalla Terra. Le antilopi invece per istinto fanno figli, accrescono la loro popolazione e fra i tanti campioni che la costituiscono sono gli esemplari più deboli e quelli più giovani, ancora inesperti, a soccombere all’attacco predatorio dei leoni. I genitori del gruppo molto più esperti e selezionati dall’evoluzione e i discendenti con qualche piccolo vantaggio evolutivo sfuggono all’assalto. Si può dunque dire che una classe della discendenza è servita come scudo per la sopravvivenza dei genitori e dei discendenti più evoluti.

Non si può non evidenziare, in questo esempio, che la riproduzione consente ai genitori di sopravvivere.

Si pone a questo punto un quesito: cosa stabilisce quale debba essere il tasso di sopravvivenza dei discendenti e dunque l’ammontare della popolazione? Secondo Darwin sono l’abbondanza o meno del cibo, le malattie, i predatori, il clima, in definitiva è l’ambiente in cui la specie vive a regolare il meccanismo demografico. È corretto allora concludere che:

la discendenza è genetica, la sopravvivenza dei discendenti è epigenetica.

Questa conclusione, valida per tutti gli organismi viventi, è valida anche per gli esseri umani e in particolare i contemporanei che oltre all’evoluzione darwiniana sono soggetti anche ad una evoluzione culturale? Un esperimento mentale può aiutare a chiarire i concetti. Si immagini che esista una città A e una sua copia perfetta B, le quali godono di un certo grado benessere. Si ipotizzi che gli abitanti di A, per conseguire un risparmio energetico, decidano di non fare più figli. Ne conseguirebbe la rottura dell’equilibrio socio-ambientale. Per fare qualche esempio, considerando soltanto gli aspetti economici, negli ospedali si chiuderebbero i reparti di neo-natalità, il commercio dei prodotti per l’infanzia scomparirebbero dal mercato e gli asili nido chiuderebbero. È evidente che si determinerebbero altri simili sconvolgimenti che porterebbero, i cittadini di A, a contendersi le risorse disponibili, si scatenerebbe una guerra civile e nessuno potrebbe sperare di raggiungere venerande età perché la città sarebbe destinata nel giro di poco tempo a soccombere. Nella città B si ipotizzi invece che si continua a fare figli. Non c’è ragione di dubitare che la vita non debba scorrere come sempre e molti abitanti possano raggiungere una veneranda età.

Quindi anche per gli esseri umani, la riproduzione consente ai genitori di sopravvivere.

In conclusione, un dato sembra emergere: tutti gli organismi viventi, esseri umani compresi, per sopravvivere fanno figli e i figli per la propria sopravvivenza continuano a fare figli nel limite consentito dal contesto ambientale.

In che modo l’ambiente regola il numero dei discendenti anche nel caso di comunità di esseri umani? Perché nella città B che pure gode di un certo benessere si lamenta un insufficiente tasso di procreazione? La risposta a queste domande è che fare figli ha un suo costo economico non sempre disponibile. A ciò si aggiunga l’impegno che richiede l’accudimento della prole, i sacrifici e le rinunce che mettono sotto stress la salute dei genitori. Paradossalmente si fanno figli per sopravvivere ma per continuare a sopravvivere, dove il termine deve essere inteso come una esistenza il più possibile gratificante e in buona salute, si smette di fare figli. Condizioni materiali di vita ed evoluzione culturale determinano la scelta dei genitori di procreare.

Si consideri il caso in cui un paese sviluppato adotti una politica di incentivazione delle nascite assicurando sostegni economici alle famiglie con figli. Per esempio: 100 euro per il primo figlio 200 per il secondo 300 per il terzo e 400 per il quarto figlio. Quale classe di individui sarà sensibile a tali aiuti? Non certo le coppie che vivono già di un certo benessere. Laddove si riscontra un elevato tasso di disoccupazione e il lavoro è precario è possibile che una coppia possa decidere di avere 4 figli e incassare 1000 euro al mese.

La riproduzione permette ai genitori di sopravvivere.

Da tutto ciò ne consegue che per aumentare le nascite bisognerebbe attentare alla sicurezza economica dei genitori.

Le politiche della famiglia, le campagne propagandistiche, ma anche gli appelli ideologici hanno denunciato la loro scarsa efficacia.

In alcuni paesi la denatalità si è fortemente accentuata e i loro Leader hanno moltiplicato gli appelli a fare figli per il bene della Nazione. Ma qual è la situazione ambientale di questi paesi? I loro governanti chiedono ai loro popoli di fare più figli per scatenare guerre o prepararsi alla guerra, ma così facendo minacciano la sopravvivenza dei cittadini. Questi appelli sono quindi inutili. Gli organismi viventi non fanno figli per perpetuare la specie o la popolazione, a maggior ragione non faranno figli per la propria nazione che non è nemmeno un’entità biologiche. Tranne qualche fanatico nazionalista la stragrande maggioranza della popolazione di questi paesi, al contrario, smetterà di fare figli perché i loro Leader attentano alla loro sopravvivenza.

2° Parte

Certamente rimane ancora aperto e meritevole di spiegazione il fatto che in realtà sociopolitiche, il cui reddito pro-capite è insufficiente a contrastare la tragedia della denutrizione e dunque della mancata sopravvivenza della popolazione neonatale, si fanno figli e più figli di quanti ne possono sopravvivere. Il tasso di natalità si attesta in alcuni paesi su livelli elevati cui fa seguito la comparsa del fenomeno della sovrappolazione. Fenomeno che è stato più volte stigmatizzato come foriero di crisi gravissime per la tenuta del sistema planetario e meritevole della definizione di “bomba demografica”.

 Una prima spiegazione considera come in tali paesi l’assenza del sostegno sociale i figli sono necessari per assistere i genitori anziani e/o malati. Qui si apre un campo di indagine riguardante la interferenza tra la sopravvivenza e l’ambiente. Si è fatto riferimento a questo proposito alla natura epigenetica del tasso di crescita della popolazione. Tenendo conto di quanto finora argomentato si è ad un passo dal concludere che la politica più efficace per combattere la denatalità è quella per la quale l’ambiente retroagisca sull’istinto di sopravvivenza in maniera che il tasso di crescita sia tale da garantire una composizione della popolazione per classi di età compatibile con il modello di riproduzione economico-produttiva vigente nelle varie realtà planetarie. In termini crudi che richiamano la nota tesi di Malthus si tratta di conseguire un equilibrio tra bisogni e risorse che consenta la sopravvivenza della specie senza dover subire irregolari, serie e a volte drammatiche crisi demografiche. In realtà la problematica demografica del pianeta si manifesta nelle due forme antitetiche della denatalità nei paesi industrializzati e della crescita esplosiva nelle aree arretrate del mondo. L’intervento correttivo della cruda dinamica demografica dei paesi del sottosviluppo ha contribuito in maniera determinante alla crescita della popolazione intervenendo con misure efficaci a diminuire la mortalità. In questo caso le condizioni ambientali hanno continuato ad agire nel senso di non limitare la forza intrinseca dell’istinto di sopravvivenza. Le condizioni di vita arretrate e difficili hanno fornito l’alimento necessario a rendere operativo e al massimo grado l’ὁρμή, l'impulso naturale, che definisce l’istinto di sopravvivenza. All’opposto, nelle società industrializzate e dotate di un articolato sistema di welfare, la forza dell’istinto viene attenuata dal sentimento di protezione offerto dalle politiche assistenziali. In queste realtà l’istinto di conservazione e di sopravvivenza è percepito con minore impellenza e dunque il sacrificio che comporterebbe la cura della prole in termini di sforzi economici e di impegno non è ritenuto adeguatamente compensato da un più tenue bisogno di sicurezza. Le conseguenze di tale scelta conferma il fatto che il comportamento degli esseri umani quali esseri biologici viventi non è guidato da una capacità di anticipare le problematiche e le crisi che riserva loro il futuro. Infatti, la rassicurazione che l’assistenza riservata alle classi d’età avanzate non è per nulla certa. Si determina un processo che alla lunga appare vizioso. La denatalità sconvolge le proporzioni in cui si struttura la popolazione per classi d’età fenomeno reso perspicuo dalla immagine della piramide rovesciata: gli anziani diventano la maggioranza della popolazione che si regge su una base sempre più ristretta.

 

Fossati Pasquale

Giovanni Occhipinti