È un libro rivoluzionario, anzi eretico. Un libro che parla di scienza ma romanzato e con qualche battuta umoristica, di facile lettura e comprensione e non necessita di conoscenze scientifiche acquisite. Esso è indirizzato a tutti coloro che sono interessati a conoscere le nostre lontane origini, come siamo arrivati fi n qui, e il nostro probabile futuro prossimo.
Il saggio è diviso in tre parti.
Nella prima parte l’autore, fuori dal tempo e dello spazio, attraverso un dialogo immaginario con organismi e personaggi del passato, si ritrova a dialogare dapprima con un batterio di 2 miliardi di anni fa sull’origine della vita avvenuta 3,6 miliardi di anni fa. Un successivo dialogo con Eucariote di 600 milioni di anni fa sulla loro origine e un dialogo scioccante con un animale, Pikaia, che ci svela una nuova visione dell’essere animali. Si prosegue con un mammifero, Purgatorius, sulla conquista della terra da parte di piante e animali. Infine, un dialogo con Darwin e la selezione naturale all’alba del nuovo millennio.
La seconda parte è una sintesi di alcuni saggi dedicati ai batteri che mettono in evidenza le loro capacità e come la vita sia dipendente dai batteri.
Nella terza parte, partendo dal principio antropico di Brandon Carter e il suggerimento di Hoimar von Dirtfurth: “noi come anello di collegamento con una discendenza non biologica di tutt’altra specie”, Darwin e l’autore sviluppano un dialogo intorno un ideale scopo della vita in relazione al cosmo, sulla vita nello spazio e sulle problematiche esistenziali associate alle nuove tecnologie.
disponibile in forma cartacea, e come ebook.
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SEMPLICI RIFLESSIONI SUL LIBERO ARBITRIO
Post n. 51
Edward O. Wilson, uno dei maggiori biologi
viventi, nel suo saggio: “Il significato dell’esistenza umana” 2015 affronta il
problema del libero arbitrio. Egli dopo aver constatato che il libero arbitrio
è parte della coscienza scrive: «Nel corso di oltre duemila anni i filosofi
hanno tentato a più riprese di spiegare la coscienza. È naturale che lo abbiano
fatto: è il loro mestiere. Comprensibilmente, tuttavia, essendo digiuni di
biologia, nella maggior parte dei casi non sono arrivati da nessuna parte. Non
credo sia esagerato affermare che – ridotta all’essenziale - la storia della
filosofia consiste per lo più di modelli del cervello inadeguati».
E così poiché per duemila anni si è discusso
del nulla, con l’inizio del nuovo millennio la ricerca sulla coscienza è
passata ai neuro scienziati, per la maggior parte riunito nel progetto BAM
(Brain Activity Map Project). Obiettivo fondamentale del progetto BAM è la mappatura dell’attività cerebrale e ricondurre tutti i processi di pensiero
-razionali ed emozionali, consci, preconsci e inconsci, fissi o in movimento –
a un base fisica. I primi risultati scientifici per condurre i processi del
pensiero su basi razionali, condivisi da molti scienziati, sembrano, secondo
loro, confermare tale ipotesi.
Wilson dimostra un certo ottimismo nei
confronti di queste ricerche, ma nello stesso ammette che il potere di spiegare
la coscienza sarà sempre limitato. Anche se si riuscirà a comprendere nei
dettagli i processi che hanno luogo nel cervello, per comprendere la coscienza
bisognerebbe aprire l’immenso magazzino dei ricordi sia quelli disponibili che
quelli sepolti nel profondo dell’inconscio. Poiché la mente individuale non può
essere completamente descritta, continua Wilson, si può continuare a credere
appassionatamente alla propria indipendenza e al proprio libero arbitrio.
Ma quali sono questi primi risultati
scientifici?
Partiamo allora dall’esperimento simbolo che
ha condotto gli scienziati verso il determinismo fisico e ve lo propongo per
intero, tratto dal saggio di Christian Koch “Una coscienza”, 2014: «Vorrei
ritornare con i piedi per terra e raccontarvi un esperimento classico che ha
convinto molti di noi della illusorietà del libero arbitrio. Lo concepì e lo
realizzò nei primi anni Ottanta Benjamin Libet, un neurofisiologo della
University of California a San Francisco. […]. Il neurofisiologo californiano
predispose l’esperimento per determinare la tempistica di un evento mentale –
la decisione di una persona – per confrontarla con la tempistica di un evento
fisico, l’avvio del potenziale di prontezza. Quale sollievo! Dopo millenni di
noiose discussioni filosofiche, una questione poteva essere in qualche modo
finalmente risolta. La parte complicata dell’esperimento era determinare il
momento dell’atto mentale: vi sfido a individuare il preciso istante in cui
provate l’impulso ad alzare la mano. Non è facile. Per aiutare i soggetti
volontari, Libet proiettava un punto di luce brillante sullo schermo verde di
un oscilloscopio, di quelli una volta. La luce completava sistematicamente un
giro, come la lancetta dei minuti. Seduti su una sedia con gli elettrodi
dell’EEG applicati al cranio, i volontari dovevano flettere il polso
spontaneamente, ma intenzionalmente. Eseguivano il compito mentre rilevavano la
posizione della luce corrispondente al momento cui erano coscienti del
desiderio o della pulsione ad agire. Per garantire che la tempistica soggettiva
degli eventi nervosi nei volontari fosse accurata, in un esperimento separato
Libet aveva chiesto loro di segnare il momento in cui il polso iniziava a
flettersi, un punto temporale che si poteva confermare oggettivamente registrando
l’attività dei muscoli. I soggetti eseguivano il compito piuttosto bene,
retrodatando l’avvio effettivo di otto millisecondi appena. I risultati
raccontavano una storia inequivocabile; dicevano che l’inizio del potenziale di
prontezza precede la decisione cosciente di eseguire il movimento di almeno
mezzo secondo, e spesso molto più lungo. Il cervello agisce prima che la mente
decida! Era il completo rovesciamento dell’impressione profonda circa la
relazione causale, che cioè il cervello e il corpo agiscano solo dopo che lo ha
deciso la mente. Per questa ragione l’esperimento era, e rimane, controverso.
Tuttavia, negli anni successivi è stato ripetuto e perfezionato - una versione
dell’esperimento basato sulle neuro immagini ha recentemente fatto notizia - e
le sue conclusioni di fondo reggono».
Ma Christian Koch più avanti scrive: «Questa
conclusione vale solo negli angusti confini del laboratorio di Libet? Del
resto, l’unica libertà per i volontari era decidere quando muovere il polso o -
in una variante dell’esperimento - se muovere il polso sinistro oppure quello
destro. È qualcosa di affine a prendere una lattina di Coca-Cola tra due
uguali: a chi interessa quale avete scelto? Che dire allora di atti molto più
importanti, che implicano un lungo e deliberato ragionamento? Dovremmo prendere
un cane, oppure no? Dovreste sposarla, oppure no? Anche queste decisioni
cruciali sono accompagnate da un potenziale di prontezza che precede la scelta?
Allo stato delle cose, non lo sappiamo». E Koch continua: «Vorrei cominciare
proponendo una definizione di libero arbitrio, o libertà del volere. Ebbene noi
siamo liberi se, in circostanze identiche, avremmo potuto agire diversamente.
Circostanze identiche vuol dire non solo le stesse condizioni esterne ma anche
gli stessi stati cerebrali […] La definizione forte di libertà serve solamente
a sterili e animate discussioni, perché nel mondo reale non possiamo
riavvolgere il nastro e fare le cose diversamente: "Non possiamo bagnarci
due volte nello stesso fiume" diceva Eraclito».
Quindi ci troviamo di fronte a chi ritiene che
il libero arbitrio è solo un’illusione perché già scritto nelle leggi della
fisica, e chi sostiene che non possiamo mai sapere se il libero arbitrio esiste
o, come sostiene Wilson, perché la mente non può essere descritta completamente
o, come sostiene Koch, perché le stesse circostanze
ambientali e cerebrali non possono più ripetersi esattamente.
Per dare un contributo all’esistenza o meno
del libero arbitrio dobbiamo verificare innanzitutto l’affermazione di Koch:
non possiamo bagnarci due volte nello stesso fiume
Le metafore sono un potente mezzo di
comunicazione, ma nel nostro caso, la metafora di Eraclito è applicabile? Cioè è
vero che gli organismi viventi non possono ritrovarsi nelle stesse condizioni
esterne e negli stessi stati cerebrali?
Il primo istinto di tutti gli organismi
viventi, in caso di pericolo, e su cui tutti, gente comune e scienziati concordano,
è sopravvivere. Se la vita è in pericolo gli stati cerebrali di tutti gli
organismi viventi sono tutti identici, salvare la pelle. Abbiamo tutti
osservato umani e animali fuggire da un vulcano in eruzione. Anche durante un
terremoto, tutti corrono alla ricerca di spazi aperti. Però pur essendo lo
stato cerebrale della sopravvivenza comune a tutti i fuggitivi, qualcuno stima
che ha più probabilità di sopravvivere riparandosi sotto un architrave anziché cercare spazi aperti. Lo stato cerebrale della
sopravvivenza, comune a tutti i fuggitivi, permette quindi un certo grado
di libertà.
Ora, immaginiamo
che gli stessi individui, dopo un certo tempo, si trovino a rivivere la stessa
esperienza, cioè nelle stesse condizioni esterne come li chiama Koch. Come
saranno i loro stati cerebrali? Uguali ai precedenti, salvare la pelle. Quindi ci si può bagnare due volte nello
stesso fiume. Il nastro si può riavvolgere quando si tratta di vita o morte.
Però, pur essendo tutti gli individui, per la
seconda volta, nelle stesse condizioni esterne e negli stessi stati cerebrali, mentre
tutti fuggono lasciando anche i propri danari, qualcuno ha pensato che potrebbe
sopravvivere meglio se avesse avuto il suo gruzzoletto, così prima di fuggire mette
la mano sotto il materasso prendendo i suoi risparmi ma perdendo qualche attimo
prezioso. Che si sia poi salvato o sia morto per quell’attimo perso non lo
sapremo mai ma, nello stesso stato cerebrale di tutti, un fuggitivo ha
esercitato una libera scelta.
Usciamo dal campo degli umani. Immaginiamo un
gruppo di antilopi affamate che finalmente, nella savana, hanno trovato
dell’erba fresca. Sentono, però, un fruscio nell’erba e l’odore di un leone che
si sta avvicinando. Lo stato cerebrale delle antilopi è identico, perché la
vita è in pericolo. Ora, se la scelta fosse unicamente deterministica, essendo
tutte nello stesso stato cerebrale, le antilopi dovrebbero fuggire tutte, nel
qual caso i leoni non esisterebbero più; oppure nessun’antilope dovrebbe
fuggire, e allora sarebbero state le antilopi ad essere già scomparse da tempo
e di conseguenza anche i leoni. In realtà, nelle stesse condizioni esterne e negli
stessi stati cerebrali alcuni antilopi preferiscono fuggire e tenersi la fame
altri preferiscono aggiungere ancora qualche cosa nello stomaco per avere più
energia per la fuga, e così noi abbiamo ancora antilopi e leoni.
Questa libertà di scelta, che emerge quando è
a rischio la sopravvivenza, ha salvato la vita sul nostro pianeta, ma è libero arbitrio?
Per ritornare agli umani Christian Koch scrive
(opera menzionata): «La nostra libertà è limitata dalle abitudini e dalle
scelte consistenti fatte in passato. Il vero alveo che contiene e canalizza il
nostro flusso di coscienza è modellato dalla famiglia e dalla cultura dove
siamo cresciuti: i desideri e le preferenze che mettiamo “liberamente" in
atto sembrano essere completamente determinati! […] Se teniamo di conto ogni
influenza della natura, dell’ambiente educativo e di tutti i fattori casuali del
nostro ambiente, resta uno spazio di manovra? E se fossimo gli schiavi di
questi vincoli?»
Ora, non si capisce perché gli umani tendono a
dimenticare, a ricominciare daccapo riproponendo passate argomentazioni e
presentandole come novità.
Ma duemila anni di storia
sono passati invano? “Scipio siamo noi che facciamo la storia o è la storia che
fa noi”. È la domanda che un centurione, insanguinato, pose a Scipione durante
l’assedio di Cartagine. Scipione non rispose e il centurione se ne andò. Un
luogotenente chiese a Scipione cosa intendesse e Scipione rispose: Forse
intendeva se esiste il libero arbitrio.
Certamente non si può
identificare il libero arbitrio con la maglietta da scegliere la mattina quando
usciamo o il gusto del gelato da scegliere durante la pausa. Queste sono scelte
emozionali o sensoriali. Siamo quindi soggetti a vincoli, emozioni, spinte
sensoriali, e tutte le scelte che facciamo o siamo costretti a fare nella vita
quotidiana non hanno nulla a che vedere con il libero arbitrio.
Se esiste, il libero
arbitrio esso emerge quando è a rischio la nostra sopravvivenza perché in
questo caso siamo liberi da emozioni, spinte sensoriali e vincoli.
Ora, se il libero arbitrio
è parte della coscienza da dove emerge la coscienza e che cos’è?
Come scrivono Gerald
Edelman e Giulio Tononi: “Un universo di coscienza”, 2000: La coscienza, per quanto speciale, è emersa da
innovazioni evolutive della morfologia del cervello e del corpo. La mente
scaturisce dal corpo e dal suo sviluppo; è radicata nel corpo e fa perciò parte
della natura. Ipotesi fisica e ipotesi evolutiva sono a fondamento.
E Guido Brunetti in (https://www.neuroscienze.net/come-quando-e-perche-la-mente-emerge/) aggiunge: Le caratteristiche
“uniche” dell’essere umano comprendono la coscienza di sé e degli altri, il
linguaggio e la vita sociale. Su tutte queste capacità emerge uno speciale
attributo umano che chiamiamo il possesso di una mente (Rose).
E in merito alla
coscienza Gerald Edelman e Giulio Tononi aggiungono, (opera citata): Ognuno di
noi sa che cos’è la coscienza: è ciò che si abbandona la sera quando ci
addormentiamo e che ricompare il mattino dopo, al risveglio. Naturalmente
Edelman neurofisiologo e Tononi neurobiologo, il cui scopo è studiare
innanzitutto struttura e dinamica del cervello e considerare fatti
neurofisiologici e neuropsicologici per fare luce sui meccanismi neurali della
coscienza, ritengono tale definizione della coscienza una ingannevole
semplicità.
Ma per noi, comuni
mortali e per i nostri scopi è sufficiente, e quindi definiamo la coscienza: la
consapevolezza del mondo che ci circonda. Se una persona, nel mondo che lo
circonda, riconosce la propria casa, i suoi cari, i suoi libri, gli oggetti più
cari che gli rievocano il passato, ha definito anche il proprio sé.
Quindi la coscienza definita come: la consapevolezza del mondo che ci circonda contiene
già anche il sé.
Ma perché è apparsa la
coscienza negli organismi viventi?
La risposta ce la dà
Nicolas Humphrey in: “Polvere d’anima”,2013. «La ragione è quella fondamentale,
ovvero la selezione naturale: dal momento che la coscienza, per come la
conosciamo, è una caratteristica della vita sulla Terra, possiamo dare per
assodato - al pari di ogni altra caratteristica specializzata degli organismi
viventi - si sia evoluta perché conferisce un vantaggio selettivo. In una
maniera o nell’altra, cioè, deve aiutare l’organismo in questione a
sopravvivere e riprodursi. E naturalmente questo può accadere solo se in
qualche modo influisce sul modo in cui l’organismo si relaziona con il mondo
esterno».
Ma se come ha scritto
Wilson il libero arbitrio è parte della coscienza, allora anche il libero
arbitrio, se esiste, deve essere apparso per aiutare l’organismo a sopravvivere e
riprodursi.
Riepilogando, la
conclusione condivisibile, di autorevoli ricercatori è che: l’evoluzione genera
il cervello da cui emerge la mente. Dalla mente emerge la coscienza da cui
emerge il libero arbitrio e il tutto per aiutare l’organismo a sopravvivere e
riprodursi.
Sembrano conclusioni
semplicistiche ma evitano di cadere in ciò che Austin, riportato Searle R.
John: “La riscoperta della mente”, 2020 chiamava «ivresse des grands profondeurs, che fa disdegnare le più umili e ovvie verità e ci
costringe ad andare in cerca di profonde scoperte teoriche ispirate al modello
delle scienze fisiche, sognando un grande passo in avanti nello studio della
mente tale da permettere di raggiungere la cosiddetta maturità delle scienze
cognitive».
Si impone adesso una
conclusione: se il libero arbitrio emerge dalla coscienza che, come afferma
Nicolas Humphrey, è una caratteristica della vita sulla terra che aiuta
l’organismo a sopravvivere e riprodursi, poiché tutti gli organismi viventi
vogliono sopravvivere e riprodursi, allora essa deve essere in possesso di
tutti gli organismi viventi. Quindi tutti gli organismi viventi per
sopravvivere e riprodursi devono essere consapevoli del mondo che li circonda,
devono cioè avere una coscienza.
Ma se la coscienza emerge
dalla mente, allora tutti gli organismi viventi devono essere in possesso di
una mente.
Prossimo articolo: semplici riflessioni sul libero arbitrio (2a parte), fine gennaio
Giovanni Occhipinti
(made by human)
Pubblicato
È un libro rivoluzionario, anzi eretico. Un libro che parla di scienza ma romanzato e con qualche battuta umoristica, di facile lettura e comprensione e non necessita di conoscenze scientifiche acquisite. Esso è indirizzato a tutti coloro che sono interessati a conoscere le nostre lontane origini, come siamo arrivati fi n qui, e il nostro probabile futuro prossimo.
Il saggio è diviso in tre parti.
Nella prima parte l’autore, fuori dal tempo e dello spazio, attraverso un dialogo immaginario con organismi e personaggi del passato, si ritrova a dialogare dapprima con un batterio di 2 miliardi di anni fa sull’origine della vita avvenuta 3,6 miliardi di anni fa. Un successivo dialogo con Eucariote di 600 milioni di anni fa sulla loro origine e un dialogo scioccante con un animale, Pikaia, che ci svela una nuova visione dell’essere animali. Si prosegue con un mammifero, Purgatorius, sulla conquista della terra da parte di piante e animali. Infine, un dialogo con Darwin e la selezione naturale all’alba del nuovo millennio.
La seconda parte è una sintesi di alcuni saggi dedicati ai batteri che mettono in evidenza le loro capacità e come la vita sia dipendente dai batteri.
Nella terza parte, partendo dal principio antropico di Brandon Carter e il suggerimento di Hoimar von Dirtfurth: “noi come anello di collegamento con una discendenza non biologica di tutt’altra specie”, Darwin e l’autore sviluppano un dialogo intorno un ideale scopo della vita in relazione al cosmo, sulla vita nello spazio e sulle problematiche esistenziali associate alle nuove tecnologie.
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