martedì 29 novembre 2022

LA VITA OLTRE LA TERRA

 Post n. 47

 

Ma quante sono le Galassie nell’universo, quante stelle e quanti pianeti? Non lo sappiamo, alcuni scienziati stimano che le galassie sono circa 100 miliardi altri in 500 miliardi, un numero enorme comunque. Una stima più realistica fatta da diversi scienziati considera l’universo formato da circa 200 miliardi di galassie. La nostra galassia conterrebbe 200milardi di stelle e anche se non tutte fanno parte di un sistema solare, questi ultimi sarebbero un numero enorme attorno ai quali ruota un numero sterminato di pianeti (esopianeti). 

E quanti sono i pianeti che potrebbero ospitare la vita?

Come riporta Alan Boss in “L’universo affollato” 2009, nel 1995 Michel Mayor pubblicò la scoperta del primo pianeta extrasolare attorno ad una stella di tipo solare 51 Pegaso. Il pianeta, denominato 51 Pegaso b, aveva una massa metà di quella di Giove e un ciclo orbitale di 4,2 giorni rispetto ai 12 anni di Giove. Nello stesso anno George Wetherill, che aveva studiato a lungo il problema della formazione dei sistemi solare, attraverso simulazioni al computer era arrivato alla conclusione che sistemi planetari si possono formare anche su stelle sia con massa doppia sia con massa la metà di quella del sole. La scoperta di Mayor e le conclusioni di Wetherill diede l’avvio, in tutto il mondo, alla caccia degli esopianeti. Nel giro di un decennio furono scoperti 120 pianeti extrasolari, la maggior parte dei quali ruota attorno a Nane rosse, tutti pianeti delle dimensioni di Giove e gassosi, altri rocciosi di circa 2-10 volte le dimensioni della terra e denominate super-terre

Le Nane rosse sono un tipo di stelle hanno un massa tra 0,5 e 0,1 masse solari e sembra che costituiscano l’80% delle stelle della via lattea. La maggior parte di queste stelle, a causa della loro bassa luminosità, non sono visibili ad occhio nudo.

Quando Dimitar Sasselov scrisse il sul saggio “Un’altra Terra” 2012, era già note circa 600 pianeti scoperti all’interno di un cerchio di 500 anni luce della nostra galassia, tutti esopianeti di tipo Gioviani o Super Terre. Sasselov stimò in 100 milione i pianeti che potrebbero ospitare la vita, in questa stima erano comprese le super Terre. A quell’epoca si era già coscienti che la tecnologia dell’epoca permetteva di rilevare facilmente grandi pianeti, pur tuttavia molti scienziati erano dell’idea che i grandi pianeti predominassero nei sistemi solari.

it.wikipedia.org/wiki/Super_Terra

  

 

Sasselov ha incluso le super Terre tra i pianeti abitabili perché li considera migliori della Terra come abitabilità. Egli ha osservato che la vita non può esistere in un sistema in equilibrio ed ha bisogno quindi continuamente di materiali ed energia. Tutto ciò sulle terra viene fornito dalla tettonica a placche che determina la deriva dei continenti che nell’arco di quattrocentomila anni ricicla tutto il materiale della crosta terrestre: il cosiddetto ciclo carbonato-silicato. L’emissione di CO2 e la presenza di acqua creano su nostro pianeta un potente termostato che mantiene la temperatura entro un intervallo favorevole alla vita. Ma la tettonica a placche rende il pianeta dinamico in continuo rinnovamento e vitale. Tale condizione, all’interno del nostro pianeta, è determinata dalla presenza di un nucleo fuso. Marte è troppo piccolo per avere un consistente nucleo fuso al suo interno. Le super Terre rocciose avranno senza dubbio un nucleo fuso più grande di quello della terra e quindi avere una tettonica a placche più sostenuta che potrebbe riciclare più materiali e sostenere meglio la vita.

Con lo sviluppo delle tecniche di rilevamento e in particolare l’utilizzo dei telescopi spaziali i pianeti noti oggi sono circa 5000 e tra questi alcuni delle dimensioni terresti.

L’interesse degli scienziati si è quindi spostato su pianeti di massa terrestre e riaccese una domanda che l’umanità si pone da tempo:

C’è vita nello spazio? E se c’è vita nello spazio essa è simile alla nostra? E potrebbe esistere una vita molto diversa dalla nostra, cioè basata su elementi chimici diversi?

Alla prima domanda si ricollega Iris Fly in “L’origine della vita sulla terra”, (2005), quando riporta le idee di Shapiro e Feinberg. Questi autori suggeriscono che una definizione di vita dovrebbe essere indipendente dai caratteri locali della vita sulla terra. Essi sostengono che la vita è l’attività di un sistema altamente ordinato di materia ed energia caratterizzato da cicli complessi che mantengono o aumentano gradualmente l’ordine. La vita sarebbe quindi innata nella materia. Essi ritengono quindi possibile anche una vita fondata sui silicati. In particolare, poiché a 1000°C i silicati diventano liquidi, in un pianeta vicino al sole o all’interno del nostro pianeta, potrebbe essersi evoluta una vita fondata sui silicati.

Naturalmente non poteva mancare chi congettura ambienti diametralmente opposti. Titano il satellite di Saturno, sembra abbia un oceano di idrocarburi liquidi alla temperatura di -180°C dove galleggiano isole di acqua ghiacciata. Secondo Goldsmith su titano potrebbe essersi evoluta una vita basata su idrocarburi. La ricerca scientifica ha però dimostrato che non può esserci vita senza atmosfera, energia e acqua liquida.

Per rispondere alla seconda domanda partiamo dalla constatazione che tutti gli elementi chimici, di cui sono composti i pianeti e le sostanze fondamentali per la vita, sono stati prodotti dall’evoluzione e dal collasso delle stelle massicce. L’esplosione finale di tali stelle ha disperso gli elementi prodotti nello spazio. Successive aggregazioni e reazioni di tali elementi hanno dato origine a nubi di gas e polveri che hanno dato origine a sistemi solari. Quindi in linea generale possiamo dire che, tutti i sistemi solari dell’universo, hanno a disposizione gli stessi elementi chimici che ha avuto la vita nel nostro sistema solare.

Ebbene, pur avendo a disposizione 92 elementi chimici naturali, gli organismi viventi per il 96% del suo peso ne utilizzano solo 4: H (idrogeno), O (ossigeno), N (Azoto), C (Carbonio), a cui bisogna aggiungere piccole percentuali di P (fosforo) e S (zolfo). Insieme questi 6 elementi vengono detti “elementi biogeni”. Essi danno origine a tutte le molecole fondamentali della materia vivente. Dalla sintesi di queste molecole hanno origine tutti i polimeri necessari all’origine e all’evoluzione della vita.

Ora data la necessità della presenza di una atmosfera e di energia e di acqua liquida è possibile che qualche altro elemento possa sostituire il carbonio?

Nella tavola periodica degli elementi, il silicio (Si) sta sotto il carbonio C e contiene, come il carbonio, 4 elettroni nell’ultima orbita che danno origine a quattro legami. Inoltre il silicio è un elemento abbondante nell’universo e specialmente sul nostro pianeta.

L’argomento, da un punto di vista chimico, è stato ampiamente affrontato nell’articolo: “Noi, gli Alieni, la materia: Ma un’altra vita è possibile?”, etichetta L, a cui vi rimando e di cui riporto le conclusioni:

In riferimento al silicio, Mario Ageno (Lezioni di Biofisica 3 1984) aggiunge: «[…] il silicio è completamente inadatto come materiale di costruzione per organismi viventi […]»

Possiamo quindi concludere che, per le peculiarità delle loro strutture atomiche, gli elementi biogeni sono gli unici che, attraverso i loro composti, sono adatti a svolgere, negli organismi viventi, le numerose funzioni biologiche. La materia non ci fornisce altra soluzione: il passaggio fu obbligato.

Inoltre, poiché le leggi della fisica e della chimica sono universali se, date alcune condizioni, in altri sistemi solari si manifesta la vita, essa utilizza gli stessi elementi biogeni e le stesse macromolecole che utilizzano gli organismi viventi terrestri.

Ma come deve essere un pianeta per dare origine alla vita?

Per rispondere a questa domanda bisognerebbe innanzitutto conoscere come ha avuto origine la vita sul nostro pianeta. Esistono due visioni sull’origine della vita sul nostro pianeta: quella di Jaques Monod “Il caso e la necessità”1979 secondo cui l’origine delle vita sulla terra è stato un fatto casuale, il nostro numero è uscito alla roulette, o per dirla con Crick  quasi un miracolo, e quella di Christian De Duve “Polvere vitale” 1995 secondo cui la vita è il prodotto di forze deterministiche; la vita non poteva non avere origine nelle condizioni allora dominanti e avrà similmente origine dovunque e ogni volta si ripresentano le medesime condizioni.

Ci sono poi delle teorie che sembrano lontane da Monod ma in realtà ricadono nella casualità di Monod. È ormai un fatto accertato e da tutti gli scienziati condiviso che affinché la vita possa avere origine tutte le sostanze ad essa necessarie devono essere selezionate, accumulate e poste nelle condizioni di reagire. Le teorie attualmente più accreditate sono: la teoria del brodo primordiale, la teoria del mondo a “Mondo a RNA” che postula l’origine di molecole autoreplicanti in bacini idrici, la teoria dell’origine della vita nei fondali oceanici in prossimità delle bocche idrotermali. Tutte queste teorie non sono sostenute da conoscenze precise perché non spiegano in che modo le sostanze necessarie all’origine della vita si sarebbero selezionate, accumulate e come avrebbero interagito per dare origine alle macromolecole che costituiscono la vita, esse sono più idee che teorie e sono collegate alla casualità di Monod. In ambiente acquoso solo un miracolo potrebbe aver originato la vita.

Ebbene, queste idee, associate al fatto che sulla Terra l’acqua è necessaria alla vita ha portato molti astronomi e astrobiologi a ritenere che una condizione necessaria, cioè la presenza dell’acqua, fosse anche sufficiente. E allora dove cercare la vita nello spazio? Ovunque c’è acqua illudendosi così che la vita possa essersi originata anche sotto la coltre solida di Europa satellite di Giove dove sembra ci sia acqua liquida.

Ora, non si capisce perché alcuni astronomi, astrobiologi e ricercatori del SETI continuano a cercare la vita oltre la terra e nel contempo accettano le idee collegate alla teoria di Monod. Non si capisce perché sprecare tempo, energie e risorse alla ricerca di un evento la cui probabilità, su 100 milioni di pianeti è praticamente zero.

Se si vuole cercare la vita in altri pianeti bisogna invece appellarsi all’universalità delle leggi della fisica e prendere coscienza del fatto che la vita, in ogni parte dell’universo, è il risultato di forze deterministiche. La visione di De Duve si collega direttamente alla teoria di Bernal la quale postula come l’argilla, in epoca prebiotica, abbia potuto selezionare, accumulare, proteggere e far interagire le sostanze necessarie alla vita. Tale teoria è stata ampiamente esplicitata in “Chimica prebiotica ed origine della vita” 2019.

L’argilla, però, si forma in presenza di rocce, acqua e atmosfera. Allora, se la vita ha bisogno di argilla per emergere bisogna ricercare pianeti che contengono anche una parte rocciosa.

In conclusione i pianeti su cui è possibile che la vita si sia originata devono ricevere energia da una stella, deve contenere un’atmosfera, deve avere una terraferma e deve avere una distanza tale dalla stella da permettere acqua allo stato liquido. Queste condizioni sono ciò che definisce una zona abitabile. Queste sono condizioni minime perché, come suggeriscono gli astrobiologi, il pianeta deve possedere anche un nucleo fuso tale da permettere presenza di un campo magnetico per deviare il vento solare, letale per la vita, e permettere una tettonica a placche per riciclare elementi chimici.

Soddisfatte queste condizioni è possibile che in questi pianeti possa essersi originata la vita?

Come abbiamo detto, le leggi della fisica sono universali e secondo De Duve non solo la vita ma anche l’intelligenza emerge ovunque e ogni volta le circostanze lo permettono.

Quindi le leggi della fisica permettono l’origine della vita in altri pianeti con le caratteristiche già elencate, ma poi la vita in quei pianeti può aver avuto veramente origine?

Peter Ward (geologo e paleontologo) e David Brownlee (astronomo e astrobiologo) hanno condotto approfondite riflessioni sull’argomento e ritengono che sì, la vita può essersi originata in altri pianeti. Nel suo saggio “Fisica dell’impossibile” M. Kaku, 2010, riporta il loro pensiero «Riteniamo che la vita, sotto forma di microbi e altri organismi equivalenti, sia molto diffusa nell’universo». Come abbiamo detto se le leggi della fisica sono universali, allora non si può non condividere le riflessioni di Ward e Brownlee.

Ma dall’evoluzione di questi organismi può, come suggerisce De Duve, emergere anche l’intelligenza? E qui iniziano a serpeggiare seri dubbi.

Secondo alcuni scienziati affinché la vita possa evolvere (oltre alle condizioni già elencate: Energia, atmosfere, acqua, terraferma e nucleo centrale fuso per generare un campo magnetico e la tettonica a zolle) è necessaria anche la presenza di un pianeta gigante come Giove per farci evitare impatti con asteroidi e comete e la presenza di una Luna per stabilizzare l’asse della terra. Infine si sono aggiunti un’adeguata rotazione del pianeta e la giusta distanza dal centro della galassia. Trovare nella Galassia un pianeta che soddisfi queste condizioni è un problema un po’ arduo. E M. Kaku riporta ancora le riflessioni di  Ward e Bronwlee: «È probabile, invece, che le forme complesse, gli animali e le piante superiori, siano molto più rare di quanto si fosse soliti pensare”. In realtà, scrive ancora Kaku, Ward e Brownlee non escludono la possibilità che la terra sia, nella Galassia, l’unico pianeta popolato da forme di vita animale.

Il famoso biologo Ernst Mayr è della stessa opinione, ma guarda il problema da un punto di vita biologico.  Egli ha elencato un dozzina di colli di bottiglia evolutivi che l’intelligenza ha dovuto superare sul nostro pianeta e non è detto che ciò sia possibile in qualche altro pianeta.

Secondo De Duve l’intelligenza emerge ovunque e ogni volta le circostanze lo permettono. Il fatto è che le stringenti condizioni fisiche associate ai processi evolutivi riducono veramente al lumicino tali circostanze e quindi la probabilità dell’emergere dell’intelligenza.

Pur tuttavia molti scienziati continuano però a pensare che visto l’enorme numero di pianeti nella nostra galassia non si può escludere che in alcuni di essi la vita non abbia raggiunto qualche forma di intelligenza.

Sorge però un problema. L’universo agli inizi era costituito principalmente di Idrogeno. Dalla fusione nucleare di questo elemento all’interno delle stelle massicce e dalla loro esplosione hanno avuto origine tutti gli altri elementi che sono stati dispersi nello spazio. Le stelle massicce hanno impiegato circa 5-6 miliardi di anni per fertilizzare lo spazio. In questa prima fase dell’universo, la quantità di carbonio, azoto e ossigeno era scarsa, e non potevano esistere pianeti rocciosi perché non c’era silicio a sufficienza. Quindi i primi sistemi solari con pianeti rocciosi si sono formati circa 7 miliardi

 

it.wikipedia.org/wiki/Formazione_ed_evoluzione_del_sistema_solare


  

 di anni fa, cioè tre miliardi di anni prima della formazione della terra. Certamente in tre miliardi di anni si saranno formati molti sistemi solari con tantissimi pianeti e tanti di questi in zone abitabili. Se la vita fosse comparsa in alcuni di questi pianeti in zone abitabili e si fosse evoluta come sulla terra fino a produrre l’intelligenza, questi esseri, queste forme di vita aliena, avrebbero su di noi un vantaggio tecnologico enorme. Forse non un vantaggio di 3 miliardi di anni e nemmeno di due o di uno, ma almeno di parecchi milioni di anni e con questo vantaggio tecnologico avrebbero avuto anche il tempo di conquistare la galassia. 

Ritorna allora la domanda: dove sono tutti quanti?

E qui gli scienziati si sono sbizzarriti nelle soluzioni più disparate. Le soluzioni che vanno per la maggiore sono

Gli alieni non sono interessati a lasciare i loro mondi e andare in giro per la galassia.

Tutti gli alieni sparsi nei vari pianeti della galassia non vogliono abbandonare i loro mondi?

I loro mondi sono stati distrutti da piogge di meteoriti o comete.

Tutti i mondi possibili distrutti da piogge di meteoriti?

Forse si sono autodistrutti, provocando disastri climatici, pandemici e nucleari.

Saranno stati mica tutti così stupidi come gli umani!

Ma forse la soluzione più credibile è quella di Ward e Brownlee. Probabilmente la vita è molto diffusa nell’universo ma sotto forma di microbi mentre le forme complesse sono molto rare. Se aggiungiamo i colli di bottiglie evolutivi che l’intelligenza deve superare vien voglia di concludere che noi siamo gli unici.

Stephen Awking, in “Le mie risposte alle grandi domande” 2018, non ha perso però la speranza e scrive: «Dal canto mio, preferisco che là fuori ci siano altre forme di vita intelligenti ma che, finora, siamo sfuggiti alla loro attenzione. …Dovremmo però stare attenti a eventuali comunicazioni aliene prima di esserci sviluppati un po’ di più. Al nostro stadio attuale, un incontro con una civiltà più avanzata della nostra sarebbe paragonabile all’incontro degli indigeni America con Colombo: non penso proprio che, col senno di poi, gli indigeni lo abbiano giudicato un evento felice» (*)

Vorrei chiudere questo articolo sintetizzando la conclusione di Stephen Webb in “Se l’universo brulica di alieni… dove sono tutti quanti?” 2018.

Stiamo cercando un pianeta che abbia una fonte di energia, un’atmosfera, acqua allo stato liquido e una terraferma.

Stiamo cercando un pianeta che contenga un nucleo fuso per poter generare un campo magnetico e sostenere una tettonica a zolle.

Stiamo cercando un pianeta nel cui sistema solare ci sia una pianeta gigante come Giove che faccia da scudo alla pioggia di meteoriti e che possegga anche una luna per stabilizzare l’asse del pianeta.

Stiamo cercando un pianeta che abbia un’adeguata rotazione del pianeta e la giusta distanza dal centro della galassia.

Stiamo cercando un pianeta che sia rimasto abitabile per miliardi di anni.

«Stiamo cercando forme di vita intelligente che abbiano sviluppato una consapevole autocoscienza. … Stiamo cercando esseri intelligenti consapevoli, fabbricatori di utensili e comunicativi che vivano in gruppi sociali (in modo da sfruttare i benefici della civiltà) e che sviluppino gli strumenti della scienza e della matematica.

Stiamo cercando noi stessi ...».

                                                                                          Giovanni Occhipinti

 (*) Quando la scienza non accetta la critica e diventa dogmatica.

Nel 2005 scrissi un articolo, nel giornale scolastico Il Magistraccio, “Sull’origine della vita” che si concludeva:

 

«[…] E la vita fuori dal nostro sistema solare esiste?

E perché no, anzi potrebbe essere più diffusa di quel che noi pensiamo.

Il problema è: la vita fuori dal nostro sistema solare che grado di evoluzione ha raggiunto?

La nostra tecnologia avanzata la possiamo far partire dalla scoperta della radio e della fusione nucleare; meno di un secolo. E cosa è un secolo, l00 anni paragonati a oltre 3.000.000.000 di anni data dell’inizio della vita sul nostro pianeta. La probabilità che la vita altrove si trovi al nostro stadio di evoluzione è praticamente nulla.

Noi mandiamo segnali in tutte le direzioni dell’universo: ma chi e il destinatario?

Se la vita in qualche altro pianeta non ha raggiunto il nostro grado di evoluzione e di tecnologia:

non ci capiscono!

Se la vita ha superato il nostro grado di evoluzione, immaginiamo degli alieni un milione di anni più evoluti di noi:

speriamo non ci capiscano!

Perché il rischio è di fare la fine degli indiani d’America, con l’aggravante che noi abbiamo urlato ai quattro venti: .... SIAMO QUI».

 

Per questa conclusione, da qualche collega, sono stato rimproverato di trasmettere un messaggio sbagliato, perché la ricerca scientifica deve essere libera, in tutte le direzioni e senza paletti.

A distanza di anni, mi fa piacere sapere che non sono solo.

  

Prossimo articolo: Origine della vita: prima molecole autoreplicanti (Mondo a RNA), o prima le proteine? La ricerca di un punto di incontro per superare una dicotomia che da oltre mezzo secolo blocca la soluzione del problema.

 


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