mercoledì 15 ottobre 2025

COMPETIZIONE ED EVOLUZIONE

 Da un amico ricevo e pubblico

Post n. 62  di Lorenzo Lo Presti

 

La competitività tra gli esseri umani ha origine dalla comune tendenza degli esseri viventi a sopravvivere il più possibile, e garantire così la prosecuzione della propria specie. Ma ciò che si definisce istinto di sopravvivenza” è in realtà il risultato postumo di una selezione naturale che ha portato a sopravvivere, tra gli individui di ciascuna specie, quelli le cui caratteristiche genetiche si sono rivelate più adatte a garantirne la riproduzione nel contesto in cui si trovavano a vivere. Non esiste quindi un vero e proprio istinto” di sopravvivenza, ma semplicemente il risultato di una lunga selezione naturale che ha portato allestinzione degli individui che non avevano sufficienti caratteristiche riproduttive nel contesto dove vivevano. Affermare che non esiste listinto di sopravvivenza, può apparire azzardato e fuorviante, oltre che in contrasto con qualcosa che riteniamo quasi un postulato della vita. Del cosiddetto istinto di sopravvivenza” non appare del tutto esaustiva la parola istinto”, che può sembrare un modo di prendere atto, a posteriori, di un comportamento che osserviamo diffusamente nel mondo animale e tra gli umani, ma di cui non siamo capaci di spiegarne le motivazioni profonde che ne sono all’origine. C’è da chiedersi perché gli uomini vogliono vivere a qualsiasi costo, anche in situazioni di sofferenza estrema, come avveniva ad esempio nei lager nazisti? È sufficiente un istinto” a determinare tale comportamento? Di contro gli indiani dAmerica, giunti alla vecchiaia, decidevano consapevolmente di lasciarsi morire dandosi in pasto agli avvoltoi. Certo, il loro comportamento era motivato dalla scelta di non gravare sulle possibilità di sopravvivenza della loro tribù, quindi si potrebbe dire che fosse una scelta di origine culturale” a vantaggio della comunità. Ma in realtà tale comportamento era mutuato dallosservazione dei lupi, dove gli esemplari anziani si allontanavano lasciandosi morire, per non gravare sul branco. Viene difficile pensare a un comportamento “culturale” orazionale” dei lupi, ma qualsiasi ne sia la motivazione essa è in evidente contrasto con “l’istinto di sopravvivenza”.

 

elaborata da ChatGPT


E viene da chiedersi il perché listinto di sopravvivenza non abbia impedito ai pellerossa, e anche ai lupi, di lasciarsi morire.

Nei due casi citati (I lager e I pellerossa) ci troviamo di fronte a due opposti comportamenti, in apparente contraddizione: nel primo caso la strenua volontà di vivere, nel secondo la scelta di lasciarsi morire.

Si può certamente dire che si tratta di casi estremi, ma avendo riguardato entrambi una moltitudine di individui, possiamo ritenere che siano significativi per tentare di descrivere il comportamento della specie umana, oltre che a riflettere sul significato da dare allistinto di sopravvivenza, la cui comprensione profonda, a parere di chi scrive, resta irrisolta.

In definitiva, se la cultura spegne l'stinto alla sopravvivenza allora cos'è questo istinto?

Ad aiutare gli umani, e gli animali in genere, a sopravvivere è inoltre il meccanismo del dolore, associato per esperienza alla possibilità di morire, il che aiuta i viventi a evitare il rischio di soccombere. Un eventuale animale che, per alterazione genetica, dovesse essere incapace di provare dolore, avrebbe limitate capacità di sopravvivere e quindi di riprodursi e diffondere tale diversità genetica.

Queste considerazioni possono essere applicate a ogni essere vivente del mondo animale e, in parte, vegetale. Si potrebbe Inoltre desumere che la competizione tra individui di una stessa specie sia un fattore positivo e determinante per il rafforzamento e la prosecuzione di quella specie. Questo vale maggiormente allinterno di un ipotetico sistema evolutivo isolato e privo di contatti con altri sistemi evolutivi. Darwin, infatti, intuì ed elaborò la sua teoria sulla evoluzione delle specie osservando levoluzione di animali e piante in un sistema naturale relativamente isolato, quale quello delle isole Galapagos, dove le interferenze tra le specie erano ridotte a causa della oggettiva difficoltà di colonizzazione” da parte di altre specie, dovuta alla grande distanza dalla terraferma continentale. In questo contesto ne conseguiva che la selezione allinterno di una singola specie scaturiva soprattutto dalla competitività” tra individui biologicamente simili, con limitate interferenze da parte di specie terze.

Tornando alla specie umana è probabile che la “competitività biologica” tra individui abbia avuto un ruolo determinante, se non esclusivo”, fino alla comparsa dellHomo Sapiens, ovvero circa 300.000 anni fa. Prima di allora, la competizione tra gli ominidi, al pari di ogni altra specie animale, scaturiva dalla necessità di nutrirsi e riprodursi. Ma dallhomo sapiens in poi gli umani hanno iniziato a distinguersi per l'uso di strumenti più sofisticati, e soprattutto per lo sviluppo del linguaggio, l'arte e la cultura complessa.

       Lintroduzione di questi elementi ha fatto sì che il processo evolutivo degli umani sia stato sempre più determinato, oltre che dagli esiti della competitività biologica (forza fisica, resistenza alle avversità, capacità sensoriali...), anche dalla competitività sul piano genericamente culturale (capacità deduttive, creatività, uso del linguaggio...).

Levoluzione culturale, specie con lintroduzione del linguaggio, ha comportato anche una modificazione biologica del cervello, accrescendone il volume, oltre a cambiamenti significativi negli arti e nei muscoli, conseguenti alle mutate possibilità di interazione degli umani con il contesto dove agivano.

  


 Dei due fattori competitivi”, biologico e culturale, il secondo, a differenza del primo, ha avuto una crescita continua nel tempo, con l’uso della ruota, del fuoco, degli utensili... con dei gradini di accelerazione” in occasione di decisivi avanzamenti tecnologici (macchina a vapore, corrente elettrica, trasmissioni radio...).

       Negli ultimi decenni siamo in presenza di un gradino di accelerazione” ancora più decisivo quale fattore competitivo determinante per levoluzione tecnologica degli umani. Si tratta dellinformatica e delle possibilità di utilizzo dellintelligenza artificiale in quasi tutti i campi della conoscenza scientifica, della tecnologia e persino nel campo umanistico e delle arti.

Questultimo elemento ha introdotto un nuovo fattore di enorme accelerazione nella componente culturale” in grado di agire sulla competitività” come fattore evolutivo degli umani. In altre parole, la specie umana si sta sempre più evolvendo in quanto sempre più capace di piegare alle proprie necessità materiali il contesto in cui vive, e ciò grazie alla crescita esponenziale della componente culturale” della competitività.

La nostra possibilità di prevalenza evolutiva” sugli altri esseri viventi, e quindi di sopravvivenza, dipende sempre meno dalla pura competitività biologica, cioè forza fisica, resistenza alle avversità e capacità sensoriali. In altre parole, si potrebbe dire che la specie umana, già ora, ma ancora di più in futuro, non è, e non sarà, il risultato di una selezione biologica, ma di una selezione culturale.

       Detto brutalmente: sopravviveranno non i più forti, ma i più intelligenti.

Ma è proprio così? Il prevalere dei fattori competitivi culturali su quelli biologici porterà a una specie umana di per sé più intelligente? Lintelligenza ha un valore in sé, o è tale se finalizzata a uno scopo superiore? La competitività accresce lintelligenza, o vale il contrario?

       Se la competitività biologica ha selezionato, nellarco di milioni di anni, una specie umana in grado di sopravvivere meglio, non è affatto scontato che levoluzione, conseguente alla competitività culturale, potrà portare in soli 10.000 anni a uno stesso risultato.

       La competitività culturale ha avuto infatti due conseguenze fondamentali che mettono persino a rischio la permanenza della specie umana:

1.     Ha certamente ingigantito a dismisura il potere degli umani nel piegare lambiente ai propri bisogni materiali. Questo ha consentito di produrre una maggiore quantità di beni alimentari e di merci dando il via a una forte crescita demografica, tuttora in corso, che ha portato la popolazione mondiale da circa 1 miliardo di individui nellanno 1800 agli attuali 8,2 miliardi, con una forte impennata negli ultimi decenni. A questo incremento di popolazione si accompagna una sempre maggiore necessità di consumare le risorse del pianeta, che ovviamente non sono illimitate, oltre che una crescita drammatica dellinquinamento ambientale. Tutto ciò ha innescato un circuito vizioso su cui sarà inevitabile intervenire attraverso un forte controllo delle nascite, con tutte le conseguenti criticità sociali, politiche e religiose. Non è difficile comprendere che leventuale incapacità a gestire efficacemente questo enorme fenomeno porterebbe inevitabilmente a fortissime tensioni sociali e alla possibile estinzione della specie umana.  Sarebbe la paradossale conseguenza della competitività “intelligente” degli umani.

2.     È tuttavia vero che ogni tipo di competitività, sul piano personale, sociale o politico, comporta una forma di stimolo verso il miglioramento nei rispettivi ambiti. Basti pensare alle competizioni sportive o artistiche, alla produttività aziendale, alle economie di mercato, ai confronti elettorali, agli armamenti e alle alleanze militari.

Tuttavia, alle ricadute positive in ciascuno di questi ambiti ne conseguono effetti collaterali” negativi, che ne compromettono spesso i vantaggi.

Si ritrova la competitività in quasi tutte le narrazioni storiche, dove gli eventi del passato sono quasi sempre raccontati come sequenze di conflitti, con vincitori e vinti, e con interi popoli che restano sullo sfondo e di cui pochi ne raccontano costumi, usanze, aspirazioni.

        La cultura degli umani è plasmata dalle narrazioni ricevute dai loro predecessori.

 

 Tra queste, quella di Omero con l’Odissea ne é stata la più influente in Occidente.

Ulisse fu decisivo per la vittoria su Troia, non grazie alla forza, ma per la sua astuzia, che permise a un gruppo di coraggiosi soldati achei di penetrare dentro le mura di Troia, nascosti dentro un cavallo di legno, accolto ingenuamente dai troiani come un dono da parte degli achei.

La stessa astuzia che permise a Ulisse di vincere il gigante Polifemo, ubriacandolo e accecandolo, o di fingersi mendicante per potere entrare nella sua reggia ad Itaca per uccidere i pretendenti che ambivano alla moglie Penelope.

Sono queste le storie che hanno affascinato per secoli generazioni di uomini, contribuendo fortemente a segnarne la cultura e i valori. Sono tutte storie dove la competitività ne rappresenta il tratto dominante, insieme ad altri comportamenti che hanno contribuito a diventare le fondamenta dei valori della cultura occidentale.

Nell’Odissea troviamo la donna intesa come proprietà esclusiva dell’uomo, tanto che Menelao scatenò una guerra per riprendersi la moglie Elena che era fuggita a Troia con l’amato Paride. Troviamo la sottomissione femminile in Penelope che aspetta paziente e fedele il suo Ulisse che nel frattempo, peregrinando per mare, trovava conforto in Nausica, Calipso e Circe. Troviamo l’esaltazione dello spirito di vendetta, quando Ulisse stermina i Proci, ovvero un gruppo di nobili principi la cui principale colpa era quella di proporsi a Penelope. Troviamo infine la volontà di conquista e di superamento dei propri limiti, che pervade l’intera opera di Omero.

Certo, si tratta in gran parte di una leggenda, ma l’epicità della storia, ha reso l’Odissea e i suoi simbolismi l’archetipo fondativo della cultura occidentale, che nell’arco di un paio di millenni ha permeato gran parte dei popoli della terra.

Una cultura che promuove la vendetta come regolatrice dei conflitti, sia privati che politici.

Una cultura che ha trasformato un furbo in un eroe, ammirato e celebrato.

Passando dalla storia alle competizioni sportive, non c’è alcun dubbio che la pratica dello sport comporti un beneficio per la salute di chi lo pratica, tanto è vero che le attività fisiche sono inserite tra le materie scolastiche curriculari dei vari ordini di scuola. A fronte di questo fondamentale aspetto positivo dello sport, nellopinione pubblica prevale invece lidea di sport come competizione, di cui le Olimpiadi ne sono la più alta e “nobile” espressione. In realtà questi grandi eventi rappresentano spesso esibizioni di potere politico, che compete con altri poteri politici, all’insegna di evidenti nazionalismi e di pronunciamenti intrisi di retorica.

 



 La necessità di primeggiare in tali contesti comporta spesso l’impiego di ingenti risorse economiche, sottratte quasi sempre a impieghi socialmente più utili, oltre che sottoporre gli atleti a sacrifici fisici e psicologici a volte devastanti, tanto da fare spesso ricorso a sostanze dopanti. Di contro il pubblico spettatore è ridotto a tifoseria passiva nella migliore delle ipotesi, o a un sostegno caratterizzato da acceso nazionalismo o, peggio, da razzismo.

In ogni caso la pratica in genere dello sport agonistico, accanto alle gratificazioni dei pochi vincenti, comporta la frustrazione, e a volte la depressione psichica, di tanti perdenti.

Lo sport, inteso principalmente come attività salutare del corpo, potrebbe e dovrebbe salvaguardare nello stesso tempo i suoi aspetti di divertimento popolare e spettacolare, senza necessariamente associarsi agli enormi interessi politici ed economici che ruotano attorno ad esso, e a condizione che si depuri degli effetti distorsivi degli eccessi di competitività.

Il gioco, sia esso sportivo o ludico, svolge un ruolo importante fino alladolescenza, nellaccrescere l’autostima oltre che le capacità fisiche e mentali. Tali funzioni sono utili anche nelletà adulta, a condizione che la raggiunta maturità dia la capacità di ridimensionare gli eccessi emotivi conseguenti alle vittorie e alle sconfitte.

Ancora più che nello sport, dove almeno i risultati sono oggettivamente misurabili, nellambito delle manifestazioni artistiche (festival della musica, del cinema, premi e concorsi letterari...), dove la valutazione della qualità delle opere è soggetta a criteri soggettivi (oltre che a interferenze esterne di tipo politico o economico...). si manifesta tutta larbitrarietà di queste manifestazioni, dove molte delle canzoni, dei film e dei libri concorrenti verranno presto dimenticati, e dove, anziché larte e la cultura, prevalgono su tutto le passerelle di corpi e di vestiti.

Del resto, sarebbe meglio limitarsi semplicemente a presentare le opere artistiche nelle “vetrine” delle varie manifestazioni, lasciando al pubblico fruitore il compito di decidere le sorti, e leventuale successo, di ogni singola opera, anziché affidare il giudizio a improbabili giurie.

       Passando allambito dellandamento economico delle aziende, prevale spesso anche qui la logica della competizione fine a sé stessa, come se bastasse solo lentità di un fatturato a rendere migliori i prodotti di unazienda. L’invasività e aggressività delle promozioni pubblicitarie scaturisce proprio dalla corsa al fatturato come indice assoluto del successo aziendale, a scapito spesso della qualità dei prodotti e della loro durata (ne è un esempio clamoroso “l’obsolescenza programmata” diffusa negli elettrodomestici e nei dispositivi elettronici, oppure “l’obsolescenza indotta” dalla moda nei capi d’abbigliamento).

Si legge pure spesso di fusioni tra banche e compagnie assicurative che diventano sempre più grandi, a beneficio di soci e azionisti, ma di cui i clienti non ne avranno alcun beneficio.

Nelle valutazioni dei bilanci aziendali limperativo è la crescita permanente del fatturato, come se i mercati su cui si opera dovessero essere anchessi a crescita illimitata.

Il mantenimento di un bilancio stabile ed equilibrato negli anni, sufficiente a mantenere il benessere economico, viene definito, con sottinteso negativo, “stagnazione economica”.

       Pochi sanno inoltre come funzionano i cosiddetti mercati” nel panorama delleconomia mondiale. Eppure, sebbene in modo imperscrutabile, il loro andamento influenza la vita e il benessere di miliardi di individui nel mondo. I loro meccanismi di funzionamento sono sovranazionali, rendendo velleitaria ogni aspirazione di sovranismo economico su scala nazionale.

  


     Oggi la vera e unica forza internazionale” presente nel mondo non è quella dei proletari, auspicata da Marx, ma quella del Capitale, che dava il titolo alla sua massima opera. Marx si riferiva però al Capitale produttivo, ma oggi il Capitale dominante è quello della finanza. Esso non è governato da padroni” fisicamente definiti, ma da agenti” che spostano flussi enormi di denaro sulla base di aspettative, di intuizioni, di indiscrezioni, di scommesse a rischio, oppure affidandosi a complicati algoritmi. Insomma, un potere fluido, indefinibile e inafferrabile, sostanzialmente anarchico”, di cui nessuno può dire di essere capace di capirne a fondo i meccanismi. In tutto questo leconomia liberista dei Mercati trova la sua imbattibile forza. È il luogo dove il potere competitivo” trova la sua massima espressione.

Tutto questo dovrebbe essere governato dalla Politica, ma le possibilità che questa ha di agire dentro i propri confini nazionali è limitata, mentre fuori da tali confini è generalmente quasi nulla.                    

Le competizioni elettorali sono basate su programmi mutevoli, in funzione di sondaggi che stanno di fatto inficiando le consultazioni elettorali stesse. Le basi ideologiche che dovrebbero definire lidentità dei partiti, al di là delle enunciazioni di principio, sono spesso nella realtà frutto di sommatorie che mettono insieme non le idee, ma personalismi e interessi. La competizione politica si verifica spesso dentro i partiti e non tra” i partiti. Del resto, questi ultimi sono delle associazioni private che, pur riconosciuti dallart.49 della Costituzione, non sono soggetti a una efficace regolamentazione pubblica, nonostante il loro ruolo determinante sul piano legislativo.

       Ma certamente lambito dove la competitività degli umani manifesta gli aspetti più preoccupanti rispetto al destino della stessa specie umana è quello militare. Qui levoluzione tecnologica ha avuto una enorme accelerazione, portando le nazioni più potenti alla potenziale capacità di distruggere lintera umanità in poche ore, attraverso l’uso massiccio degli armamenti nucleari.

 

elaborata da ChatGPT

  Da questa consapevolezza ne è scaturita una impossibilità a scatenare consapevolmente una guerra su scala mondiale, data la certezza di non poterne essere vincitori. Tuttavia, ciò non vuol dire che questo non possa accadere per una concatenazione di eventi imprevedibili e incontrollabili, come mostrato a volte in alcuni film.

       In altre parole, oggi gli umani affidano la loro vita non più allistinto di sopravvivenza ereditato dallevoluzione biologica, ma al paralizzante terrore di essere spazzati via dal potere distruttivo a cui ci ha portato levoluzione tecnologica, figlia della competitività umana.

Le due evoluzione hanno avuto velocità enormemente diverse. Levoluzione biologica è avvenuta in milioni di anni, mentre levoluzione tecnologica in poche centinaia. Ma le nostre capacità di elaborazione mentale non si sono evolute alla stessa velocità della crescita tecnologica, tanto che le attuali capacità culturali degli umani si stanno rivelando il vero ostacolo alla sopravvivenza della specie. Il valore che abbiamo dato alla competitività in tutti i livelli della coesistenza umana, contiene le premesse dellautodistruzione della specie.

Si può tuttavia ritenere che la competitività appartenga al bagaglio genetico dell'essere umano, al pari dell'egoismo, della prepotenza, della violenza e di altri tratti negativi della nostra specie. Ma se si conviene che tali caratteristiche contrastano con il buon funzionamento di una società organizzata, allora diventa evidente che una società che promuove la competizione come valore positivo, da esaltare in ogni ambito, (anziché biasimarne gli effetti), non fa altro che accentuare le conseguenti ricadute negative della competitività stessa, fino a mettere a rischio la tenuta sociale.

In altre parole, si potrebbe affermare che l’esaltazione della competitività tra gli umani potrebbe diventare, se non ben controllata dalle regole sociali e da una controcultura che ne sveli i pericoli, la principale causa di una regressione evolutiva della specie umana stessa, fino al rischio estremo della scomparsa degli esseri umani.

Occorre invece promuovere i valori alternativi della cooperazione, condivisione, solidarietà, non solo perché ritenuti positivi e migliorativi della convivenza sociale, ma soprattutto perché necessari alla sopravvivenza della specie.




  Su scala planetaria, solo una politica globale, elaborata da un unico governo      autorevole e sovranazionale, dotato della necessaria forza per imporre le scelte        legittimate da un consenso popolare e maggioritario, potrà realizzare cambiamenti    radicali, basati sullequità e la pacifica coesistenza tra le varie etnie, anziché sulla         competitività e il suprematismo dei più forti.

Solo agendo in questo modo si potrà garantire il bene comune, e un futuro per lintera umanità basato, non sulla crescita perpetua, ma sull’equilibrio tra i bisogni degli esseri umani e le risorse del pianeta.  Certamente è un obbiettivo lontano e difficile da realizzare, una utopia che definisce la direzione e i bordi di una strada, ma non i dettagli del percorso, né i tempi che esso richiede. Ma avere un obbiettivo e una direzione aiuta certamente a valutare se anche i piccoli e possibili passi muovono l’umanità nella direzione giusta, anziché verso il baratro.

       Tra le tante aspirazioni degli esseri umani questa è lutopia più realistica e necessaria.

 

       Lorenzo Lo Presti

 

 

 

 

 

 

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