Post n. 47
Ma
quante sono le Galassie nell’universo, quante stelle e quanti pianeti? Non lo
sappiamo, alcuni scienziati stimano che le galassie sono circa 100 miliardi
altri in 500 miliardi, un numero enorme comunque. Una stima più realistica
fatta da diversi scienziati considera l’universo formato da circa 200 miliardi
di galassie. La nostra galassia conterrebbe 200milardi di stelle e anche se non
tutte fanno parte di un sistema solare, questi ultimi sarebbero un numero
enorme attorno ai quali ruota un numero sterminato di pianeti (esopianeti).
E quanti sono i pianeti che potrebbero ospitare la vita?
Come riporta Alan
Boss in “L’universo affollato” 2009, nel 1995 Michel Mayor pubblicò la scoperta
del primo pianeta extrasolare attorno ad una stella di tipo solare 51 Pegaso.
Il pianeta, denominato 51 Pegaso b, aveva una massa metà di quella di Giove e
un ciclo orbitale di 4,2 giorni rispetto ai 12 anni di Giove. Nello stesso anno
George Wetherill, che aveva studiato a lungo il problema della formazione dei
sistemi solare, attraverso simulazioni al computer era arrivato alla
conclusione che sistemi planetari si possono formare anche su stelle sia con
massa doppia sia con massa la metà di quella del sole. La scoperta di Mayor e
le conclusioni di Wetherill diede l’avvio, in tutto il mondo, alla caccia degli
esopianeti. Nel giro di un decennio furono scoperti 120 pianeti extrasolari, la
maggior parte dei quali ruota attorno a Nane rosse, tutti pianeti delle
dimensioni di Giove e gassosi, altri rocciosi di circa 2-10 volte le dimensioni
della terra e denominate super-terre
Le Nane rosse
sono un tipo di stelle hanno un massa tra 0,5 e 0,1 masse solari e sembra che
costituiscano l’80% delle stelle della via lattea. La maggior parte di queste
stelle, a causa della loro bassa luminosità, non sono visibili ad occhio
nudo.
Quando Dimitar
Sasselov scrisse il sul saggio “Un’altra Terra” 2012, era già note circa 600
pianeti scoperti all’interno di un cerchio di 500 anni luce della nostra
galassia, tutti esopianeti di tipo Gioviani o Super Terre. Sasselov stimò in
100 milione i pianeti che potrebbero ospitare la vita, in questa stima erano
comprese le super Terre. A quell’epoca si era già coscienti che la tecnologia
dell’epoca permetteva di rilevare facilmente grandi pianeti, pur tuttavia molti
scienziati erano dell’idea che i grandi pianeti predominassero nei sistemi
solari.
it.wikipedia.org/wiki/Super_Terra |
Sasselov ha
incluso le super Terre tra i pianeti abitabili perché li considera migliori
della Terra come abitabilità. Egli ha osservato che la vita non può esistere in
un sistema in equilibrio ed ha bisogno quindi continuamente di materiali ed
energia. Tutto ciò sulle terra viene fornito dalla tettonica a placche che
determina la deriva dei continenti che nell’arco di quattrocentomila anni
ricicla tutto il materiale della crosta terrestre: il cosiddetto ciclo
carbonato-silicato. L’emissione di CO2 e la presenza di acqua creano
su nostro pianeta un potente termostato che mantiene la temperatura entro un
intervallo favorevole alla vita. Ma la tettonica a placche rende il pianeta
dinamico in continuo rinnovamento e vitale. Tale condizione, all’interno del
nostro pianeta, è determinata dalla presenza di un nucleo fuso. Marte è troppo
piccolo per avere un consistente nucleo fuso al suo interno. Le super Terre
rocciose avranno senza dubbio un nucleo fuso più grande di quello della terra e
quindi avere una tettonica a placche più sostenuta che potrebbe riciclare più
materiali e sostenere meglio la vita.
Con lo sviluppo
delle tecniche di rilevamento e in particolare l’utilizzo dei telescopi
spaziali i pianeti noti oggi sono circa 5000 e tra questi alcuni delle
dimensioni terresti.
L’interesse degli
scienziati si è quindi spostato su pianeti di massa terrestre e riaccese una
domanda che l’umanità si pone da tempo:
C’è vita nello
spazio? E se c’è vita nello spazio essa è simile alla nostra? E potrebbe
esistere una vita molto diversa dalla nostra, cioè basata su elementi chimici diversi?
Alla prima
domanda si ricollega Iris Fly in “L’origine della vita sulla terra”, (2005), quando
riporta le idee di Shapiro e Feinberg. Questi autori suggeriscono che una definizione
di vita dovrebbe essere indipendente dai caratteri locali della vita sulla
terra. Essi sostengono che la vita è l’attività di un sistema altamente
ordinato di materia ed energia caratterizzato da cicli complessi che mantengono
o aumentano gradualmente l’ordine. La vita sarebbe quindi innata nella materia.
Essi ritengono quindi possibile anche una vita fondata sui silicati. In
particolare, poiché a 1000°C i silicati diventano liquidi, in un pianeta vicino
al sole o all’interno del nostro pianeta, potrebbe essersi evoluta una vita
fondata sui silicati.
Naturalmente non
poteva mancare chi congettura ambienti diametralmente opposti. Titano il
satellite di Saturno, sembra abbia un oceano di idrocarburi liquidi alla
temperatura di -180°C dove galleggiano isole di acqua ghiacciata. Secondo
Goldsmith su titano potrebbe essersi evoluta una vita basata su idrocarburi. La
ricerca scientifica ha però dimostrato che non può esserci vita senza
atmosfera, energia e acqua liquida.
Per rispondere
alla seconda domanda partiamo dalla constatazione che tutti gli elementi
chimici, di cui sono composti i pianeti e le sostanze fondamentali per la vita,
sono stati prodotti dall’evoluzione e dal collasso delle stelle massicce.
L’esplosione finale di tali stelle ha disperso gli elementi prodotti nello
spazio. Successive aggregazioni e reazioni di tali elementi hanno dato origine
a nubi di gas e polveri che hanno dato origine a sistemi solari. Quindi in
linea generale possiamo dire che, tutti i sistemi solari dell’universo, hanno a
disposizione gli stessi elementi chimici che ha avuto la vita nel nostro
sistema solare.
Ebbene, pur
avendo a disposizione 92 elementi chimici naturali, gli organismi viventi per
il 96% del suo peso ne utilizzano solo 4: H (idrogeno), O (ossigeno), N
(Azoto), C (Carbonio), a cui bisogna aggiungere piccole percentuali di P
(fosforo) e S (zolfo). Insieme questi 6 elementi vengono detti “elementi
biogeni”. Essi danno origine a tutte le molecole fondamentali della materia
vivente. Dalla sintesi di queste molecole hanno origine tutti i polimeri
necessari all’origine e all’evoluzione della vita.
Ora data la
necessità della presenza di una atmosfera e di energia e di acqua liquida è
possibile che qualche altro elemento possa sostituire il carbonio?
Nella tavola
periodica degli elementi, il silicio (Si) sta sotto il carbonio C e contiene,
come il carbonio, 4 elettroni nell’ultima orbita che danno origine a quattro
legami. Inoltre il silicio è un elemento abbondante nell’universo e
specialmente sul nostro pianeta.
L’argomento, da
un punto di vista chimico, è stato ampiamente affrontato nell’articolo: “Noi,
gli Alieni, la materia: Ma un’altra vita è possibile?”, etichetta L, a cui vi
rimando e di cui riporto le conclusioni:
In riferimento al
silicio, Mario Ageno (Lezioni di Biofisica 3 1984) aggiunge: «[…] il silicio è
completamente inadatto come materiale di costruzione per organismi viventi […]»
Possiamo quindi
concludere che, per le peculiarità delle loro strutture atomiche, gli elementi
biogeni sono gli unici che, attraverso i loro composti, sono adatti a svolgere,
negli organismi viventi, le numerose funzioni biologiche. La materia non ci
fornisce altra soluzione: il passaggio fu obbligato.
Inoltre, poiché
le leggi della fisica e della chimica sono universali se, date alcune
condizioni, in altri sistemi solari si manifesta la vita, essa utilizza gli
stessi elementi biogeni e le stesse macromolecole che utilizzano gli organismi
viventi terrestri.
Ma come deve
essere un pianeta per dare origine alla vita?
Per rispondere a
questa domanda bisognerebbe innanzitutto conoscere come ha avuto origine la
vita sul nostro pianeta. Esistono due visioni sull’origine della vita sul
nostro pianeta: quella di Jaques Monod “Il caso e la necessità”1979 secondo cui
l’origine delle vita sulla terra è stato un fatto casuale, il nostro numero è
uscito alla roulette, o per dirla con Crick quasi un miracolo, e quella di Christian De
Duve “Polvere vitale” 1995 secondo cui la vita è il prodotto di forze
deterministiche; la vita non poteva non avere origine nelle condizioni allora
dominanti e avrà similmente origine dovunque e ogni volta si ripresentano le
medesime condizioni.
Ci sono poi delle
teorie che sembrano lontane da Monod ma in realtà ricadono nella casualità di
Monod. È ormai un fatto accertato e da tutti gli scienziati condiviso che
affinché la vita possa avere origine tutte le sostanze ad essa necessarie
devono essere selezionate, accumulate e poste nelle condizioni di reagire. Le
teorie attualmente più accreditate sono: la teoria del brodo primordiale, la
teoria del mondo a “Mondo a RNA” che postula l’origine di molecole
autoreplicanti in bacini idrici, la teoria dell’origine della vita nei fondali
oceanici in prossimità delle bocche idrotermali. Tutte queste teorie non sono sostenute
da conoscenze precise perché non spiegano in che modo le sostanze necessarie
all’origine della vita si sarebbero selezionate, accumulate e come avrebbero
interagito per dare origine alle macromolecole che costituiscono la vita, esse
sono più idee che teorie e sono collegate alla casualità di Monod. In ambiente
acquoso solo un miracolo potrebbe aver originato la vita.
Ebbene, queste
idee, associate al fatto che sulla Terra l’acqua è necessaria alla vita ha
portato molti astronomi e astrobiologi a ritenere che una condizione necessaria,
cioè la presenza dell’acqua, fosse anche sufficiente. E allora dove cercare la
vita nello spazio? Ovunque c’è acqua illudendosi così che la vita possa essersi
originata anche sotto la coltre solida di Europa satellite di Giove dove sembra
ci sia acqua liquida.
Ora, non si
capisce perché alcuni astronomi, astrobiologi e ricercatori del SETI continuano
a cercare la vita oltre la terra e nel contempo accettano le idee collegate
alla teoria di Monod. Non si capisce perché sprecare tempo, energie e risorse
alla ricerca di un evento la cui probabilità, su 100 milioni di pianeti è praticamente
zero.
Se si vuole
cercare la vita in altri pianeti bisogna invece appellarsi all’universalità
delle leggi della fisica e prendere coscienza del fatto che la vita, in ogni
parte dell’universo, è il risultato di forze deterministiche. La visione di De
Duve si collega direttamente alla teoria di Bernal la quale postula come
l’argilla, in epoca prebiotica, abbia potuto selezionare, accumulare,
proteggere e far interagire le sostanze necessarie alla vita. Tale teoria è
stata ampiamente esplicitata in “Chimica prebiotica ed origine della vita”
2019.
L’argilla, però,
si forma in presenza di rocce, acqua e atmosfera. Allora, se la vita ha bisogno
di argilla per emergere bisogna ricercare pianeti che contengono anche una
parte rocciosa.
In conclusione i
pianeti su cui è possibile che la vita si sia originata devono ricevere energia
da una stella, deve contenere un’atmosfera, deve avere una terraferma e deve avere
una distanza tale dalla stella da permettere acqua allo stato liquido. Queste
condizioni sono ciò che definisce una zona
abitabile. Queste sono condizioni minime perché, come suggeriscono gli
astrobiologi, il pianeta deve possedere anche un nucleo fuso tale da permettere
presenza di un campo magnetico per deviare il vento solare, letale per la vita,
e permettere una tettonica a placche per riciclare elementi chimici.
Soddisfatte
queste condizioni è possibile che in questi pianeti possa essersi originata la
vita?
Come abbiamo
detto, le leggi della fisica sono universali e secondo De Duve non solo la vita
ma anche l’intelligenza emerge ovunque e ogni volta le circostanze lo
permettono.
Quindi le leggi
della fisica permettono l’origine della vita in altri pianeti con le
caratteristiche già elencate, ma poi la vita in quei pianeti può aver avuto veramente
origine?
Peter Ward
(geologo e paleontologo) e David Brownlee (astronomo e astrobiologo) hanno
condotto approfondite riflessioni sull’argomento e ritengono che sì, la vita
può essersi originata in altri pianeti. Nel suo saggio “Fisica dell’impossibile”
M. Kaku, 2010, riporta il loro pensiero «Riteniamo che la vita, sotto forma di
microbi e altri organismi equivalenti, sia molto diffusa nell’universo». Come
abbiamo detto se le leggi della fisica sono universali, allora non si può non
condividere le riflessioni di Ward e Brownlee.
Ma dall’evoluzione
di questi organismi può, come suggerisce De Duve, emergere anche
l’intelligenza? E qui iniziano a serpeggiare seri dubbi.
Secondo alcuni
scienziati affinché la vita possa evolvere (oltre alle condizioni già elencate:
Energia, atmosfere, acqua, terraferma e nucleo centrale fuso per generare un
campo magnetico e la tettonica a zolle) è necessaria anche la presenza di un
pianeta gigante come Giove per farci evitare impatti con asteroidi e comete e
la presenza di una Luna per stabilizzare l’asse della terra. Infine si sono
aggiunti un’adeguata rotazione del pianeta e la giusta distanza dal centro
della galassia. Trovare nella Galassia un pianeta che soddisfi queste
condizioni è un problema un po’ arduo. E M. Kaku riporta ancora le riflessioni
di Ward e Bronwlee: «È probabile,
invece, che le forme complesse, gli animali e le piante superiori, siano molto
più rare di quanto si fosse soliti pensare”. In realtà, scrive ancora Kaku, Ward
e Brownlee non escludono la possibilità che la terra sia, nella Galassia,
l’unico pianeta popolato da forme di vita animale.
Il famoso biologo
Ernst Mayr è della stessa opinione, ma guarda il problema da un punto di vita
biologico. Egli ha elencato un dozzina
di colli di bottiglia evolutivi che l’intelligenza ha dovuto superare sul
nostro pianeta e non è detto che ciò sia possibile in qualche altro pianeta.
Secondo De Duve l’intelligenza
emerge ovunque e ogni volta le circostanze lo permettono. Il fatto è che le
stringenti condizioni fisiche associate ai processi evolutivi riducono
veramente al lumicino tali circostanze e quindi la probabilità dell’emergere dell’intelligenza.
Pur tuttavia molti
scienziati continuano però a pensare che visto l’enorme numero di pianeti nella
nostra galassia non si può escludere che in alcuni di essi la vita non abbia
raggiunto qualche forma di intelligenza.
Sorge però un
problema. L’universo agli inizi era costituito principalmente di Idrogeno.
Dalla fusione nucleare di questo elemento all’interno delle stelle massicce e
dalla loro esplosione hanno avuto origine tutti gli altri elementi che sono
stati dispersi nello spazio. Le stelle massicce hanno impiegato circa 5-6
miliardi di anni per fertilizzare lo
spazio. In questa prima fase dell’universo, la quantità di carbonio, azoto e
ossigeno era scarsa, e non potevano esistere pianeti rocciosi perché non c’era
silicio a sufficienza. Quindi i primi sistemi solari con pianeti rocciosi si
sono formati circa 7 miliardi
it.wikipedia.org/wiki/Formazione_ed_evoluzione_del_sistema_solare
di anni fa, cioè tre miliardi di anni prima
della formazione della terra. Certamente in tre miliardi di anni si saranno
formati molti sistemi solari con tantissimi pianeti e tanti di questi in zone
abitabili. Se la vita fosse comparsa in alcuni di questi pianeti in zone
abitabili e si fosse evoluta come sulla terra fino a produrre l’intelligenza,
questi esseri, queste forme di vita aliena, avrebbero su di noi un vantaggio
tecnologico enorme. Forse non un vantaggio di 3 miliardi di anni e nemmeno di
due o di uno, ma almeno di parecchi milioni di anni e con questo vantaggio
tecnologico avrebbero avuto anche il tempo di conquistare la galassia.
Ritorna allora la
domanda: dove sono tutti quanti?
E qui gli
scienziati si sono sbizzarriti nelle soluzioni più disparate. Le soluzioni che
vanno per la maggiore sono
Gli alieni non
sono interessati a lasciare i loro mondi e andare in giro per la galassia.
Tutti gli alieni
sparsi nei vari pianeti della galassia non vogliono abbandonare i loro mondi?
I loro mondi sono
stati distrutti da piogge di meteoriti o comete.
Tutti i mondi
possibili distrutti da piogge di meteoriti?
Forse si sono
autodistrutti, provocando disastri climatici, pandemici e nucleari.
Saranno stati mica
tutti così stupidi come gli umani!
Ma forse la
soluzione più credibile è quella di Ward e Brownlee. Probabilmente la vita è
molto diffusa nell’universo ma sotto forma di microbi mentre le forme complesse
sono molto rare. Se aggiungiamo i colli di bottiglie evolutivi che
l’intelligenza deve superare vien voglia di concludere che noi siamo gli unici.
Stephen Awking, in “Le mie risposte alle
grandi domande” 2018, non ha perso però la speranza e scrive: «Dal canto mio,
preferisco che là fuori ci siano altre forme di vita intelligenti ma che,
finora, siamo sfuggiti alla loro attenzione. …Dovremmo però stare attenti a
eventuali comunicazioni aliene prima di esserci sviluppati un po’ di più. Al
nostro stadio attuale, un incontro con una civiltà più avanzata della nostra
sarebbe paragonabile all’incontro degli indigeni America con Colombo: non penso
proprio che, col senno di poi, gli indigeni lo abbiano giudicato un evento
felice» (*)
Vorrei chiudere questo articolo sintetizzando
la conclusione di Stephen Webb in “Se l’universo brulica di alieni… dove sono
tutti quanti?” 2018.
Stiamo cercando un pianeta che abbia una fonte
di energia, un’atmosfera, acqua allo stato liquido e una terraferma.
Stiamo cercando un pianeta che contenga un
nucleo fuso per poter generare un campo magnetico e sostenere una tettonica a
zolle.
Stiamo cercando un pianeta nel cui sistema
solare ci sia una pianeta gigante come Giove che faccia da scudo alla pioggia
di meteoriti e che possegga anche una luna per stabilizzare l’asse del pianeta.
Stiamo cercando un pianeta che abbia un’adeguata
rotazione del pianeta e la giusta distanza dal centro della galassia.
Stiamo cercando un pianeta che sia rimasto
abitabile per miliardi di anni.
«Stiamo cercando forme di vita intelligente
che abbiano sviluppato una consapevole autocoscienza. … Stiamo cercando esseri
intelligenti consapevoli, fabbricatori di utensili e comunicativi che vivano in
gruppi sociali (in modo da sfruttare i benefici della civiltà) e che sviluppino
gli strumenti della scienza e della matematica.
Stiamo
cercando noi stessi ...».
Giovanni Occhipinti
Nel 2005 scrissi un articolo, nel giornale scolastico Il Magistraccio, “Sull’origine della vita” che si concludeva:
«[…] E la vita fuori dal nostro sistema solare esiste?
E perché no, anzi potrebbe essere più diffusa di quel che noi pensiamo.
Il problema è: la vita fuori dal nostro sistema solare che grado di evoluzione ha raggiunto?
La nostra tecnologia avanzata la possiamo far partire dalla scoperta della radio e della fusione nucleare; meno di un secolo. E cosa è un secolo, l00 anni paragonati a oltre 3.000.000.000 di anni data dell’inizio della vita sul nostro pianeta. La probabilità che la vita altrove si trovi al nostro stadio di evoluzione è praticamente nulla.
Noi mandiamo segnali in tutte le direzioni dell’universo: ma chi e il destinatario?
Se la vita in qualche altro pianeta non ha raggiunto il nostro grado di evoluzione e di tecnologia:
non ci capiscono!
Se la vita ha superato il nostro grado di evoluzione, immaginiamo degli alieni un milione di anni più evoluti di noi:
speriamo non ci capiscano!
Perché il rischio è di fare la fine degli indiani d’America, con l’aggravante che noi abbiamo urlato ai quattro venti: .... SIAMO QUI».
Per questa conclusione, da qualche collega, sono stato rimproverato di trasmettere un messaggio sbagliato, perché la ricerca scientifica deve essere libera, in tutte le direzioni e senza paletti.
A distanza di anni, mi fa piacere sapere che non sono solo.
Prossimo articolo: Origine della vita:
prima molecole autoreplicanti (Mondo a RNA), o prima le proteine? La ricerca di
un punto di incontro per superare una dicotomia che da oltre mezzo secolo
blocca la soluzione del problema.
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