Post n. 45
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Il
darwinismo fu una vera e propria rivoluzione dei pensiero umano e una
indescrivibile spinta alla ricerca scientifica per tutto lo scibile della vita
e della sua origine. Dalla pubblicazione dell’origine delle specie, che ha rivoluzionato la nostra visione del
mondo, sono passati oltre 160 anni. Durante questo lasso di tempo la ricerca
scientifica ha prodotto una enorme quantità di lavori che se da un lato hanno
confermato la teoria nelle sue linee generali dall’altro ha apportato alcune
modifiche.
Origine
della vita e microorganismi non erano argomento di studio di Darwin purtuttavia
alcuni suoi suggerimenti hanno anticipato alcuni risultati che la ricerca
scientifica ha raggiunto dopo oltre un secolo.
Intorno al
1870 in una lettera ad un amico Darwin scriveva: «Se (ed è un se bello grosso)
potessimo immaginare che in una piccola pozza calda, ricca di ammoniaca, sali
fosforici, luce, calore, elettricità, ecc., si fosse formato chimicamente un
composto proteico, pronto a passare attraverso cambiamenti ancor più complessi
[...]». Ma la posiziona ufficiale di Darwin era ferma e chiara: allo stato
attuale delle conoscenze non è possibile (ultra
vires) formulare un teoria sull’origine della vita.
Purtuttavia
nel 1924 A. I. Oparin, che allora ricopriva la cattedra di Biochimica vegetale
all’università di Mosca traduce quest’idea in una sorta di teoria scientifica e
la pubblica in un libro: “Origine della vita”. Secondo Oparin sul nostro
pianeta il carbonio era legato ai metalli sotto forma di carburi. Questi
venendo a contatto con vapore acqueo hanno reagito dando origine a idrocarburi
e per successive reazioni a tanti altri composti organici. Quando la
temperatura sulla superficie della terra scese sotto i 100°C, l’acqua iniziò a
condensare e tutti questi composti, contenuti nell’atmosfera, vennero
trascinati in un “primitivo oceano bollente” dove iniziarono a reagire formando
molecole sempre più grandi.
Nel 1929 J.
B. S. Haldane, senza conoscere le idee di Oparin, pubblica un breve articolo
sull’origine della vita. Secondo Haldane l’atmosfera primitiva non conteneva
Ossigeno ma, probabilmente, H2 (idrogeno), H2O (acqua),
NH3 (ammoniaca), e CH4 (metano) come le atmosfere di
Giove, Saturno e Urano. Molecole più complesse si sarebbero formate
nell’atmosfera per effetto delle radiazioni solari. Questi composti organici,
trascinati dalle piogge si sarebbero accumulati nell’oceano primitivo dove
reagendo avrebbero formato molecole complesse dando origine ad un “brodo caldo
diluito” e qui avrebbero avuto origine i primi organismi.
La “piccola
pozza calda” di Darwin diventa brodo caldo diluito, subito tradotto in “Brodo
Primordiale”. Intorno al 1950 con H. Urey e S. Miller utilizzando una miscela
di gas simili a quella suggerita da Haldane, S. Miller con apporto di energia
(scariche elettriche), riuscì a produrre amminoacidi, che sono componenti delle
proteine, e molte altre sostanze organiche.
Sembrava
quindi confermata la teoria di Haldane della formazione, nell’atmosfera, delle
sostanze fondamentali per l’origine della vita e la loro raccolta in un “Brodo
Primordiale” dove si sarebbe originata la vita.
Ma, come
ampiamente illustrato in “Chimica prebiotica ed origine della vita” Nuova
Edizione 2019, in un brodo primordiale non è possibile la formazione di
composti proteici. E anche se qualcuno vuole sostituire i caldi fondali
dell’antica dorsale oceanica alla pozza calda, la formazione di composti
proteici in ambienti acquosi presenta problemi insormontabili.
In
conclusione sulla spinta dell’idea darwiniana della piccola pozza calda la
ricerca ha scoperto che, tra le molecole fondamentali per l’origine della vita,
è molto probabile che siano comparsi per primi gli amminoacidi con la
conseguente comparsa di composti proteici, anche se non in una pozza calda.
Avviandosi a
concludere “L’origine delle specie” (VI edizione) Charles Darwin scrive:
«Pertanto, basandomi sul principio della selezione naturale con
differenziazione dei caratteri, non mi sembra incredibile che, da alcune di queste
forme inferiori ed intermedie, si possano essere sviluppate tanto gli animali
che le piante; e se ammettiamo questo, dobbiamo ammettere similmente che tutti
gli organismi che sono vissuti sulla terra possono essere discesi da una sola
forma primitiva. Ma questa deduzione si basa essenzialmente sull’analogia per cui poco
importa se venga o meno accettata. Sicuramente è possibile, come afferma G. H.
Lewes, che, ai primi inizi della vita si sono evolute molte forme differenti;
ma, se è così, possiamo dedurre che solo pochissime hanno lasciato discendenti
modificati».
Ma “una sola
forma primitiva” risultò più attraente per gli scienziati e presto venne
tradotta in LUCA (Last Universal Common Ancestor) che rappresentava il tronco
di un enorme numero di alberi della vita che numerosi evoluzionisti si
affrettarono ad illustrare.
Ma con la pubblicazione, nel 1999, dell’albero reticolare di W.F.
Doolittle svanisce il concetto di progenitore universale per lasciare il posto, ad un’aggregazione comune ma
alquanto flessibile di cellule primitive che si evolveva come un’unità e che
infine raggiunse una fase nella quale si spezzettò in varie comunità distinte.
O, come Darwin
aveva suggerito “...solo pochissime hanno lasciato discendenti modificati” anticipando, come già evidenziato, la ricerca
scientifica di oltre un secolo e mezzo.
La teoria di Darwin nelle sue linee
essenziali, in riferimento all’origine delle specie, si basa su tre fatti
fondamentali:
1)
Nascono più individui di quanto ne possano
sopravvivere.
2)
Gli individui non sono tutti uguali ma
presentano delle variazioni.
3) La
selezione naturale: sopravvive l’individuo che presenta la variazione più
adatta in un determinato ambiente.
Tale
selezione naturale procede secondo Darwin in modo lento e progressivo.
Intorno alla
metà del secolo scorso, la scoperta degli acidi nucleici ha riconosciuto il
ruolo fondamentali dei geni come unità fondamentali di controllo
dell’organismo. A seguito di queste scoperte la teoria di Darwin venne ampliata
alla genetica col nome di neodarwinismo, oggi nota come “teoria sintetica”.
Tale teoria, estesa a tutti gli organismi viventi, afferma che la selezione
naturale opera sui geni e che le variazioni di cui parla Darwin sono mutazioni
casuali che compaiono in modo continuo nei geni e vengono trasmesse ai
discendenti. Come la teoria di Darwin anche la teoria sintetica ha una visione lenta e progressiva della selezione naturale.
Come
riportano G. L. Stebbins e F. J. Ayala in “L’evoluzione del darwinismo” Le Scienze
1985, alcuni studi condotti negli anni settanta e ottanta avvalorano l’ipotesi
che lo sviluppo di variazioni nel DNA sia stimolato da un tipo di determinismo
molecolare, e non solo dal puro caso. Inoltre secondo la teoria della
neutralità di M. Kimura il caso controlla non solo la comparsa iniziale delle
variazioni genetiche ma anche la loro successiva affermazione in una
popolazione. Sempre all’interno di una visione evoluzionistica Telmo Pievani in
“Ripensare Darwin?” le Scienze 2015 evidenzia come alcune scoperte degli ultimi
vent’anni abbiano spinto alcuni evoluzionisti a sostenere la necessità di
costruire una “sintesi evoluzionistica estesa” ovvero una teoria che non si
limiti a spiegare l’evoluzione solo attraverso geni e selezione.
Sono argomenti
che riguardano gli addetti ai lavori, che provocano spesso roventi polemiche e
che non hanno ancora trovato una sintesi. In questo articolo non ci occupiamo
di questi argomenti né di piccole popolazioni, ma vogliamo trattare solo quegli
eventi macroscopici della storia della vita, ormai universalmente accettate
dagli evoluzionisti, che sono sicuramente non darwiniani o non neodarwiniani.
Intorno agli
anni settanta e ottanta sono state scoperte quattro eventi non darwiniani,
argomenti di cui Darwin non poteva essere a conoscenza:
L’endosimbiosi,
la teoria degli equilibri punteggiati, la trasmissione laterale, l’epigenetica.
Endosimbiosi
La vita ebbe origine sotto forma di organismi
unicellulari simili agli
odierni batteri, chiamati procarioti. Le cellule dei procarioti sono costituite da
una membrana cellulare, o membrana plasmatica, che separa la cellula
dall’ambiente esterno. All’interno della cellula si trova un fluido, il
citoplasma, che contiene il materiale genetico, un organello per la sintesi delle
proteine (Ribosoma), enzimi, e piccole molecole. La cellula eucariote dalla cui evoluzione discendiamo anche noi, è
più grande della cellula dei procarioti e il suo cromosoma è contenuto in un
nucleo centrale distinto. Gli eucarioti si distinguono dai procarioti perché
contengono organelli in particolari i mitocondri, che attraverso ossigeno e
nutrienti producono energia, e nelle cellule vegetali anche i plastidi noti
come cloroplasti nelle piante verdi.
Come illustra
David Quammen in “L’albero intricato” 2020, l’ipotesi di un’origine
endosimbiotica degli eucarioti nasce nel 1907 ad opera di Konstantin Merezkovskij, il quale aveva suggerito che organelli cellulari come i cloroplasti fossero ciò che restava di batteri catturati da
batteri più grandi e dai quali si erano evoluti. Merezkovskij fu considerato
per lungo tempo un pazzo, anche per la sua turbolenta vita, e la sua idea fu
bollata come “una fantasia divertente”.
Per più di mezzo secolo quest’ipotesi fu quasi del tutto dimenticata, ma
nel 1967 fu ripresa da una giovane e tenace ricercatrice, Lynn Margulis che
pubblicò un articolo sul “Journal of Theoretical Biology dove esplicitò meglio
la teoria anche con disegni che ne illustravano il processo. In un articolo Pubblicato nel 1971 “Simbiosi ed evoluzione”
Le Scienze, sostenne che
le cellule prive di nucleo furono le prime a evolversi; quelle con nucleo non
sono, tuttavia, semplici discendenti mutanti del tipo più antico di cellula, ma
il prodotto di un diverso processo evolutivo: un'unione simbiotica di parecchie
cellule prive di nucleo. In altre occasioni
ebbe modo di affermare che il neodarwinismo si sbagliava riguardo alla
principale fonte di variazione genetica che dà impulso all’innovazione
evolutiva. Con un chiaro riferimento a Darwin ha aggiunto che la vera novità
evolutiva deriva dalla simbiosi e che la vita sulla terra ha seguito la via
della cooperazione e non della lotta per la sopravvivenza.
Malgrado in quegli
anni, attraverso la microscopia elettronica, fosse stato scoperto che
mitocondri e cloroplasti contenessero DNA, il mondo scientifico dell’epoca considerava la Margulis una scienziata intelligente, caparbia, ma in preda
ad un’idea balorda e da qualcuno anche detestata. Nei decenni
successivi Lynn Margulis non smise di pubblicizzare le sue idee, ma si è dovuto attendere il 1992, dopo il sequenziamento del loro DNA, per
avere la conferma che questi organelli erano discendenti di batteri catturati
in epoche remote. Konstantin Merezkovskij e Lynn Margulis avevano
visto giusto, la cellula eucariote aveva avuto origine per endosimbiosi: un
Archea ha ospitato un proteo batterio che successivamente si è evoluto in
mitocondrio.
Gli equilibri punteggiati.
Natura non facit saltus; principio utilizzato anche da Darwin nell’origine delle specie per
sottolineare che l’evoluzione delle specie è lenta e graduale. Poiché la
documentazione fossile non confermava una tale evoluzione, Darwin concluse che
essa era incompleta.
La Sintesi Moderna Tradusse questa idea affermando che i cambiamenti che si
osservavano nelle specie erano riconducibili a piccole mutazione che in modo
graduale si accumulavano nel corredo genetico.
Ne 1972 Stephen J. Gould e Niels Eldredge iniziarono a pubblicare i primi
articoli su tale problematica compendiate in, “Gli equilibri punteggiati” 2008
(Ed. Italiana) di S. J. Gould e “Rivedere Darwin” di N. Eldredge. Come scrive
S. J. Gould nel suo saggio «[…] provavo un grande disagio a causa della
convinzione Darwiniana per cui ogni testimonianza non inseribile in una
sequenza gradualistica andava attribuita a imperfezione nella documentazione
fossile» E N. Eldredge: «La semplice estrapolazione non esiste. L’ho scoperto
nel lontano 1960, quando tentai invano di documentare esempi di quel genere di
cambiamento lento e costante che tutti noi pensavamo dovesse esistere, sin da
quando Darwin disse che la selezione naturale dovrebbe lasciare proprio tale
segnale rivelatore nei fossili che raccoglievamo nelle pareti scoscese. Scoprii
invece che una volta comparse nei reperti fossili, le specie non tentano
affatto a cambiare granché, ma rimangono imperturbabilmente e implacabilmente
resistenti al cambiamento, com’è naturale, spesso per milioni di anni».
In definitiva, secondo i due ricercatori non era la documentazione fossile
ad essere incompleta ma la teoria ad essere sbagliata. Non c’è un’evoluzione
lenta e graduale. Le specie appaiono e in pochi millenni raggiungono le loro
caratteristiche principali dopodiché
per milioni di anni entrano in una fase di “stasi” durante la quale si
ha un’evoluzione lenta e graduale con variazioni quasi impercettibili.
Ma S. J. Gould aggiunse: «La proposizione centrale dell’equilibrio
punteggiato afferma che la grande maggioranza delle specie, così come ci sono
presentate nella documentazione fossile attraverso la ricostruzione della loro
variazione anatomica e geografica, compare in istanti geologici (punteggiature)
e rimane poi immutata (stasi) durante la loro lunga esistenza. […].
L’equilibrio punteggiato non si limita ad asserire l’esistenza di un fenomeno,
ma si arrischia a fare un’affermazione ben più forte, cioè quella della sua
predominanza come modello macroevolutivo su scala geologica».
Apriti cielo, si scatenò una valanga di polemiche e di accuse; I Darwinisti
ortodossi, con Richard Dawkins in primis, accusarono in particolare Gould di
minare alle fondamenta la teoria di Darwin e di favorire le argomentazione dei
creazionisti. Quando dogma e ideologie cristallizzano le idee. Nei vent’anni
successivi alla pubblicazione del primo articolo sulla teoria degli equilibri
punteggiati diede origine ad una grande mole di dibattiti. Altri dati aggiunti
da numerosi ricercatori hanno confermato la teoria che corregge ma non nega la
teoria di Darwin.
Giovanni Occhipinti
Interessantissima la teoria dell'endosimbiosi. Apre uno scenario che è affascinante e propone come motore dell'evoluzione il principio di collaborazione a fronte di quello della competizione per la sopravvivenza. Non sono da trascurare le implicazioni teoriche in altri ambiti, per prime le scienze sociali
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