Post n. 48
LA RICERCA DI UN PUNTO DI INCONTRO PER SUPERARE LA DICOTOMIA CHE ORMAI DA OLTRE MEZZO SECOLO BLOCCA LA SOLUZIUOE DEL PROBLEMA
Niles Eldredge in “ripensare Darwin” 2008, in riferimento a problemi più generali cita il pensiero del grande evoluzionista Williams: «Concordo con George Williams quando afferma che i problemi scientifici non vengono tanto risolti quanto tranquillamente abbandonati a favore di qualche nuovo insieme di questioni che sopraggiungono ad assorbire l’interesse di una disciplina».
A me sembra che questa citazione illustra in
modo calzante lo stato in cui versa oggi la ricerca sull’origine della vita. In
passato molti ricercatori si sono occupati del problema dell’origine della vita
e tra questi alcuni fisici, chimici, astronomi, evoluzionisti e divulgatori
scientifici. Dalla metà del secolo scorso fino all’inizio del nuovo secolo sono
stati pubblicati un considerevole numero, a volte assordanti, di articoli
scientifici, libri e compendi di articoli sull’origine della vita. Problemi
irrisolti e problemi risolti, ma volutamente ignorati, hanno scemato
l’interesse per questa branca e indirizzato la ricerca in altre direzioni. Oggi,
giustamente, l’interesse viene assorbito verso ricerche più attuali: la
cibernetica, l’evoluzione della cibernetica, la ricerca di condizioni chimiche
e fisiche di pianeti abitabili e la ricerca di vita nello spazio. Eppure avere
una qualche idea certa su come ha avuto origine al vita sulla terra faciliterebbe
alcune di queste ricerche. In questo ultimo decennio, libri e i compendi
pubblicati intorno a questo complesso problema, sono quasi inesistenti. È vero
che ogni tanto viene pubblicato qualche articolo scientifico sull’argomento, ma
è altrettanto evidente che si tratta di pubblicazioni marginali. Intanto perché
ripercorrono idee ormai superate, inoltre un articolo scientifico può essere
importante ma se esso non contiene il compito di come sviluppare e spiegare, in
modo esauriente, la prospettiva della propria ricerca dopo un po’ di tempo va a
finire nel dimenticatoio. Oggi intorno al problema dell’origine della vita c’è un
certo silenzio da cui, dopo un rapido cenno storico le cui problematiche
ampiamente trattate trovate nei post di questo Blog, possiamo trarne profitto per
fare una rapida e attenta considerazione su tutto ciò che è stato e dovrà essere.
Per secoli si è sempre pensato che la vita si
originasse spontaneamente da alimenti in putrefazione e abiti sporchi. Inizialmente
furono le ricerche di Francesco Redi e Lazzaro Spallanzani a mettere in dubbio
tale credenza. Fu poi Louis Pasteur, intorno al 1860, a
dimostrare sperimentalmente che nelle attuali condizioni chimico-fisiche del
nostro pianeta la vita può generarsi solo dalla vita. Ma allora, esclusa la
generazione spontanea, come ha avuto origine la vita sul nostro pianeta?
Per più di mezzo secolo, dopo Pasteur, non ci fu grande interesse sul
problema dell’origine della vita. L’interesse sul problema riprese però quando
nel 1924 Aleksandr I. Oparin pubblica un libro dal titolo “L’origine della
vita” e nel 1929 J. B. S. Haldane
pubblica un articolo sullo stesso argomento. Oparin e Haldane ipotizzavano la
formazione delle sostanze fondamentali per l’origine della vita in un primitivo
oceano o nell’atmosfera e trasportate dalle acque. In questo oceano primordiale
si sarebbero formate molecole più complesse e da queste infine avrebbe avuto
origine la vita. Tale ipotesi è nota come: teoria del brodo primordiale o prebiotico.
Intorno al 1950 con H. Urey e S. Miller inizia
un programma operativo di ricerche. In particolare Miller, utilizzando
un’atmosfera primitiva, priva di ossigeno e simile alle atmosfere di Giove,
Saturno e Urano, con apporto di energia (scariche elettriche), riuscì a
produrre amminoacidi, che sono componenti delle proteine, e molte altre
sostanze organiche. Sembrava quindi confermata la teoria della formazione,
nell’atmosfera primitiva, delle sostanze fondamentali per l’origine della vita
e la loro raccolta in un “Brodo Primordiale” dove si sarebbe originata la vita.
Nasce in questo periodo la chimica
prebiologica che si propone di individuare, oltre agli amminoacidi già
scoperti, la formazione delle molecole fondamentali per l’origine della vita e
la loro sintesi in un ambiente simile a quello della terra all’epoca della
comparsa della vita. Negli anni che seguirono furono compiute diverse verifiche
che confermarono i risultati dell’esperimento di Miller. Tutti questi lavori
hanno confermato che in epoca prebiotica, sul nostro pianeta, era possibile la
sintesi di un grande numero di sostanze organiche e tra queste spesso erano
presenti amminoacidi.
Nello stesso periodo le stesse sostanze, in
particolare gli amminoacidi, sono stati trovati nei meteoriti (condriti
carbonacee) risalenti all’epoca della formazione del nostro sistema solare. La
scoperta degli amminoacidi negli esperimenti di Miller e la loro presenza nei
meteoriti dimostra, secondo gli scienziati, la facilità di sintesi di questi
composti. Le scoperte sollevarono un grande entusiasmo tra gli scienziati e
sembrava che, ben presto, si sarebbe riusciti a svelare il mistero della vita.
Ma da dove partire?
I primi organismi comparsi sulla terra vengono chiamati procarioti. Sono
comunque organismi molto complessi e non è possibile che la vita abbia avuto
origine direttamente con i procarioti. Prima dei procarioti esistevano sicuramente
organismi, chiamati protoorganismi, molto più semplici e rudimentali. Ma quanto
semplici?
Tutti gli organismi non possono fare a meno di 2 macromolecole
fondamentali: gli acidi nucleici e le proteine (gli enzimi). Il protoorganismo
anche se molto semplice li doveva contenere entrambi. Dobbiamo andare quindi
alla ricerca dei costituenti, che hanno dato origine a queste macromolecole.
Questi elementi costitutivi sono: i nucleotidi per gli acidi nucleici e gli
amminoacidi per le proteine.
Poiché, come accertato da Miller,
gli amminoacidi erano facili da sintetizzare in epoca prebiotica, fu una
conseguenza logica iniziare dalla sintesi delle proteine nel brodo prebiotico.
Ben presto però, per l’origine della vita nel
brodo primordiale si presentarono dei problemi insormontabili. Selezione degli
amminoacidi e sintesi delle proteine in ambiente acquoso sono, fisicamente e
chimicamente impossibili. Questi problemi suggerirono a Sidney Fox di
orientarsi verso il calore dei vulcani. Trattando una miscela di amminoacidi ad
una temperatura tra i 100 e i 200 °C ottenne ciò che egli stesso ha chiamato
Proteinoide che sembra avesse anche capacità catalitiche, ma ricerche
successive non diedero grandi risultati.
Fallito il tentativo dell’origine spontanea
delle proteine, sorse l’idea che per primo fosse apparso una qualche molecola
di acido nucleico autoreplicante: il “Mondo a RNA”.
L’idea di un “Mondo a RNA” per l’origine della
vita si rivelò molto più complessa. Intanto non era nota l’origine di tutti i
costituenti dei nucleotidi. Inoltre, secondo Eigen questi processi sarebbero avvenuti
in” bacini idrici”, ma la formazione dei nucleotidi e la sintesi di una
molecola di acido nucleico avvengono tutte con eliminazione molecole di acqua,
quindi la loro sintesi in ambienti acquosi è impossibile.
Quando l’interesse per il “Mondo a RNA” iniziò
ad affievolirsi alcuni ricercatori pensarono che la vita possa aver avuto
origine nelle profondità dell’oceano in prossimità delle bocche idrotermali,
altri iniziarono a guardare lo spazio se non in cerca di aliene almeno di
molecole complesse necessari per la sua origine.
Svanite anche queste idee è calato il
silenzio.
E allora approfittiamo di questo silenzio per
dare una nuova spinta al problema dell’origine della vita partendo dai dati
probabili in nostro possesso.
1° dato. L’esperimento di Miller e la scoperta
degli amminoacidi nelle condriti carbonacee hanno dimostrato che in epoca
prebiotica queste sostanze erano facili da sintetizzare. Non ci sono particolari
obbiezioni scientifiche a questa conclusione. Questi composti erano quindi
abbondanti e diffusi su tutta la superficie del pianeta. Poiché gli amminoacidi
sono i costituenti delle proteine è logico concludere che per prima sono
comparse le proteine. E poiché le proteine non possono essere sintetizzate in
ambiente acquoso, come ampiamente dimostrato, la loro sintesi deve essere
necessariamente avvenuta sulla terraferma.
2° dato. L’elemento più diffuso della terraferma è il silicio e
i suoi composti, i silicati, coprono oltre il 90% della crosta. I silicati
vengono lentamente disgregati dagli agenti atmosferici e tale disgregazione dà
origine alle argille. L’idea che le argille avrebbero potuto
selezionare, accumulare, proteggere e
successivamente catalizzare la formazione delle macromolecole necessarie alla
vita fu proposta nel 1951 da J. D. Bernal. Egli suggerì anche l’importanza del
quarzo nella formazione delle molecole primitive. Il quarzo infatti si trova
unito all’argilla, come gli aminoacidi presenta una forma D e una forma L, e
avrebbe potuto dare origine ad adsorbimento preferenziale separando il destro
dal levo. È stato dimostrato che l’argilla e i suoi
stati colloidali possono selezionare, accumulare e proteggere gli amminoacidi e
molti ricercatori hanno dimostrato che è possibile ottenere polipeptidi
utilizzando amminoacidi in presenza di argilla.
3° dato. Se le proteine, una volta formate, fossero state trasportate via
dalle acque, lentamente si sarebbero decomposte in amminoacidi e la vita non
sarebbe comparsa. Esse quindi, a decine, devono essersi accumulate in cavità e
nicchie contenuti nei granuli di argilla, dando origine ad un primitivo
citoplasma proteico.
4° dato. Formate le proteine ci servono i costituenti degli acidi nucleici.
Ma questi costituenti devono, necessariamente, essersi formati negli stessi
luoghi in cui si sono formate le proteine cioè nelle argille, altrimenti non
avrebbero potuto interagire tra di loro. Tra le varie ricerche che hanno
interessato la formazione di questi costituenti l’unica di notevole interesse è stata condotta da due scienziati
italiani Ernesto Di Mauro e Raffaele Saladino.
Il risultato dei loro esperimenti sono stati
descritti nel saggio “Dal big bang alla cellula madre l‘origine della vita” 2016.
Di Mauro e Saladino hanno messo in evidenza la formazione delle basi azotate
utilizzando la HCONH2 (Formammide) in presenza di argilla e minerali.
La formammide, che ha un punto di ebollizione oltre i 200°C, era sicuramente
presente in epoca prebiotica perché prodotta dalla reazione tra HCN e H2O.
Questi esperimenti e la formazione degli zuccheri in presenza di zirconati,
anch’essi presenti nelle argille, rientrano quindi a pieno titolo nella teoria
di Bernal. Ci troviamo così ad avere, in epoca prebiotica, le basi necessarie
per l’acido nucleico proprio all’interno di masse argillose, dove ha origine il
primitivo citoplasma proteico.
Queste sono le conoscenze che a tutt’oggi
presentano una certa attendibilità e, secondo me, il punto di incontro da cui
ripartire per dare impulso e superare la dicotomia sul problema dell’origine
della vita.
Partendo da questi dati io ho seguito il
seguente percorso logico, percorso che può essere perfezionato o ribaltato con
un altro più credibile. In questo articolo presento una sintesi su” Origine del
protoorganismo” trattato nei post di questo Blog e nel saggio “Chimica
prebiotica ed origine della vita” 2019, Nuova Edizione.
Così come la molecola dell’acqua per effetto
dei suoi legami tra idrogeno e ossigeno presenta un campo elettromagnetico,
anche una proteina per effetto dei suoi legami chimici dà origine ad un campo
elettromagnetico. L’insieme dei campi elettromagnetici di tutte le proteine,
all’interno della cavità, assieme alla presenza dell’acqua deve aver dato
origine ad una macrostruttura ordinata, “quasi cristallina”, di acqua ed il
sistema interattivo proteico assumeva l’aspetto di un gel generando un campo
elettromagnetico interno e intorno a tale sistema.
Tale sistema può essere identificato come un primitivo citoplasma proteico. Esso
attraverso l’entrata della cavità era in contatto con l’ambiente esterno che
conteneva decine di basi azotate e decine di zuccheri, sia
Destro che Levo.
Immaginiamo di avere un bicchiere di acqua e
di aggiungere zucchero. Possiamo semplicisticamente dire che il campo
elettromagnetico intorno alle molecole di zucchero è compatibile con quello
delle molecole di acqua e quindi lo zucchero si scioglie in acqua. Se invece
nel bicchiere mettiamo una goccia di olio, il campo elettromagnetico intorno
alla molecole dell’olio non è compatibile con quello dell’acqua, l’olio non si
miscela con l’acqua e si raccoglie alla sua superficie. E allora, quando in epoca prebiotica molecole di D-Ribosio e di L-Ribosio
cercarono di diffondere all’interno della cavità il campo elettromagnetico del
primitivo citoplasma proteico ha cooptato il D-Ribosio perché lo rendeva
stabile o se volete perché era solubile nel sistema. L-Ribosio sinistrorso,
venne respinto perché destabilizzava il sistema, non era solubile.
Oltre al Ribosio nelle masse argillose erano presente sicuramente altri
zuccheri simili al Ribosio, anch’essi Destro e Levo, come per esempio l’Arabinosio.
Il D-Arabinosio al pari del D-Ribosio era sicuramente complementare al campo
elettrico dell’entità proteica. Ma perché è stato scelto il D-Ribosio e non il
D-Arabinosio?
Perché le molecole di D-Ribosio e D-Arabinosio presentano livelli
energetici diversi. L’entità proteica riconosce quindi differenze
di campo elettromagnetico e di livello energetico delle molecole. Questo
principio deve aver funzionato anche nella scelta delle basi azotate. Solo i
campi elettromagnetici associati alle molecole di Adenina, Citosina, Guanina,
Uracile sono compatibili con il campo elettromagnetico intorno e interno
all’entità proteica, e i loro livelli energetici stabilizzano l’equilibrio
termodinamico. In definitiva l’entità proteica coopta le molecole dell’ambiente
in base alla compatibilità del campo elettromagnetico e al contenuto
energetico.
Semplicisticamente possiamo ancora concludere
che Adenina, Citosina, Guanina, Uracile e D-Ribosio sono solubili nell’entità
proteica mentre non lo sono tutte le altre basi azotate e zuccheri.
Ma il rudimentale citoplasma proteico altro
non è che un insieme di enzimi. All’interno dell’entità, questi enzimi
utilizzando il poco fosfato a disposizione nella soluzione, legano nel modo
giusto il D-Ribosio con una delle basi e con fosfato dando origine ai
nucleotidi. Atri enzimi legano nel modo giusto tre nucleotidi dando origine ai
trinucleotidi. Come abbiamo ipotizzato nel post n. 27, in epoca prebiotica doveva esistere una
interazione diretta tra un trinucleotide e un amminoacido specifico, un sistema
chimico-fisico di riconoscimento e complementarietà. Ora, quando i trinucleotidi diffondono all’interno
dell’entità e incontrano un’α-elica ogni trinucleotide si sovrappone allo
specifico amminoacido dell’α-elica.
Nel momento in cui ciascun amminoacido dell’α-elica è sovrapposto dallo specifico trinucleotide sarà l’azione enzimatica dell’α-elica a legare i
trinucleotidi dando origine all’RNA, l’acido ribonucleico. Poiché l’RNA è stato sintetizzato da un enzima
elicoidale, l’α-elica, esso risulta avere una struttura elicoidale. Se nella
cavità erano presenti un centinaio di α-eliche diverse, esse daranno origine a
un centinaio di RNA diversi. Gli RNA si sostituiscono alla silice e con gli
amminoacidi in soluzione potranno sintetizzare gli enzimi che per varie cause
venivano decomposti. Per
utilizzare la metafora di Cairns-Smith: l’armatura, la silice, ha generato un
arco, l’α-elica, che a sua volta ha generato
un’armatura, RNA, che si sostituisce definitivamente alla prima. La sintesi dei
nucleotidi (Ribosio + base azotata +gruppo fosfato), la sintesi dei
trinucleotidi e la sintesi dell’RNA avvengono tutte nel microambiente non acquoso
della superfice degli enzimi. Queste condizioni permettono all’enzima una
reattività straordinaria e diversa dalle reazioni in ambiente acquoso. Inoltre
in tutte queste reazioni di sintesi si liberano molecole di acqua che andranno
ad aumentare il caos universale. Si crea ancora ordine aumentando l’entropia:
Caos dall’ordine.
Con la
comparsa degli RNA l’entità si
amplia dando origine ad un citoplasma contenente un sistema interattivo Acidi nucleici-Enzimi.
La nuova entità, cioè il citoplasma Acidi
nucleici-enzimi, è il proto-organismo.
E allora, questo è lo scenario che ci troviamo
di fronte.
In miliardi e miliardi di cavità, nicchie,
anfratti e spazi inter-cristallini di un imprecisato ma enorme numero di masse
argillose si sintetizzano un numero infinito di polipeptidi che danno origine
ad un primitivo citoplasma proteico. Molecole di basi azotate e di D-Ribosio
contenute nelle masse argillose che vengono cooptate all’interno del citoplasma
proteico. Polipeptidi elicoidali che sintetizzano l’acido nucleico.
L’interazione acidi nucleici-enzimi dà origine ad un numero sterminato di
proto-organismi.
È probabile
che all’inizio siano state le proteine di superficie, a costituire una membrana
che si limitava a presidiare l’entrata della cavità. Queste proteine dovevano
contenere rudimentali recettori e comunicavano all’interno lo stato
dell’ambiente circostante. Ora, molte proteine contengono nella loro molecola
tratti anfifile e questi devono essersi legati con sostanze anfifile esistenti
nell’ambiente. Per la necessità di lasciare la cavità alla ricerca delle
sostanze necessarie alla sopravvivenza, alle proteine che presidiavano la
cavità vengono associate sempre più sostanze anfifile dall’ambiente
circostante, fino a formare una rudimentale membrana, catalizzata dall’argilla,
che avvolge tutto il proto-organismo. Le proteine che presidiavano la cavità
devono essere state distribuite su tutta la superficie della membrana. La
formazione della membrana formata da fosfolipidi e proteine è un processo
spontaneo, come la formazione di vescicole, perché aumenta il caos universale
ed è quindi sotto il controllo termodinamico. Essa è molto flessibile e può
muoversi con facilità tra i granuli di argilla alla ricerca di nutrimento. Il proto-organismo diventa
proto-cellula che, capace di muoversi autonomamente, abbandona la cavità.
Giovanni Occhipinti
Prossimo articolo: evoluzione a tre domini o un evoluzione a due domini ?
Nessun commento:
Posta un commento