Post n. 40
Le
ricerche di Derek York illustrate in “Gli albori della storia della terra” Le
Scienze 1995, hanno messo in evidenza come la tettonica a zolle sia un
processo iniziato nelle primissime fasi della storia del nostro pianeta. I
continenti erano alla deriva già a partire di 3,5 miliardi di anni fa «[…] ad una velocità di 1,5 centimetri all’anno, cioè simile a
quella con la quale il continente nordamericano è andato allontanandosi dalla
Dorsale medio-atlantica negli ultimi 100 milioni di anni».
La deriva porta i continenti prima o poi a scontrarsi e quindi ad una nuova deriva. Dove i continenti si scontrano il materiale sottostante può emergere come lava o dare origine a montagne (orogenesi), mentre nell’arco di 200 milioni di anni tutta la crosta oceanica scivola all’interno del mantello terrestre.
gmpe.it |
Tutto il
materiale che emerge è sottoposto ad una continua erosione che va lentamente a
rimpiazzare la crosta oceanica. La terra fin dalla sua formazione è quindi un
pianeta in continua evoluzione e la crosta terrestre è stata fin dalla sua
origine continuamente riciclata. Pur tuttavia, alcuni antichi sedimenti sono
stati risparmiati dalle erosioni e da processi orogenetici. Dallo studio di
questi antichi sedimenti, denominati antichi scudi continentali, e dai
successivi sedimenti fino ai nostri giorni possiamo tracciare, anche se con
molte lacune, la storia tragica e nello stesso tempo straordinaria della vita. La scoperta, in questi sedimenti, di antichissimi
fossili ci dimostra il nostro legame evolutivo con microorganismi vissuti agli
albori della vita.
La
vita ebbe origine circa 3,6 miliardi di anni fa sotto forma di organismi
unicellulari. I primi organismi furono sicuramente eterotrofi, si nutrivano di
sostanze organiche che abbondavano nell’ambiente primitivo ed erano incapaci di
sintetizzare le sostanze nutritive. Quando questo tipo di nutrimento iniziò a
scarseggiare alcuni microorganismi riuscirono a prodursi il nutrimento a
partire da biossido di carbonio (CO2) ricavando l’energia necessaria
dall’ossidazione di acido solfidrico (H2S) utilizzando l’energia solare (fotoautotrofi) solfobatteri. Questi
microorganismi detti anaerobici perché vivevano in assenza di ossigeno, non
utilizzavano H2O come fonte di idrogeno e nessuno liberava ossigeno
nell’atmosfera. Per quanto tempo fu a disposizione il nutrimento nell’ambiente
primitivo e come abbiano fatto i microorganismi a imparare a prodursi da sé il
nutrimento, non lo sappiamo. Possiamo immaginare che il tempo deve essere stato
abbastanza lungo da permettere, in alcuni organismi, una serie di mutazioni. Spinti dall’istinto alla sopravvivenza per
la scarsità di nutrimento questi microorganismi, assemblati in una colonia, hanno
compiuto il salto dall’eterotrofia all’autotrofia. Un processo evolutivo
accelerato dalle condizioni ambientali e dalla possibilità di sfruttare un
numero enorme di nicchie ecologiche. Questi microorganismi, simili agli odierni
batteri, chiamati procarioti, furono per 2 miliardi di anni, i dominatori
incontrastati del pianeta.
Il
termine procariote comprende anche un altro gruppo di protoorganismi: i
cianobatteri, spesso chiamati alghe azzurre, microorganismi capaci di
fotosintesi che utilizzano l’H2O come fonte di idrogeno e come
sottoprodotto liberano ossigeno.
Ma
quando la vita è apparsa sulla terra e anche in epoche successive, l’atmosfera
non conteneva ossigeno o come spesso si dice era anossica. Questa ipotesi ha
ricevuto diverse conferme. Agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso,
esperimenti di laboratorio hanno messo in evidenza come la sintesi abiotica di
molecole semplici per l’origine della vita avviene più facilmente in assenza di
ossigeno che in sua presenza. Inoltre la presenza di ossigeno nell’atmosfera,
con la conseguente formazione di ozono (O3),
avrebbe distrutto queste molecole e la vita non si sarebbe mai manifestata.
Ulteriori conferme vengono dagli antichi scudi continentali, in particolare dai
depositi sedimentari di Uraninite (UO2). Sono stati trovati depositi
sedimentari di uraninite, formatisi nei letti dei fiumi, che presentano varie
datazioni, i più recenti risalgono a circa 1,8 miliardi di anni fa. Dopo questa
data non si trovano più depositi sedimentari di uraninite. L’uraninite in
presenza di ossigeno si ossida rapidamente a U3O8, questo
composto è solubile e viene trasportato via dalle acque. La data intorno a 1,8
miliardi di anni fa è quindi uno spartiacque e si può affermare che fino a
quell’epoca l’atmosfera doveva essere anossica. Una conferma di tale datazione ci viene
anche dalle formazioni striate di ferro.
Il ferro si può trovare come minerale ferroso Fe++ cioè ridotto o, se
è presente ossigeno, come ferrico Fe+++ cioè ossidato, di colore
rosso. I depositi sedimentari antichi contengono principalmente ferro ridotto,
hanno diverse datazioni con un’età minima di 1,8 miliardi di anni fa. È stato
calcolato che a quell’epoca l’atmosfera conteneva piccole quantità di ossigeno,
1/1000 di quella attuale, ed era prodotto esclusivamente dalla dissociazione
dell’acqua in idrogeno e ossigeno ad opera della radiazione solare. L’ossigeno
liberato da questo processo non si è potuto accumulare nell’atmosfera perché
ossidava la superficie dei sedimenti ferrosi. Lo stesso processo che, per la
presenza di un sottile rivestimento di ferro ossidato (Fe2O3),
ha reso rossa la superficie di Marte. Con tale concentrazione di ossigeno lo
scudo di ozono era quasi inesistente, l’atmosfera era quindi trasparente ai
raggi ultravioletti letali per gli organismi viventi. I raggi ultravioletti
rendevano sterili le terre emerse e gli oceani fino ad una profondità di 10
metri. I primi microorganismi dovevano necessariamente vivere oltre la
profondità di 10 metri o in lagune poco profonde nascosti tra i sedimenti o
riparati tra i detriti di zone fangose e sabbiose.
Un’altra
categoria di minerali importanti sono i red
beds, così denominati perché di colore rosso dovuto alla presenza di ferro
ossidato Fe2O3. Sono depositi che si sono formati in
presenza di un’atmosfera che conteneva ossigeno. Se ne trovano a diverse
datazioni, alcuni di 200 milioni di anni fa altri di 400 milioni ma i più
antichi sono datati 1,4 miliardi di anni fa.
Si è calcolato che a quest’ultima data il contenuto di ossigeno
nell’atmosfera aveva raggiunto 1/100 di quello attuale. In conclusione, per
quasi due miliardi di anni il contenuto dell’ossigeno nell’atmosfera, prodotto
dalla dissociazione dell’acqua ad opera dei raggi ultravioletti, rimane
costante, mentre tra 1,8 e 1,4 miliardi di anni fa si riversa nell’atmosfera
una grande quantità di ossigeno. Vista l’enorme distanza temporale che ci
separa da questi eventi, è chiaro che queste date non possono essere prese come
confini definitivi. Per esempio lo studio degli isotopi dello zolfo nelle varie epoche porta indietro a 2,4
miliardi di anni fa l’inizio della comparsa dell’ossigeno nell’atmosfera.
Comunque, su una cosa concordano tutti gli scienziati: questo drastico aumento
dell’ossigeno nell’atmosfera è stato causato dalla fotosintesi dei
cianobatteri.
Ma
quando sono apparsi i cianobatteri?
Gli
antichi scudi continentali ci danno testimonianza del fatto che 3,5 miliardi di
anni la vita esisteva già ed era anche ben diversificata. Intorno alla fine
degli anni sessanta il famoso paleontologo Elso S.Barghoorn, “I fossili più
antichi” Le Scienze 1971, e il suo collaboratore J. William Schopf, scoprirono
microfossili in antichissime rocce. In particolare nella formazione del Fig
Tree in Sud Africa, datata 3,2 miliardi di anni fa, essi trovarono 28 esemplari
di microfossili che assomigliano ai batteri attuali. Di questi, 2 esemplari non
sembrano diversi dagli attuali cianobatteri. Microfossili sono stati scoperti
anche in depositi sedimentari del Nord America denominata formazione del
Gunflint, datata 2 miliardi di anni fa. In questi microfossili sono stati
identificati 8 generi diversi di cui 4 sono simili ai cianobatteri attuali.
Probabilmente la scoperta di 2 soli esemplari di microfossili capaci di
fotosintesi, risalenti a 3,2 miliardi di anni fa, suggerì a Barghoorn un certa
di prudenza e infatti conclude: «Si
hanno validi motivi per ritenere che gli organismi rinvenuti nelle selci del Fig Tree e che risalgono a tre miliardi di
anni fa non fossero capaci di fotosintesi. È probabile invece che le forme di
Gunflint, di un miliardo di anni più recenti, fossero fotosintetizzanti».
Nel
1978 J. William Schopf in “L’evoluzione delle prime cellule” Le Scienze,
pubblica un articolo sull’evoluzione dei sistemi biochimici per selezione naturale dai primi organismi fino
all’elaborazione dell’apparato biochimico della fotosintesi, il processo che
genera ossigeno. Egli conclude: «I
primi organismi fotosintetizzanti fecero la loro comparsa prima di tre miliardi
di anni fa. Erano precursori anaerobi [che prosperano in assenza di ossigeno],
precursori dei moderni batteri fotosintetizzanti. […] La comparsa della
fotosintesi aerobica nel Precambriano medio introdusse un cambiamento
nell’ambiente globale, che avrebbe dovuto influenzare tutta la successiva
evoluzione». Ricordiamo che, per la paleontologia, per Precambriano si intende
il periodo che va dalla formazione della Terra al Paleozoico
che inizia con il Cambriano circa 600 milioni di
anni fa. Per Precambriano medio si intende quindi circa 2 miliardi di anni fa,
in linea con le conclusione di Barghoorn. Per concludere, agli inizi degli anni
80 del secolo scorso si riteneva che i primi organismi fossero divisi in
eteroautotrofi, chemioautotrofi e fotoautotrofi (solfobatteri), apparsi 3,5
miliardi di anni fa e capaci soltanto di un metabolismo
primitivo, e che i cianobatteri, con un metabolismo più complesso responsabile
dell’aumento dell’ossigeno nell’atmosfera, siano apparsi intorno a 2 miliardi
di anni fa. Questo tipo di scenario è coerente con la visione darwiniana di un
lento passaggio dal meno complesso al più complesso.
Nella seconda metà degli anni 80 J. William Schopf e due suoi collaboratori raccolsero selci in una zona del cratone del Pilbara in Australia, denominata Apex e datata 3,5 miliardi di anni fa. In queste selci sono stati scoperti fossili microscopici. In particolare sono stati identificati 1990 esemplari di circa 200 individui, raggruppati in 11 tipi diversi.
È opinione di Schopf che 6 delle 11 specie siano cianobatteri che per dimensione, forma e organizzazione cellulare ricordano i cianobatteri moderni. Questi microfossili si trovano insieme a detriti organici carboniosi la cui composizione isotopica del Carbonio, espressa nel rapporto 13C/12C, è tipica della fotosintesi dei cianobatteri.
Questa scoperta convince Schopf a cambiare radicalmente il
precedente paradigma, introducendo una visione sotto certi aspetti
rivoluzionaria. Egli pubblica le sue ricerche nel 1993 e nel 2003 riprende le
sue conclusioni in una visione più ampia e pubblica “La culla della vita” 2003,
dove afferma: «Se tale parentela è corretta, la
presenza di cianobatteri in questa comunità antica quasi 3,5 miliardi di anni
testimonia che all’inizio l’evoluzione è arrivata in fretta molto lontano.
Tutti i cianobatteri sono in grado di svolgere il tipo di fotosintesi che
rilascia ossigeno e, come gli animali e le piante superiori, possono inalare
ossigeno (mediante il processo noto come respirazione aerobica). Fotosintesi e
respirazione aerobica sono, però, entrambi processi vitali progrediti,
evolutisi da altri più primitivi nei quali l’ossigeno non svolgeva alcun ruolo.
Se in tempi così remoti esistevano cianobatteri, dovevano essere già presenti
anche i processi evolutisi in precedenza; dovevano aver già fatto parte del
mondo vivente sia organismi fotosintetici che non rilasciano ossigeno
(fotosintetizzatori batterici) oltre a quelli che lo rilasciano (cianobatteri),
sia microbi capaci di vivere in assenza di ossigeno (anaerobi) oltre a quelli
che respirano (aerobi). Sono proprio questi i processi che alimentano l‘attuale
mondo vivente. Se tra i fossili di Apex troviamo anche i cianobatteri, ne
dobbiamo necessariamente concludere che i fondamenti dell’ecosistema mondiale si erano già affermati in queste
primissime fasi della storia della Terra». E più avanti aggiunge: «I
processi metabolici chiave della vita attuale, eterotrofia e fotoautotrofia,
anaerobiche o aerobiche sono stati inventati da microbi esistiti miliardi di
anni fa. Sia che i cicli di CHON (Carbonio, Idrogeno, Ossigeno e Azoto) e di
energia riguardino gli animali e le piante dei nostri tempi sia che riguardino
soltanto i microorganismi, come nel lontano passato, i sistemi utilizzati per
la loro circolazione sono gli stessi, così come valgono le stesse regole.
L’ecosistema attuale non è affatto recente, ma è solo una versione ingrandita
dell’ecosistema originariamente creato da un serraglio di antichi microbi».
Questa nuova
visione anticipa, quindi, la comparsa dei cianobatteri di 1,5 miliardi di anni,
non più a 2 ma a 3,5 miliardi di anni fa. Ne consegue, come vedremo tra poco,
che l’evoluzione ha subito un lunghissimo periodo di stasi di oltre 2 miliardi
di anni.
Poiché
questo nuovo paradigma non è tanto corrispondente alla visione darwiniana,
Schopf riprese il termine braditelico elaborato
dal paleontologo Georg Simpson per le forme di vita a evoluzione
eccezionalmente lenta. Per dare una risposta al cambiamento ultra lento dei
cianobatteri Schopf coniò il termine Ipobraditelia
e conclude: «In parole povere, si sostiene che i
cianobatteri hanno mantenuto lo status quo, con poco o punti cambiamenti da
quando hanno fatto irruzione sulla scena miliardi di anni orsono».
Le conclusioni di
Schopf sulla presenza di cianobatteri già 3,5 miliardi di anni ricevette molte
critiche specialmente a partire dal 1996. In quell’anno infatti gli scienziati
della NASA annunciarono la scoperta di resti di microorganismi in un meteorite marziano. Nello stesso anno, in una
conferenza organizzata dalla NASA per presentare la scoperta e alla presenza di
molti scienziati, Schopf fu l’unico ad affermare che non c’erano prove
scientifiche che nel meteorite ci fossero resti di microorganismi. I suoi
oppositori insistevano sulla comparsa dei cianobatteri non prima di 2 miliardi
di anni fa. Schopf portò altre prove a suo sostegno, intanto nel cratone del
Pilbara sono state scoperte tracce molecolari che evidenziano, almeno 2,7-2,5
miliardi di anni fa, una presenza ben assestata di cianobatteri. (Robert M.
Hazen, “Breve storia della terra” 2017)
Il dibattito
continua. Senza volere entrare in una disputa che riguarda gli esperti, come osservatore esterno possiamo però trarre delle conclusione logiche sui fatti. In
relazione alla catena dei cicli alimentari, l’ecosistema mondiale è un sistema
chiuso, e chiuso doveva essere anche l’ecosistema primitivo. Potrebbe il nostro
ecosistema oggi fare a meno delle piante? Nelle condizioni infernali in cui si
trovava il nostro pianeta 3,5 miliardi di anni fa, l’evoluzione ha dovuto esplorare
tutte le possibili vie per la sopravvivenza, e senza
l’affermazione dei cianobatteri l’ecosistema primitivo sarebbe stato monco e la
vita avrebbe potuto estinguersi. Per la sopravvivenza imperativo era tutto e subito.
Un’altra
considerazione da mettere in evidenza è la seguente. Gli scienziati sono
concordi nel ritenere che una delle prime forme di autotrofia, 3,5 miliardi di
anni fa, fu la fotosintesi anossigenica dei solfobatteri.
6CO2
+ 6H2S + luce = C6H12O6 + 6S2
Il
famoso paleobiologo Preston E. Cloud nel 1983 in “La biosfera” Le Scienze avanzò
l’ipotesi che potrebbe essere stato un solfobatterio mutante il primo a scindere
molecole di acqua invece di molecole di acido solfidrico (H2S),
secondo la reazione:
6CO2
+ 6H2O + luce = C6H12O6 + 6O2
e conservando
nel contempo la propria capacità di utilizzare acido solfidrico come fonte
energetica alternativa.
Ora,
se si tiene presente che il solfuro di idrogeno si trovava solo in
zone particolari della terra e non era così abbondante come l’acqua, risulta incomprensibile
come i solfobatteri abbiano potuto impiegare 1,5 miliardi di anni per
utilizzare l’acqua al posto di H2S ed avere una fonte inesauribile
di materia prima.
Le
conclusioni di Schopf sono probabilmente più vicine alla realtà dell’epoca.
Osserviamo che nel corso della storia della vita, quattro eventi fondamentali hanno prodotto svolte innovative che hanno sconvolto il corso degli eventi. Senza queste svolte la vita nel nostro pianeta sarebbe rimasta allo stadio di microorganismi. Ebbene la prima di queste svolte, 3,5 miliardi di anni fa, fu proprio la fotosintesi aerobica dei cianobatteri.
Ma
se i cianobatteri fecero la loro comparsa già 3,5 miliardi di anni fa e
se fino a 1,8 miliardi di anni fa nell’atmosfera non c’era ossigeno, che fine
ha fatto l’ossigeno prodotto dai cianobatteri in questo lungo periodo?
Secondo
Schopf tra 3,5 e 2 miliardi di anni fa una enorme quantità di ferro ferroso (Fe++)
venne riversato negli oceani dando origine alle formazioni ferrose a bande. Ma
inizialmente, nei luoghi dove vivevano i cianobatteri, l’ossigeno prodotto
venne utilizzato per ossidare il ferro in soluzione (da Fe++ a Fe+++).
Quando l’ossigeno si diffuse su tutti gli oceani e spazzò il ferro ferroso (Fe++),
circa 1,8 miliardi di anni fa, esso ha cominciato a riversarsi nell’atmosfera.
Con il lento aumento dell’ossigeno nell’atmosfera è iniziato a formarsi lo
scudo di ozono e i raggi ultravioletti venivano così bloccati nell’atmosfera.
elaborato da: wikipedia |
Quando
intorno a 1,4 miliardi di anni fa la concentrazione dell’ossigeno raggiunse
nell’atmosfera 1/100 di quella attuale, la concentrazione di ozono permetteva
ai raggi ultravioletti di raggiungere appena la superfice degli oceani. I
microorganismi potevano quindi risalire fino alla superfice e avere a
disposizione l’intero oceano. Mentre questi organismi fotosintetici elaborarono
delle difese per vivere in presenza di ossigeno, aerobici, per gli organismi
anaerobici l’ossigeno è un veleno potentissimo. Tutti i ricercatori sono
concordi nel ritenere che la presenza dell’ossigeno abbia provocato una crisi
ambientale portando all’estinzione di massa di parecchie linee evolutive di
anaerobici.
In
realtà non abbiamo prove di simili eventi. È possibile che nell’ambiente marino,
qualche specie che viveva in oceano aperto, dove c’erano poche nicchie in cui
nascondersi, si sia estinta. Sulle coste e sulla terraferma, nelle zone fangose,
gli anaerobici potevano migrare in zone anaerobiche. Dobbiamo tenere anche
presente che l’aumento della concentrazione di ossigeno è avvenuta nell’arco di
centinaia di milioni di anni e quindi gli organismi anaerobici avevano tutto il
tempo per elaborare delle difese. In conclusione non sappiamo se il cambiamento
dell’atmosfera abbia realmente prodotto estinzione di massa di linee evolutive.
Gli antichi scudi continentali non ci danno nessuna informazione su possibili
estinzioni in questa epoca. Purtuttavia,
in questi 2 miliardi di anni, tempeste con repentine alte e basse maree,
vulcanesimo, bombardamento meteorico anche se molto più rarefatto rispetto alle
prime fasi della formazione del pianeta, erano sicuramente presenti. Periodi di
surriscaldamento e piogge acide erano quindi, nei tempi geologici, frequenti. E
allora, è più probabile che tutti questi processi, associati alla deriva e
successivamente allo scontro dei continenti e alla comparsa dell’ossigeno
portavano l’ambiente a subire continui cambiamenti sia nel breve che nel lungo
periodo. Nicchie ecologiche, rifugio di organismi viventi, scomparivano e con esse
i loro ospiti. Possiamo allora immaginare che, in questo lungo periodo, i
procarioti subirono certamente continue decimazioni che li hanno portati i
vicini all’estinzione e che più volte hanno dovuto ricominciare da capo la
conquista della terra.
Tutti
gli organismi viventi abbiamo bisogno di energia per mantenerci in vita. Il
processo biochimico che permette ai procarioti di ricavare energia prende il
nome di fermentazione. Questo processo mette a disposizione dei microorganismi
una quantità di energia pari a circa 50 Kcal per mole.
Come abbiamo detto gli eterotrofi si nutrivano di sostante che trovavano nell’ambiente. Questi procarioti erano come oggi di varie dimensioni e spesso i più grandi si nutrivano di microorganismi più piccoli, come il pesce grande mangia il piccolo, predatori e prede. Un giorno, circa 1,4 miliardi di anni fa, un grosso procariote ingoia un piccolo procariote. Ma prima di digerirlo, per nostra fortuna, il grosso procariote si accorge che questo minuscolo essere aveva delle capacità eccezionali: riusciva a estrarre energia dalle sostanze organiche utilizzando ossigeno, processo che noi chiamiamo respirazione. Attraverso la respirazione, dalle stesse sostanze organiche utilizzate per la fermentazione, invece di 50 si riesce a ricavare 686 Kcal per mole. Il grosso procariote si guardò bene dal digerirlo, anzi i due iniziarono a collaborare; processo che in biologia è stato chiamato endosimbiosi.
Dopo una stasi di oltre 2 miliardi di anni, l’evoluzione di questa simbiosi, attraverso mutazioni, diede origine ad una cellula 10 mila volte più grande della cellula dei procarioti che prende il nome di Eucariote. La comparsa della cellula eucariote ha avuto come conseguenze un cambiamento radicale della vita sulla terra, perché tutti gli organismi superiori (nel senso di più complessi), e quindi anche noi, siamo costituiti di cellule eucariote.
E qui inizia un’altra storia.
Giovanni Occhipinti
La seconda parte verrà pubblicata a fine gennaio.