Post n. 44
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1°
parte etichetta Zg, 2° parte etichetta Zh, 3° parte etichetta Zi. 4° parte
etichetta Zl
Con la scomparsa
dei dinosauri, 65 milioni di anni fa, inizia l’era dei mammiferi. Come i
rettili, per garantirsi la sopravvivenza, da piccoli animali alcuni evolvono
lentamente verso il gigantismo e intorno a 30 milioni di anni fa appaiono i
mastodonti. Nello stesso periodo tra i primati apparvero le scimmie
antropomorfe, animali onnivori che vivevano principalmente sugli alberi ma
camminavano anche su quattro zampe. Quando erano a terra su quattro zampe
vedevano più un mondo bidimensionale con la terza dimensione abbastanza ridotta
e nella savana avevano una visione molto limitata. Sugli alberi sicuramente
avevano un visione più ampia ma si riducevano le dimensioni di prede e
predatori, non proprio l’ideale per la sopravvivenza. Ma intorno a cinque milioni
di anni fa, da una ramificazione dei primati, almeno uno si sollevò sulle due
zampe posteriori e vide e comprese un mondo diverso, un modo reale, un mondo in
3D più utile per la sopravvivenza.
I primi ominidi,
progenitori dell’uomo, comparvero circa 4,5 milioni di anni fa, l’Australopithecus. Circa 2 milioni di
anni fa comparve l’Homo abilis,
capace di produrre utensili di pietra e 1,8 milioni di anni fa comparve l’Homo erectus che imparò ad utilizzare il
fuoco. L’Homo Neanderthalensis
200.000 anni fa, sviluppò sentimenti sociali e seppelliva i morti. Intorno a
80000 anni fa comparve l’Homo sapiens che
sviluppò il senso artistico e la capacità di astrazione, e subito dopo l’Homo
sapiens sapiens, l’uomo moderno, l’Homo
Sapiens 2.0. Durante il Pleistocene, l’epoca delle glaciazioni dove il
livello dei mari, fino a 18000 anni fa, era sceso di 120m rispetto al livello
attuale, l’uomo viveva di caccia e pesca. Con la fine delle glaciazioni inizia
l’epoca dell’Olocene che comprende gli ultimi 11700 anni, con un clima piacevolmente mite. Il livello dei mari lentamente si rialzò e
circa 5000-6000 anni fa raggiunsero quasi il livello attuale. Intorno a 10000
anni fa, l’uomo passa all’agricoltura e all’allevamento, e 4500 anni fa
compaiono le prime grandi città del Medioriente e in Egitto. Con fasi di
decadenza e crescita le città furono e sono le protagoniste della storia umana.
Ma negli ultimi tempi la crescita demografica che ha portato la popolazione
mondiale a raggiungere i 7,5 miliardi, le attività umane e la vertiginosa
espansione delle città, con un maggior bisogno di energia proveniente
principalmente da combustibili fossili, di cibo e di acqua, stanno alterando
velocemente l’equilibrio chimico-fisico del nostro pianeta. Queste alterazioni
lasciano tracce indelebili nei tempi geologici e per questo che secondo molti
scienziati è iniziata una nuova epoca, l’epoca dell’uomo: l’Antropocene, cioè
un’epoca della storia della terra caratterizzata dalla presenza dell’uomo.
Ma siamo
veramente in un’epoca che possiamo chiamare Antropocene?
In realtà non
dovremmo essere noi a stabilire se la nostra presenza sul pianeta ha dato
origine ad un’epoca geologica, ma geologi e paleontologi del lontano futuro.
Ciò che noi possiamo fare è immaginare che la nostra civiltà domani scompaia,
immaginare ciò che resta di noi nei depositi sedimentari e come fossili in modo
che una nuova civiltà, tra 10000 o 100000 anni o milioni di anni, analizzando
depositi sedimentari e fossili, trovando prove della nostra presenza possa
dire: qualcuno era già qui.
Sugli effetti
delle attività umane sul nostro pianeta esiste una sterminata letteratura
composta da saggi ma soprattutto di articoli scientifici che parlano di
cambiamenti climatici, inquinamento atmosferico, perdita di habitat, estinzione
di specie. È una letteratura frammentaria che tratta singoli argomenti di
avvenimenti moderni, di secoli o di millenni passati. Ma per non perdere il
quadro generale forse è utile ripercorre la storia dell’Homo sapiens 2.0 ovvero l’Homo con tutte le caratteristiche
dell’uomo moderno. E allora, partiamo dai dati e dalle conclusioni di questo
percorso tratti al saggio “Il pianeta umano” di Simon L. Lewis e Mark A. Maslin
convinti sostenitori dell’Antropocene.
Partì dall’Africa
intorno a 50000 anni fa e 40000 mila anni fa aveva invaso tutto il pianeta. A
quell’epoca in tutti i continenti viveva una popolazione di grandi animali,
chiamata megafauna: castori giganti di oltre 40 Kg e bradipi giganti, mammut e
mastodonte americano. L’uomo ha iniziato subito a cacciare questi animali e
diventò un superpredatore mondiale perché aveva ormai la capacità di
pianificare, coordinare e adattare le strategie in funzione della preda. Questa
megafauna si è estinta e dai reperti fossili sappiamo che l’estinzione è
iniziata 50000 anni fa in coincidenza della diffusione dei nostri antenati.
Secondo Paul Martin dell’università dell’Arizona che elaborò la “ipotesi di
sovracaccia del Pleistocene” fu l’uomo a causare l’estinzione della megafauna. Poiché
in quel periodo iniziava la fine dell’ultima glaciazione, molti ricercatori
addebitarono ai cambiamenti climatici della deglaciazione la scomparsa della
megafauna. Ma tra 15000 e 10000 anni fa l’epoca glaciale era finita, il clima
si era stabilizzato e la megafauna era sopravvissuta sia in America del nord
che in America del sud. L’uomo arriva nelle Americhe 15000 anni fa e dopo
qualche migliaio di anni la megafauna scompare. «Prendiamo l’esempio del mammut
lanuto, che alla fine dell’ultima glaciazione, o era glaciale, circa 10000 anni
fa, era quasi estinto. L’eccezione era costituita da una popolazione di qualche
centinaio di mammut sull’isola di Wrangel, a circa 140 Km a nord-est della
costa siberiana orientale. Anche in questo caso, gli esseri umani erano assenti
e i mammut presenti. L’innalzamento dei livelli del mare creò l’isola e ne
protesse i mammut dai cacciatori umani per circa 6000 anni. Quando gli esseri
umani sbarcarono sull’isola, 4000 anni fa, il mammut lanoso si estinse.
wikimedia |
Le zanne trovate
sull’isola hanno fornito materiale genetico e prove del fatto che l’estinzione
non fu causata né dalle piccole dimensioni della popolazione né
dall’inincrocio. Quasi certamente, i colpevoli furono gli esseri umani appena
arrivati. In definitiva per ciò che riguarda la megafauna, usando
approssimazioni del numero di animali che vivevano in ciascuno di questi
habitat, possiamo stimare che i pochi milioni di persone esistenti alla fine
del Pleistocene, incredibilmente, uccisero un miliardo di animali di grossa
taglia». Come prova all’ipotesi di
sovracaccia di Martin possiamo aggiungere la scomparsa dell’uccello bianco
mansueto il “solitario di Rodrigues” e del dodo, incapaci di volare, e della
foca monaca caraibica che coincise con l’arrivo del marinai europei che ne
apprezzarono la carne.
La scomparsa
della megafauna sconvolse anche l’ecosistema. «Essendo costituita da animali di
grossa taglia, la megafauna modella gli ecosistemi. Questi animali modificano
la vegetazione spezzandola e calpestandola e consumandola in grandi quantità.
Ciò favorisce la crescita di prati. […] La presenza di megafauna erbivora di
solito impedisce che predominino le foreste o le zone densamente boscose,
producendo un aumento complessivo della biodiversità locale e regionale. […] La
scarsità di megafauna durante l‘attuale interglaciale significa che il
paesaggio è dominato dalla tundra di muschio, a bassa diversità, dalla tundra
arbustiva e dalle foreste. L’assenza di megafauna può ristrutturare interi
ecosistemi».
L’Homo sapiens portò
quindi all’estinzione la megafauna sulle terre emerse, modificò l’ambiente ma
non diede origine a nessuna estinzione di massa, nulla di paragonabile alle
grandi estinzioni di massa della terra. Intanto che la megafauna diminuiva
l’uomo ha dovuto inventarsi nuovi modi per sopravvivere: nasce l’agricoltura
«La Terra ha
attraversato più di cinquanta cicli glaciale-interglaciale negli ultimi 2,6
milioni di anni, ciascuno dei quali ha prodotto un effetto profondo sul sistema
Terra, anche sul clima. Al culmine dell’ultima era glaciale, appena 21000 anni
fa, l’America del Nord era attraversata da uno strato di ghiaccio quasi
ininterrotto dalle coste del Pacifico a quelle dell’Atlantico. Nella regione in
cui era più profondo, sopra la baia di Hudson, il ghiaccio aveva uno spessore
di più di 3 km e si estendeva verso sud fino a New York e a Cincinnati».
DigiLands |
Uno dei motivi di
questi cicli glaciali-interglaciali fu proposto nel 1941 dal matematico e
climatologo Milutin Milankovic, le oscillazione dell’orbita terrestre
modificano l’insolazione della superficie terrestre facendo entrare ed uscire
la terra da un’epoca glaciale. La teoria fu più avanti verificata da diversi
studi, secondo i quali la terra ha oggi una configurazione orbitale simile a
quella di 21000 anni fa, cioè il periodo di massima espansione degli strati di
ghiaccio. Quindi noi dovremmo essere oggi in piena epoca glaciale con tutta
l’Europa del nord coperta di ghiaccio fin quasi a lambire le Alpi e gli Urali e
invece ci troviamo in pieno periodo interglaciale.
Ma allora dov’è
il ghiaccio?
«Le bolle d’aria
intrappolate negli strati di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide ci
danno informazioni sulla variazione dei gas serra in passato. L’analisi delle
bolle mostra che i Iivelli di gas serra erano più bassi durante i periodi
glaciali freddi e più alti durante i periodi interglaciale caldi: l’anidride
carbonica variò all’incirca tra 180 e 240 ppm (parti per milione) e il metano
all’incirca tra 350 e 700 ppb (parti per miliardo). I livelli di gas serra sono
una parte essenziale dei circuiti autorinforzanti di feedback positivo che
fanno entrare o uscire il sistema Terra da un’era glaciale. […] i dati delle carote di ghiaccio coprono
gli ultimi otto periodi interglaciali caldi. In ciascuno, i gas serra iniziano
a livelli molto alti e poi diminuiscono lentamente. Studiandoli. Il
paleoclimatologo Bill Ruddiman si è reso conto che l’attuale periodo
interglaciale, l’Olocene, è differente: in questo caso, dopo diverse migliaia
di anni di calo, circa 7000 anni fa hanno iniziato a risalire i livelli di
anidride carbonica e circa 5000 anni fa anche quelli di metano. L idea di
Ruddiman è che i primi agricoltori abbiano causato un’inversione dell’usuale
andamento discendente dell’anidride carbonica atmosferica con la deforestazione
a scopi agricoli e un’inversione dell’andamento discendente del metano
atmosferico con la coltivazione del riso. Questa idea ha provocato molte
controversie, però è stata messa alla prova più e più volte, come si dovrebbe
fare con tutte le ipotesi promettenti, e ne è emersa ancora più forte. Altri
dati raccolti nell’ultimo decennio hanno corroborato I’ipotesi che gli esseri
umani abbiano influenzato clima della Terra migliaia di anni fa».
In definitiva
dall’inizio dell’olocene 11700 anni fa la concentrazione di 280 ppm di CO2
avrebbe dovuto diminuire e dare inizio ad una nuova era glaciale. Ma la
glaciazione non si è verificata a causa dei gas serra rilasciati dai primi
agricoltori che hanno trasformato enormi superfici coperte di foreste, che
immagazzinavano la CO2, in terreni agricoli a basso accumulo di CO2.
E Lewis e Maslin concludono: «ln modo lento e impercettibile, e senza che gli
esseri umani ne fossero consapevoli, il nuovo stile di vita emerso 10500 anni
fa è riuscito a differire un nuovo evento di glaciazione, producendo un impatto
ambientale realmente globale».
Con la comparsa e
la diffusione dell’agricoltura il clima, invece di procedere verso la
glaciazione, rimase mite per parecchie migliaia di anni, iniziarono i commerci,
la popolazione mondiale dai circa 10 milioni inziali passa a 500 milioni,
sorgono imperi e grandi città.
Il
supercontinente Pangea si separò 200 milioni di anni fa. I continenti che si
formarono andarono alla deriva e costituiscono i continenti come li conosciamo
oggi. Assieme ai continenti andarono alla deriva anche tutti i viventi che si
trovavano su quelle terre. I viventi rimasti intrappolati su ciascuno dei
continenti seguirono percorsi evolutivi diversi. Attraverso lo stretto di
Bering, 15000 anni fa, gli uomini raggiunsero le attuali Americhe e nell’arco
di 3000 anni si diffusero in tutto il continente. Nel 1492 Colombo sbarca in
America. Da allora iniziò la navigazione intercontinentale. Quindi, dopo 12000
anni gli europei incontrano i nativi americani e dopo un secolo i nativi
americani stimati in circa 60 milioni, decimati dalle malattie trasmesse dagli
europei e dalla carestia si ridussero a circa 5 milioni. Crollarono i grandi
imperi e con essi l’agricoltura. Enormi distese di terreni agricoli, nell’arco
di circa un secolo, furono invase da foreste che immagazzinarono enormi
quantità di anidride carbonica sottraendola all’atmosfera. I dati ricavati dai
carotaggi dell’Antartide di quel periodo ci indicano una diminuzione dell’anidride
carbonica iniziò dal 1520 fino al 1610 causando un raffreddamento del pianeta
rilevabile nei depositi geologici di tutto il mondo.
In realtà come
Lewis e Muslin evidenziano, intorno al 1350 iniziò la cosiddetta “piccola era
glaciale” causata forse dalla variabilità interna fra le parti interagenti del
sistema Terra. La diminuzione dell’anidride carbonica provocata dal crollo
dell’agricoltura nelle Americhe causò un abbassamento della temperatura che si
sommò e amplificò un fenomeno già in atto.
Con i viaggi intercontinentali
iniziati nel Cinquecento oltre agli uomini e i loro patogeni viaggiarono anche
piante e animali da e per le Americhe e i processi evolutivi di molte specie
cambiarono radicalmente.
Limes |
Attraverso questi scambi, che Lewis e Muslin
chiamano “Globalizzazione 1.0”, cambiò quindi non solo la storia umana ma anche
la storia della Terra. L’accelerazione degli scambi commerciali dal Novecento
ai nostri giorni, sempre secondo gli autori ha determinato una “Globalizzazione
2.0” riunificando di fatto, dopo 200 milioni di anni, i continenti in un nuova
Pangea.
Un secolo più
tardi, con l’avvento della rivoluzione industriale, aumentò il benessere e la
popolazione raggiunse un miliardo all’inizio dell’ottocento e all’inizio del
novecento era già 2 miliardi. Con il progredire della rivoluzione industriale e
l’aumento della popolazione, oggi a 7,5 miliardi, aumenta il fabbisogno di
energia. Inizia lo sfruttamento massiccio dei combustibili fossili che libera
nell’atmosfera enormi quantità di anidride carbonica che fa aumentare l’effetto
serra e con esso la temperatura creando un periodo superintergalaciale.
In conclusione,
il periodo interglaciale Olocene, iniziato 11700 anni fa avrebbe già essersi
concluso e noi dovremmo essere sotto una coltre di ghiaccio. Tra 7000 e 5000
anni fa l’avvento dell’agricoltura, con la trasformazione delle foreste in aree
agricole e l’allevamento (che producono Metano, un gas serra 20 volte più
potente dell’anidride carbonica) furono immesse nell’atmosfera grandi quantità
di gas serra che bloccò il percorso dell’Olocene stabilizzò la temperatura del
pianeta dando origine ad un clima mite. L’avvento dell’era industriale con il
massiccio l’utilizzo dei combustili e il conseguente aumento dei gas serra ha
invertito il percorso dell’Olocene spingendolo fino ad una deglaciazione e
dando origine a ciò che Lewis e Muslin chiamano periodo superinterglaciale.
(Per inciso Lewis e Maslin scrivono: «Per quanto inverosimile nello scenario
politico odierno, in teoria potremmo ridurre l’anidride carbonica atmosferica e
poi mantenere un clima interglaciale costante, […] la composizione chimica dell’atmosfera,
l’acidità degli oceani, l’equilibrio energetico nelle nostre mani».)
E allora, per
ritornare alla domanda iniziale: siamo in un epoca che possiamo definire
Antropocene?
Stiamo
sottoponendo la Terra a colossali sconvolgimenti ambientali, dal cambiamento
del ciclo del carbonio alle microplastiche, dai residui dei metalli dovuti
all’estrazione minerarie, ai residui dei manufatti. A tutto ciò bisogna
aggiungere il full out radioattivo rilasciato dalle esplosioni nucleari che si
sono succeduti dal 1945 fino al 1960, in particolare Carbonio 14, che durerà
almeno per 50000 anni e Cesio 137e plutonio 239 e 240, che dureranno per
milioni di anni. Il risultato delle attività umane si conserverà nel ghiaccio
dei ghiacciai, e nei sedimenti marini e dopo qualche milione di anni nelle
rocce sedimentarie. L’Homo sapiens ha
dato origine ad una nuova economia globale e portato la Terra verso un nuova
traiettoria evolutiva. I futuri geologi troveranno nelle rocce sedimentarie e
nei fossili evidenti tracce della nostra presenza e sicuramente potranno
concludere che qualcuno era già li prima di loro. La maggior parte degli
scienziati ammette che stiamo vivendo in un’epoca dove le attività umane stanno
sconvolgendo il nostro pianeta e come per Lewis e Maslin: «Possiamo concludere
con certezza che viviamo nell’Antropocene».
Alcuni scienziati
pur essendo sostenitori dell’Antropocene hanno sollevato dubbi su punti specifici.
Per esempio nel 2002 su Scienze on line in: “Il ruolo dei gas serra nelle
glaciazioni” viene messo in evidenza uno studio di alcuni scienziati
dell’Università di Sheffield pubblicato sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences. I ricercatori,
guidati da David Beerling, hanno utilizzato le foglie fossili per determinare
quanta anidride carbonica era presente nell'aria durante i vari periodi
dell'era glaciale. Le foglie presentano sulla superficie dei pori, chiamati
stomi, che si aprono e chiudono a seconda dei livelli di anidride carbonica.
«Con grande sorpresa – commenta Beerling – abbiamo scoperto che i livelli di
anidride carbonica non sono saliti in modo significativo quando le calotte
polari iniziarono a sciogliersi. Questo suggerisce che un altro fattore, oltre
al riscaldamento globale, fu responsabile della fine dell'era glaciale. Forse
il Polo Sud si è semplicemente spostato verso un clima leggermente più caldo».
Nel 2012 è stato
pubblicato sulla
rivista “Science”, da Alan Cooper del South Australian Museum
di Adelaide, in Australia, e colleghi uno studio su registrazioni
paleoclimatiche. Secondo i dati raccolti da questi scienziati, 41.000 anni fa si verificò un’inversione del campo
magnetico terrestre che provocò un profondo cambiamento della concentrazione e
della circolazione dell'ozono in atmosfera, influendo sul clima globale in
coincidenza con l'estinzione della megafauna e la scomparsa dei Neanderthal.
Questi studi dimostrerebbero inoltre che l'intensità del campo magnetico
terrestre è andata affievolendosi di circa il 9 per cento negli ultimi 170
anni, con un rapido movimento del polo nord magnetico, alimentando le ipotesi
che una sua inversione sia imminente. Questa previsione ha suscitato molta
preoccupazione, perché un nuovo evento d’inversione dei poli potrebbe causare
una maggiore esposizione alle tempeste solari, con danni stimati in molti
miliardi di dollari al giorno.
Ma l’Antropocene
sta determinando la sesta estinzione di massa?
La maggior parte degli scienziati è d’accordo nel ritenere che
l’Antropocene sta avendo un impatto devastante sulla Biosfera e molti parlano
addirittura di sesta estinzione di massa,
l’estinzione dell’Antropocene.
Si calcola che
normalmente scompaiono almeno 10 specie l’anno per cause naturali. La causa di
queste scomparse è da addebitarsi, alla deriva dei continenti, a variazioni
climatiche locali, ad esplosioni di vulcani cioè ad una naturale scomparsa del
loro habitat.
Secondo molti
scienziati già da oltre un secolo il tasso di estinzioni è aumentato passando a
circa 1000 specie estinte ogni anno. Responsabile di questa accelerazione di
estinzioni di specie, definita da molti la sesta estinzione, sono le attività
umane che modificano continuamente l’habitat”.
Anche se
nei secoli scorsi diversi intellettuali avevano già messo in evidenza i guasti
causati all’ambiente e agli animali dalle attività umane, il campanello di
allarme a livello planetario è squillato per la prima volta intorno al 2000.
Come
riportato da Le Scienze, “Una nuova estinzione di massa”. Sei grandi insiemi di
dati riguardanti piante, uccelli e farfalle, raccolti in Gran Bretagna negli
ultimi 20-40 anni, sono stati usati per confrontare il destino dei tre gruppi.
Le informazioni sugli uccelli sono riassunte in due pubblicazioni ("The
Atlas of Breedings Birds in Britain and ireland", per il periodo
1968-1972, e "The New Atlas of Breeding Birds of Britain and Ireland
1", per il periodo 1988-1991) curate dal British Trust for Ornithology (BTO). «Abbiamo eccellenti informazioni sui cambiamenti nella
distribuzione e nel numero di uccelli in Gran
Bretagna e in Irlanda, - spiega Jeremy Greenwood del BTO - e l'informazione
globalmente è migliore di quella su ogni altro gruppo di animali o piante.
L'analisi dei dati comprensivi su tutte le 201 specie di uccelli native in Gran
Bretagna e Irlanda mostra che, nell'arco di vent'anni, la distribuzione del 56
per cento delle specie è diminuita, dato che va confrontato con un declino del
71 per cento delle specie di farfalle (nell'arco di vent'anni) e del 28 per
cento delle specie di piante (nell'arco di quarant'anni). Il fatto che le
perdite si osservino anche nelle farfalle e nelle piante, oltre che negli
uccelli, dimostra come le attività umane presentino un impatto a 360 gradi
sulla flora e sulla fauna selvatica». Lo studio, presentato in due articoli di
Jeremy Thomas del Natural Environment Research Council (NERC)
Centre for Ecology and Hydrology di Dorchester pubblicati sulla rivista "Science",
sostiene l'ipotesi secondo cui il mondo sta sperimentando un'estinzione di
massa paragonabile alle cinque grandi estinzioni precedenti.
Nel 2002 Mick Frogley, dell'Universitá del Sussex
in “L’uomo più distruttivo delle glaciazioni” in Le
Scienze 2002, ha esplorato un sito vicino al lago Ioannina, nella parte
nordoccidentale della Grecia Frogley ha messo in evidenza come la
deforestazione e il pascolo selvaggio degli ultimi 5000 anni hanno distrutto
importanti specie di alberi che erano sopravvissute all'ultima era glaciale. I
risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista
"Science". Dice Frogley
«Durante l'era glaciale, piante e animali dei climi temperati si rifugiarono in
aree protette, soprattutto nelle regioni meridionali dell'Europa, dove le
condizioni climatiche erano meno estreme. Quando i ghiacci si ritirarono,
queste specie poterono ricolonizzare le regioni settentrionali. Abbiamo
analizzato i pollini fossili dei sedimenti del fondo del lago, possiamo vedere
chiaramente quali specie di alberi furono capaci di sopravvivere a lunghi
periodi glaciali in questa area, e quali sono state poi distrutte
dall'uomo."
Nel 2017 Scienze on line in “Sull’orlo della sesta
estinzione di massa” Due ecologi della Stanford University e dell'Università del Messico Paul R. Ehrligh e Gerardo Ceballos, In un articolo
pubblicato su “Proceedings of the National Academy of Sciences” hanno
presentato uno studio sulle estinzioni delle popolazioni dei mammiferi di medie
e grandi dimensioni. «A causa della diversità e varietà degli habitat
utilizzati dai mammiferi, essi possono servire come un indicatore di ciò che
sta avvenendo globalmente agli animali e alle piante,» dice Ehrlich. I
ricercatori hanno confrontato la distribuzione geografica storica di 177 specie di
mammiferi tra il 1990 e il 2015 con
la loro distribuzione attuale. I risultati hanno mostrato che queste specie
hanno collettivamente perso più del 50 per cento del loro areale storico. Si è
visto anche che le estinzioni delle popolazioni erano concentrate dove le
attività umane sono più dense. Secondo gli autori, anche le stime più
conservative che derivano dal loro studio indicano che circa il 2 per cento
delle popolazioni mondiali di mammiferi è già stato perso. Il pericolo di
un'estinzione di massa, forse peggiore di quelle del passato, potrebbe quindi
essere reale.
Si potrebbe
continuare a lungo a elencare il numero impressionante di lavori pubblicati
negli ultimi vent’anni che riguardano il declino o scomparsa di specie di animali, insetti e piante. Nella
maggior parte dei casi questi lavori sono rimasti materia di confronto tra gli
esperti. Alcuni anni fa è emerso che il rischio di estinzione coinvolgeva anche
le api e altri impollinatori con conseguenze catastrofiche per
l’approvvigionamento del nostro cibo.
Animali volanti |
In quella
occasione, l’allarme per la sorte delle api si diffuse rapidamente con forte
preoccupazione in tutto il mondo. In altre parole, non siamo molto coinvolti se
alcune specie si estinguono, se non viene intaccata la nostra sopravvivenza.
Naturalmente alcuni scienziati non sono preoccupati
della scomparsa di specie perché, come le grandi estinzioni del passato ci
insegnano, le nicchie lasciate libere verranno colonizzate da altre specie. E
inoltre, essi aggiungono, che diritto abbiamo noi di decidere quali specie
devono sopravvivere e quali specie non hanno diritto di emergere.
Eppure, una riflessione si impone perché come scrive
Massimo Sandal in “La malinconia del Mammut” 2019, quando è scomparso l’ultimo
dinosauro non è scomparso solo un dinosauro ma è scomparso l’unico dinosauro
dell’universo.
E allora possiamo concludere questo lungo cammino
riguardante “la vita, le estinzioni di massa, l’Antropocene” con le parole di
Lewis Dartnell tratte dal capitolo “Apocalisse” del saggio di Jim Al-Khalili in “Il futuro che verrà”: «Fare delle previsioni esatte sul ritmo del
cambiamento climatico, e dei suoi effetti locali, è estremamente difficile, in
presenza di un sistema complesso come quello costituito da atmosfera terrestre,
oceani e masse continentali, con tutti i cicli di retroazione implicati. […] Il
rischio è che il cambiamento climatico possa verificarsi così rapidamente che
le nostre infrastrutture si rivelino incapaci di adattarsi, portando al
collasso la civiltà moderna».
Ma questa è una storia che deve essere ancora scritta.
Giovanni
Occhipinti
Il prossimo articolo in autunno: (data probabile fine ottobre)
A che punto siamo con Darwin: dalla pozza calda al microbioma
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